Lettere (Sarpi)/Vol. I/103

CIII. — Al medesimo

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CIII. — A Francesco Priuli.1


Se le mie lettere saranno grate a V.E., questo nascerà senza dubbio dalla connivenza ch’Ella userà scusando le imperfezioni, e riguardando solo al desiderio ch’io ho di servirla, il quale per la sua intenzione supplirà gli altri mancamenti. Da quella di V.E. delli 26 ottobre, veggo che le mie prime sono capitate sicure, sebbene le mandai alla posta [p. 333 modifica]senz’altro mezzo, per essere gl’illustrissimi di casa sua tutti fuori di Venezia.

Non son mai stato con l’animo quieto, per timor che le cose successe nel caso dell’abate2 non partorissero qualche disgusto, se non dopo venuto l’avviso che Sua Santità ha concesso alla serenissima Repubblica le decime con parole dimostrative di molta affezione, essendo da questa azione assicurato che il pontefice non ha più pensiero di promovere difficoltà a questo governo. La cosa viene interpretata variamente secondo li vari giudizi: da alcuni, che questo sii accidente ordinario a tutti li pontefici, che nel principio del loro papato non sentono bene della Repubblica, e dipendono totalmente da altro principe; e dopo imparato il governo, coll’esperienza mutano in tutto il proposito: da altri, che questo sii un tentare se la dolcezza può fargli guadagnar quello che l’asprezza non ha potuto. Resta anche in dubbio se questo sii per confirmare la Repubblica a rivedere le sue ragioni, poichè le è riuscito così bene sino al presente; oppure farla rallentare, per le dimostrazioni di affezione. Altri che il tempo non può manifestare questi segreti; ma ben è certo che l’illustrissimo Mocenigo avrà acquistato gran credito, poichè subito dopo l’arrivo suo a Roma, pare che cessasse ogni tempesta e la serenità principiasse, la quale si è ridotta a questa tranquillità. Un gentiluomo faceto dice, che il Contarini ha scozzonato un cavallo,3 che il Mocenigo ora passeggia. Il nuncio apostolico al presente non tratta cosa di disgusto, [p. 334 modifica]sebben passano alcune che altre volte egli avrebbe pigliate per li capelli. Ma poichè cotesto4 non si ammazza, come V.E. scrive, per le cose di costì, e questo prende l’istesso passo, vado credendo esser deliberazione presa in Roma di voler lasciar passar le cose a dodeci la dozzina.

Di Roma non si ha cosa di momento, se non che il pontefice, quale aveva risoluto che da nessuno fosse fatta risposta al libro del re d’Inghilterra, per non moltiplicar in iscritti (e questo forse saviamente), mutato pensiero, ha concesso ovver comandato al cardinal Bellarmino che scriva; e presto averemo un libro; se Dio voglia, che non si passi a repliche, e si accenda con poca paglia qualche gran fuoco. Del resto, la Gazzetta5 dice una cosa che sarebbe di stima, se fosse vera; la quale io non credo per non averne riscontri, e perchè non discende ai particolari. Dice che li popoli di Carnia, sollevati per voler dal suo principe libertà di religione, abbino scacciato li Gesuiti: non dice però di qual collegio, nè altro [p. 335 modifica]particolare. Da quello che V.S. mi scrive intorno le varie professioni che sono costì e le concorrenze tra loro, sono entrato in qualche confusione; perchè mi era stato scritto che tutte le sètte sub utraque, che sono Ussiti, Confessionisti e Piccardi, erano convenuti in una stessa confessione, la quale anco avevano fatto stampare e chiamata confessione Boema. La supplico chiarirmi questo punto; e se potesse aver copia dell’editto e concessione della Maestà cesarea, l’averei molto grata; siccome anche saprei volentieri, di queste tre sètte, qual porzione di tutto il numero del popolo boemo ciascuna occupa.

