Lettere (Sarpi)/Vol. I/91

XCI. — A Giacomo Leschassier

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XCI. — A Giacomo Leschassier
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XCI. — A Giacomo Leschassier.1


Lessi con attenzione il Commentario che V.S. eccellentissima fece per commessione del Principe, da me trasmessa.2 Ogni cosa da Lei notata, ogni punto [p. 296 modifica]a miglior riforma proposto, incontrano la mia piena approvazione. Alla Repubblica non spettò mai il conferimento di tutti i benefizi, ma dei vescovati soltanto; e intorno ad essi non avea altro dritto che di nominare, la instituzione stando al pontefice. Per violenza e guerra venutole meno quel dritto, si ritenne tuttavia la facoltà di dare il possesso; e perderebbe ora anche questa per arti pacifiche, se non fosse da alcuni pochi pertinacemente propugnata. La ragione della differenza sta in questo, che allora moltissime liti agitavansi sul dritto al possesso; costumando la romana curia conceder le bolle a tutti i chiedenti e pagatori; tanto che di sovente lo stesso benefizio si dava nella curia a più, e i nominati dalla curia e dagli ordinari venivano quasi sempre a contesa fra loro. S’aggiungevano poi le espettative, vivissimo fomite di litigi. Dopo il Sinodo Tridentino tutto fu emendato; tolte via l’espettative; e le bolle mai non si spediscono per qualsivoglia ragione in pro del secondo supplicante. Se, per difficile ipotesi, il papa e l’ordinario conferiscano il medesimo benefizio, cede il provvisto dall’ordinario, o prima del possesso se la intende col pontefice, e niente fa, se innanzi non sieno rivocate le lettere della santa Sede; e così evitasi ogni lite nel possessorio. V’è chi pensa fra i nostri, non doversi far gran caso se il possesso lo dia un magistrato laico: ciò porta, infatti, un uso perpetuo e incontrastato.

Alle domande che mi fa sul Concilio di Trento, risponderò con una sola sentenza: neppure Apollo [p. 297 modifica]saprebbe dalle parole di esso indovinare la pratica. Con la pubblicazione del Concilio vennero fuori le lettere di Pio IV, per le quali vietò che alcuna cosa si scrivesse a chiosa od esplicazione del medesimo; e istituì una Congregazione di cardinali, a cui soltanto dava la facoltà di spiegarlo e interpretarlo. Di qui nasce che nè dottori nè giudici osino far parola se insorga quistione sul senso verbale, ma bisogni ricorrere ai cardinali. I quali spiegano a capriccio, e le loro dichiarazioni son presso che tutte contrarie al testo. Così la glossa del Decreto distinguerà, e questo unisce: per quella non si può, per questo non si vuole. E, ciò che dà più maraviglia, le stesse dichiarazioni fanno alle pugna tra loro. Si scusano col dire, che esse non sono generali, ma buone pe’ singoli casi, i quali hanno faccia di somiglianti, ma si differenziano per gli aggiunti; e intanto adattano non mica i costumi al Concilio, ma questo ad essi; e tutto governano non a modo della legge scritta, ma del proprio cervello. Gran segreto delle romane arti fu dar vita a quella Congregazione,3 per la quale incarnano ogni loro idea, e ce la intimano a nome e mente dello stesso Concilio. E se punto punto insorge di difficoltà, non accade che si chiamino dalle provincie persone a cui può stare a cuore il negozio, e se ne ascolti il parere. Ci ha provveduto il Concilio, che nello stabilire in massima la cosa, aggiunge: o in altro qualsivoglia modo che parrà a lui (cioè al pontefice) più espediente: con la qual clausola si piglian giuoco de’ regni e dei re. Perocchè tornerà partito più [p. 298 modifica]commodo al papa servirsi di pochi cardinali, che chiamar gente, e per di più interessata, dalle provincie. Di questa maniera è l’editto di Pio IV, per cui si vieta ai principi di far decreti sulla pratica osservanza del Concilio. Vi notano che ciò non contraddice al decreto del Sinodo, il quale ammoniva i principi ad adoperarsi perchè quelle sanzioni s’accogliessero ed attuassero; ma solo dichiara doversi essi astenere da ordinanze e statuti, riguardandosi come puri ministri ed inconsci esecutori.

V.S. mi domanda se, allorquando il Concilio parla di potere riservato alla Sede apostolica, accenni a quello che è in edificazione ovvero in distruzione; e qui pure è mistero. Sia, che intendasi in edificazione; ma penserebb’Ella delle anime? No signore, ma dei quattrini. A parte gli scherzi. Vi si parla, invero, di una potestà riservata in edificazione; ma siccome al papa è rimesso dichiarare di qual fatta debba essere, ciò torna lo stesso che riservargli un infinito potere. Non crede forse che il papa vada pretessendo sempre a’ suoi editti e dispense fini di pietà e di edificazione, chiamando pietà l’amor del guadagno ed eretico chi la pensi altrimenti? Per quale altro modo avrebbe potuto dare a suo nipote, in benefizi di chiesa, 150,000 ducati d’oro, quando per conservar le bolle non gli bastano casse o scrigni, ma s’è dovuto alzare una cella? M’interroga ancora se la Repubblica abbia menato buone tutte le sentenze del Concilio. Allorchè esso pubblicavasi, a richiesta del papa, il Principe scrisse a tutti i magistrati, che coadiuvassero i prelati che notificavano e mettevano a effetto le sinodali sanzioni, e tenessero in dovere i contraddittori. Nè più, nè meno. [p. 299 modifica]

