Lettere (Sarpi)/Vol. I/115

CXV. — A Francesco Priuli

../114 ../116 IncludiIntestazione 24 giugno 2016 75% Da definire

CXV. — A Francesco Priuli
Vol. I - 114 Vol. I - 116
[p. 377 modifica]

CXV. — A Francesco Priuli.1


Oggi otto giorni scrissi a V.E., prevenendo quello che il giorno seguente doveva succedere nella [p. 378 modifica]persona di un prete Marchiano condannato: per il qual successo, se a Roma non si farà motto (come credo), potremo dire che le ragioni della Repubblica sono ben sigillate. Ma, per ogni buon rispetto, ho voluto dar un conto del fatto a V.E. in questa.

Essendo il mercordì decretata la condanna del prete, fu la mattina seguente avvisato il patriarca, e ricercato della degradazione. Il quale prontamente rispose, che non avrebbe mancato; ma il venerdì mattina, tutto mutato per quelle ragioni che ognuno può pensare, somministrategli da’ suoi maggiori, mandò a dire che non poteva far quell’offizio indegno personalmente, nè aveva suffraganeo da commetterlo; e trattò forse con più risoluta maniera di quello che conveniva. Quell’istesso giorno, in Consiglio non mancava chi proponeva di comandare assolutamente che lo facesse; ed altri che consideravano, questo essere un legarsi per sempre ad aspettare la degradazione: onde, ben pensate le ragioni da una parte e dall’altra, fu deliberato tener più conto delli rispetti futuri, che di quello meritasse un particolare contumace; e dato ordine che la condanna si eseguisse, senz’altro. Non possono gli ecclesiastici dolersi di ciò, perchè la degradazione è una pura cerimonia, che non fa cosa alcuna di reale; atteso che, secondo la dottrina della Chiesa romana, gli ordini non si possono mai levare dall’ordinario, nè la degradazione leva altro che la esecuzione, siccome anco la sospensione; e se un degradato si restituisce, non si riordinerebbe; ed il degradato ha la stessa potestà di consecrare e far le altre funzioni, se ben pecca facendole: il che conclude che la degradazione è cerimonia non necessaria. Si [p. 379 modifica]aggiunge per conferma, che ci sono più decretali nel corpo2 canonico, dove si costituisce pena di morte senza altra degradazione; che non s’avrebbe potuto fare quando fosse cerimonia necessaria. L’uso, appresso, dello Stato ecclesiastico sigilla queste dottrine; perchè quotidianamente fanno morire preti e frati, nè mai si tratta di degradazione; ed in quattro anni che io sono stato in Roma, ne sono stati giustiziati più d’una dozzina, e due anco dello stesso mio ordine: il che dico per certificare che parlo di propria scienza. Altre ragioni ci sono più proprie, ma che tengono del legale, che però non scrivo: ma se a Roma si doleranno, avranno risposte che senza dubbio convinceranno. Questo intorno alle cose di Venezia.

Viene nuova (quale si tiene per certa) che in Ispagna hanno fatto partito di un milione e 600 mila ducati con Centurioni, Doria, Spinola, Catanei ed Adorni, a pagare 150,000 per tutto dicembre, 150,000 per li 10 gennaio, 150,000 per li 10 febbraio; e per li quattro mesi primi, incominciando da gennaio, 60,000 al mese; e per li cinque mesi susseguenti, 75,000; per li tre mesi ultimi, 95,000 in Anversa. E per l’Alemagna, 250,000 in Augusta o in Praga, dove meglio parerà alla Maestà Cattolica; per li tre primi mesi dell’anno, 40,000 al mese; il resto in cinque mesi prossimi. Viene anco nuova (ma questa non l’ho così certa) che gli Ungheresi e gli Stati d’Austria abbino fatto provvisione d’armi per 600,000 lire. Di Francia scrive persona assai intendente di negozi, che quel re ha accordato grosse [p. 380 modifica]somme alli principi in pagamento di debiti che ha con essi loro per le genti che menò già in Francia il duca di Due Ponti. Ma la partita del principe di Condé con la moglie,3 rende molta meraviglia a tutti. È cosa certa ch’egli sii giunto prima in Anversa, e poi a Bruselles: è cosa, certo, di grande conseguenza. So questo particolare, che li padri Gesuiti esclamano contro di lui — tolle, crucifige, — non so se per adulare,4 o per odio che portano al padre ed all’avo. Li quali Gesuiti hanno ottenuto dal pontefice un’abbazia di monache di 24,000 franchi di entrata, appresso Besiers in Linguadoca: a che il clero francese si oppone, ma dubito invano; così sono fortunati in quel regno.

