Lettere (Machiavelli)/Lettera XVII a Francesco Vettori
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Magnifico oratori Francisco Victorio etc.
Sarà egli però, doppo mille anni, cosa reprehensibile che io vi scriva altro che favole? Credo di no; et però a me pare, posposto ogni rispetto irragionevole, da pregarvi che voi mi sviluppiate una matassa che io ho nella testa.
Io veggo il re di Spagna, il quale, poi che egli entrò in Italia, è stato sempre il primo motore di tutte le confusioni cristiane, posto in mezzo, al presente, di molte difficoltà. Parmi prima che non faccia per lui che Italia stia con questo viso, et che non possa comportare in essa tanta potenza et della Chiesa et de' Svizzeri, parendoli havere più timore dello stato di Napoli hora, che quando ci erano i Francesi, perché tra Milano et Napoli era allhora il papa il quale non doveva lasciare insignorire del reame i Francesi, per non rimanere in mezzo; ma hora infra il papa, Svizzeri et lui non ci è mezzo veruno. Parmi ancora che stando le cose di là da' monti in guerra non faccia per lui, perché non sempre può riuscire la guerra tavolata, come l'anno passato. Et sarebbe necessario a lungo andare, che il re di Francia o vincesse o perdesse; nell'uno et nell'altro di questo non v'è la sicurtà di Spagna; et quando non nascesse una terza cosa, che si straccassino, potrieno voltarsi tutti a' danni della cagione del loro male, perché è da credere ch'e suoi tranelli sieno conosciuti, et che gli habbino cominciato a generare fastidio et odio nelli animi delli amici et de' nemici.
Concludo adunque, le cose nell'essere presente non faccendo per lui, conviene s'ingegni variarle. A volere variare quelle d'Italia con sua maggiore securtà, conviene che cavi li Svizzeri di Milano, et non vi metta Francia. In questo egli ha due difficultà, l'una come sanza Francia egli ne possa cavare li Svizzeri, l'altra chi egli v'habbia a mettere. Perché considerato il primo caso, io non credo che Francia convenga mai di venire con tutte le sue forze in Lombardia, se non a rimanere padrone; et quando i patti fussero, o pure che vi venisse, o per darlo al secondo figliuolo del re Filippo, come suo genero, o ad altri, non so, trovandosi più potente di forze, se non fosse sempre un babbione, come se lo osservasse, né so come Spagna si possa fidare di questa promessa. Che Svizzeri se ne possino cavare senza Francia, io credo che ciascuno dirà di no, perché, considerato chi e' sono, dove e' sono, quanti e' sono, et animo che gli hanno preso, giudicherà senza le forze di quel re che sia impossibile trarnegli. La seconda difficultà del darlo, alla Chiesa non credo lo dia, a' Veneziani tanto meno, per sé proprio non può pigliarlo. Potrebbelo dare, come si dice, al nipote che è più ragionevole; tamen non vi è veruna sicurtà sua, perché viene per hora a darlo all'imperadore; et, come l'imperadore si vedesse governatore di Milano, li verrebbe subito voglia di diventare imperadore d'Italia, et comincierebbesi da Napoli, dove e Tedeschi hebbono prima ragione che gli Spagnuoli.
Dipoi ci veggo, quando si pigli per l'arciduca contro alla voglia de' Svizzeri, difficultà nel tenerlo, et massime senza l'armi di Francia, perché se Svizzeri non potranno sostenere la piena quando la verrà la lasceranno passare, et subito che la sia passata, vi rientrerranno; perché sanno che se un duca non vi tiene sempre ventimila fanti et seimila cavalli almeno, non vi starà mai sicuro da loro; et a tener questi, Spagna et l'imperadore non bastano. Di qui nasce che Svizzeri, non obstante le pratiche che sentono tenersi che si habbia a dare quel ducato all'arciduca, stanno duri contro a Francia; et di queste pratiche non mostrano curarsi, perché gli stimano che altri che Francia non possa tenere quel ducato contro alla loro voglia, et però si oppongono a Francia, et delli altri si fanno beffe.
Vorrei pertanto, signore oratore, che voi in prima mi rispondessi, se questi mia presupposti vi paiono veri, et quando vi paino, voi me gli risolviate, et se voi vorrete intendere la resoluzione mia, ve ne scriverrò a lungo molto volentieri.
Sono offiziali di Monte il magnifico Lorenzo, Lorenzo Strozzi, Lorenzo Pitti, Ruberto de' Ricci et Mattio Cini. Non hanno fatto uffiziali di vendite, resta la conposizione a loro, et io ho a capitare loro alle mani con nove fiorini di decima, et quattro et mezzo d'arbitrio, che me ne va l'anno in 40 fiorini et ne ho 90 d'entrata o meno. Io mi arrabatto qua il meglio che posso. Se a voi paresse di scrivere una lettera ad alcuno di questi ufiziali, et fare loro fede della mia impossibilità, me ne rimetto a voi. Al magnifico non bisogna scrivere, perché non vi si raguna; basta a uno o dua di quelli altri.
Addì 16 di Aprile 1514.