È giunta qua la edizione d’Agostino Unneo, con note al margine, stampata in Anversa. Dicono, e lo credo, che non sarà condannata dai romaneschi; comunque non l’abbia io mai veduta, e i citati luoghi stieno per comodo di concordanza, non per ridar vigore a usi invecchiati; come nè anco far buone tutte le dichiarazioni che la Congregazione unisce al testo per comodo special della curia. Brevemente: essi affermano che il papa è sopra il Concilio, e che può derogare a tutti i decreti di qualsivoglia Concilio; quantunque ciò non sia necessario, ottenendo lo stesso per via di dichiarazioni. Non basterebbe un libro a dir di tutte queste ritortole: basti un esempio solo. La Sessione 25, de Regularibus, al canone 21, ha il decreto sui monasteri incommendati da ridursi a titolo: or bene, la congregazione ha dichiarato che va inteso solo di quelli che pel solito non si danno in commenda. Andate ora, e fidatevi delle parole. E così pretendono che non hanno contrariato per nulla le sanzioni conciliari i pontefici che in questi cinquant’anni, sebben cessata la commenda, non concessero mai in titolo i medesimi monasteri.

Le lettere della S.V. eccellentissima ricordano l’erezione per indulto pontificio della università di Reims, e del decreto civile che la risguarda. Ne parla anco il Pasquier nel suo libro (non rammento in quale occasione), e riporta la clausola generale con cui il pontefice assolve dalle censure, agli effetti di una disposizione canonica prevista dal civile decreto, perchè non s’abbia ad argomentare da quella clausola, che il re può essere scomunicato dal papa. Questo mi piacque assaissimo. Se altro contenga [p. 300 modifica]quel decreto, ben dev’essere degno di nota; e farà opera gratissima a parteciparmelo.

Ho il regio editto sui duelli, e ho fatto le meraviglie come un decreto anteponga il fisco ai creditori ipotecarii. Non ci giunse qua l’arresto all’editto, ma l’editto soltanto: peraltro, dalle parole di V.S. intendo come il Parlamento abbia fatto emenda con l’arresto agli errori (per dir così) del regio consesso. Ma stupisco che a tanto siasi proceduto.4 Prima che il re v’apponesse la firma, non si poteva l’editto vedere, esaminare e correggere? Fors’è tale la vostra prassi; e parmi ora intendere il cómpito del Parlamento.

Io non porrei mai misura allo scrivere: tanto è il piacere che provo a intertenermi con la S.V., che non penso la noia che da ciò può venirle. Anche una parola. Ho inteso lodare il libro che s’intitola Tortura Torti, nè l’ho ancora veduto; ma spero vederlo presto, e leggerollo avidamente. Celebrandosi da voi e dal signor Casaubono, bisogna che sia d’argomento, di stile e di concetti perfetto. E pensatamente dissi dello stile; perocchè mescer facezie alla serietà non s’addice che a codesti argomenti.

Nè basta ancora; mi viene a mente un altro particolare. Foste informato che il re di Spagna chiedeva al pontefice di non metter pensioni sui benefizi di Spagna a favore degl’Italiani. La cosa non [p. 301 modifica]istà in questi termini. È antica e non mai interrotta legge di Spagna, che in quel regno non si possa conferir benefizi o pensioni su d’essi ad alcuno, dagli Spagnoli in fuori, che chiamano ancora nazionali. Per contravvenire alla quale, la curia di Roma avea ricorso ad uno stratagemma. Il papa stabiliva una pensione per qualche italiano, ma in testa a taluno degli Spagnoli che a Roma dimorasse e del fatto si dimostrasse contento.5 Ciò accadeva a ogni tratto, e sopra a qualche Spagnolo erano impiantate pensioni a pro di diversi, per molte migliaia di ducati. Ultimamente, l’attual regio legato e nipote al duca di Lerma rappresentò al papa, che d’ora in là il re non pativa più simile giuntería alle leggi. Questa è la verità. I romaneschi inventeranno qualche altro gingillo pe’ loro fini, trovando duro di non beccarsi più le pensioni.

Considererò più accuratamente quel ch’Ella scrive intorno al possesso; e se ostacoli si affacceranno, la renderò informata. Prego la S.V. a presentar tanti saluti al signor Casaubono, e continuarmi la solita benevolenza. Stia sana.

Venezia, 1 settembre 1609.




Note

  1. Delle stampate in latino, nel tom. VI più volte citato, pag 60.
  2. Ricordando quello che l’Autore nostro scriveva alla fine della Lettera LXXXVIII, conoscerà ognuno come fosse impossibile ch’egli avesse sì presto ottenuto dalla sua Repubblica quello che prometteva all’amico di procurare con ogni suo potere ai 18 d’agosto di quest’anno medesimo. Dovrebbe inferirsene o che qui si tratti di commissione dalla predetta assai diversa, o che la data di questa lunga Lettera sia, nelle precedenti stampe, sbagliata. Potrà somministrare intorno a ciò qualche lume anche la Lettera XXIV, e la nota da noi posta a pag. 89.
  3. La troppo celebre Congregazione del Concilio.
  4. Non poca oscurità, e procedente forse da mala puntuazione, è qui nel testo latino; che ci piace di riportare, facendone giudici gli stessi lettori: “Arrestum ad edictum ad nos perlatum non fuit, sed solum ipsum edictum nudum; sed et his quæ tu narras animadverto quomodo arresto Parlamentum corrigat. Ita dicam, errores regii Consilii; sed id miror quod opus fuit.„
  5. Di tal fatto si accenna ancora in altre Lettere. Può vedersi alla pag. 267, ec.