Ho fatto tradurre e letto con diligenza la confessione boema, che già V.E. mi mandò: della quale le debbo dire, che è composta da persone molto dotte e molto prudenti, poichè tratta tutti gli articoli in tal maniera, che li Luterani possono dire esser secondo le loro dottrine, e li Calvinisti similmente seconda la loro; con parole e sensi così bene accomodati, che nessuna parte può dire che vi manchi niente della dottrina sua, nè alcuno si può dolere che l’altra sii avvantaggiata. Io confesso di non aver visto scrittura così discreta e prudente; e veggo che codesti dormiglioni vigilano però nell’importanza: per me, li ammiro. M è stato molto caro d’intendere come abbino composto il lor concistoro di [p. 381 modifica]ambe le parti, per la polizza che V.E. manda; e concludo che a governar il mondo con quiete, sii più necessaria una grossezza mediocre, che soverchia sottilità.5

Dalle lettere di Brandeburg mi par vedere gran rispetto di parole verso l’imperatore, ma non molto di fatti. La Germania va a via d’incantonarsi, piuttosto che altro. Le ragioni del duca di Sassonia che mi ha fatte leggere, par che siino promosse più per crescere il numero de’ pretendenti, che per altro; essendo assai rancide. Quanto all’andata delli principi in Italia, senza dubbio non saranno tutti in persona, ma le istanze di Francia faranno che ne saranno alcuni; se però l’andata del principe di Anhalt a quel re, dove a quest’ora deve essere, non fa mutare qualche cosa. Si vanno stuzzicando in molti luoghi di Germania li Cattolici e li Protestanti; e già vi è passata qualche azione fastidiosa tra il vescovo di Bamberga e il marchese di Anspach, per un prete messo dal vescovo in una terra e scacciato dal marchese; ed il vescovo ha fatto guardare da 500 armati la gente dell’elettore di Brandeburg, che tornava dalle nozze. Sarà gran cosa se questi moti s’acquieteranno col negozio.

Io finirò qui pregando Dio che doni ogni felicità a V.E., alla quale bacio riverentemente la mano.

Di Venezia, li 25 dicembre 1609.

Se ben questa è assai lunga e tediosa, non voglio tacer un altro particolare. Passa voce in [p. 382 modifica]Milano, che il re mandi in quella città il re di Fez. Se questo è vero, non può esser altro, salvo che un voler levar le gelosie al re di Marocco: adunque un volersi implicar altrove.




Note

  1. Stampata tra le Opere dell’autore, pag. 126. In detta edizione questa lettera va priva di data; ma bastano a fermarla le parole colle quali comincia “Oggi otto giorni ec.„ dacchè appunto sotto il dì 18 dicembre davasi al Priuli il primo avviso sul prete Marchiano condannato in Venezia alla morte; di che più diffusamente parlasi nella presente. Vedi la Lettera CXII.
  2. La prima stampa ha “corso.„
  3. Vedi la nota a pag. 369.
  4. Cioè, per adulare al re. I principi di Condé, per avversione al ramo regnante in Francia e coll’intento, come credettesi, di supplantarlo, eransi fatti fautori principalissimi della fazione ugonotta.
  5. Preghiamo i sapienti in politica di non voler chiudere affatto gli orecchi al giudizio che sul governo delle umane cose facevasi da frate Paolo Sarpi.