Intendo per via assai buona, che a’ 21 del presente sarà un convento di principi protestanti in Halla di Svevia.6 Nel rimanente, quanto alla Germania, viene nuovo che li principi congiunti per le cose di Cleves abbino passato il Reno per infestar Giuliers; e che dall’arciduca Alberto siano state licenziate qualche cornette di cavalleria, che immediate sieno passate agli stipendi di Leopoldo: però si può credere, che in questa controversia si debbi spandere più vino che sangue. Di Olanda si avvisa che si accordano quelle poche reliquie di controversie tra l’arciduca e gli Stati sopra il commercio, sino a che i Zelandesi restino costanti che non vadino navi in Anversa. Ma tra loro Stati non sarà quella concordia in pace, che fu in guerra: già cominciano a contendere sopra le contribuzioni; [p. 336 modifica]principio non troppo buono nella nascenza d’uno Stato.

Delle cose di Venezia ella sarà avvisata da altri. Le dirò questo solo: che già alcuni giorni, nella fortezza degli Orzi, un certo fabbricò un libello famoso contro il governatore, con qualche ingiuria anche il provveditore; per il che fu ordinata la sua cattura. Egli si salvò nel monastero de’ frati di San Francesco Osservanti; di dove il provveditore comandò, atteso l’atrocità del delitto, che fosse levato. Il guardiano del luogo lo introdusse in chiesa, ed appresso il tabernacolo gli diede in mano il Santissimo Sacramento per sicurarlo con quello: fu nondimeno, per ordine del magistrato (non potendosi far altrimenti), levatoli il Sacramento di mano per forza, e preso.7 Il guardiano seguì la corte che menava il prigione per il castello, gridando ad alta voce, che il provveditore era scomunicato, ed altre parole sediziose. In Consiglio de’ X fu presa la retenzione del frate, e menato qua prigione; dove giunse ieri. Non credo che di questo diranno altro a Roma. Sino al presente il nunzio non ha fatto motto alcuno, se non lo facesse questa mattina: cosa che non credo. Farò fine pregando Dio che doni le sue grazie a V.E., alla quale bacio la mano.

Venezia, 6 novembre 1609.




Note

  1. Edita come sopra, pag. 129.
  2. Cioè, dell’abate Cornaro, di cui nelle Lettere XCVI, XCVII ed altre.
  3. Il bizzarro e mal frenabile cavallo della curia romana.
  4. Il nunzio pontificio di Germania.
  5. Comecchè non tanto antica quanto potrebbe desiderarsi, ci piace il trovar qui una siffatta menzione della Gazzetta, che allora stampavasi in Venezia. Si tiene comunemente che i primi fogli pubblici di notizie cominciassero a veder la luce in quella città sul principio del secolo XVII; ma più accurati studi che poi si fecero intorno alla loro origine, portarono a conoscere, che le prime effemeridi politiche vedessero la luce in Venezia nel 1563, e venissero poscia imitate in Inghilterra nel 1588. Comecchessia, il Sarpi ne parla come di cosa ne’ suoi giorni usitatissima; ed è poi tutto veneto quel nome di gazzetta, come significante la piccola moneta che allora pagavasi per l’acquisto di tai fogli. Troveremo anche nelle Lettere CVI e CXIII la Gazzetta di Roma e le Gazzette; ma in tal caso gazzetta potrebbe significare le diverse categorie in cui le notizie uscite dai torchi veneti, quasi geograficamente, si distinguevano.
  6. Di questa riunione allora tenutasi dai principi protestanti della Germania, è menzione anche nella CVIII, ed in altre Lettere del Sarpi; che al certo non dissimula la sua molta inclinazione, non già pei dogmi professati ma per le libertà, a cui sostegno allora quei principi combattevano.
  7. Fecero i birri, e chi quell’ordine diede, assai male. Potevasi, vegliando ben prima che nessuno all’imputato si accostasse, aspettare che la fame o altro bisogno del corpo sopraggiungendolo, egli fosse costretto a por giù il Sagramento, e dopo di ciò catturarlo. Nè intendiamo nemmen con questo di convalidare quelle parole del Sarpi: “atteso l’atrocità del delitto.„