Lettere (Machiavelli)/Lettera VII a Francesco Guicciardini
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Niccolò Machiavelli a messer Francesco Guicciardini.
Signor Presidente. Per essere io andato, sùbito che io arrivai, in villa, et havere trovato Bernardo mio malato con dua terzane, io non vi ho scritto. Ma tornando stamani di villa per parlare al medico, trovai una di vostra Signoria de' 13, per la quale io veggo in quanta angustia di animo vi ha condotto la simplicità di Messer Nicia et la ignoranzia di cotestoro. Et benché io creda che i dubbii sieno molti, pure, poiché voi vi risolvete a non volere la esplanatione se non di due, io mi ingegnerò di satisfarvi. « Fare a' sassi pe' forni » non vuol dire altro che fare una cosa da pazzi, et però disse quel mio, che se tutti fossimo come messer Nicia, noi faremo a' sassi pe' forni, cioè noi faremo tutti cose da pazzi; et questo basti quanto al primo dubbio.
Quanto alla botta et allo erpice, questo ha invero bisogno di maggior consideratione. Et veramente io ho scartabellato, come fra Timotheo, di molti libri per ritrovare il fondamento di que-sto erpice et infine ho trovato nel Burchiello un testo che fa molto per me, dove egli in un suo sonetto dice
Temendo che lo inperio non passasse
si mandò inbasciatore un paiol d'accia,
le molle et la paletta hebbon(o) la caccia,
che se ne trovò men(o) quattro matasse
ma l'erpice di Fiesole vi trasse...
Questo sonetto mi par molto misterioso, et credo, chi lo considererà bene, che vadia stuzzicando i tempi nostri. Ècci solo questa differenzia: che, se si mandò allhora un paiolo di accia, si è convertita quella accia in maccheroni, tanto che mi pare che tutti li tempi tornino, et che noi siamo sempre quelli medesimi. Lo erpice è un lavorio di legno quadro che ha certi denti et adoperonlo i nostri contadini, quando e' vogliono ridurre le terre a seme, per pianarle. Il Burchiello allega l'erpice di Fiesole per il più antico che sia in Toscana, perché li Fiesolani, secondo che dice Tito Livio nella seconda deca, furono i primi che trovarono questo instrumento. Et pianando un giorno un contadino la terra, una botta, che non era usa a vedere sì gran lavorio, mentre che ella si maravigliava et baloccava per vedere quello che era, la fu sopraggiunta dallo erpice, che le grattò in modo le schiene, che la vi si pose la zampa più di due volte, in modo che, nel passare che fece l'erpice addossole, sentendosi la botta stropicciar forte, gli disse: — Senza tornata; — la quale voce dette luogo al proverbio che dice, quando si vuole che uno non torni: « Come disse la botta all'erpice ». Questo è quanto io ho trovato di buono, et se V. S. ne avesse dubitatione veruna, avvisi.
Mentre che voi sollecitate costì, et noi qui non dormiamo; perché Lodovico Alamanni et io cenamo a queste sere con la Barbera et ragionamo della commedia, in modo che lei si offerse con li suoi cantori a venire a fare il coro in fra gli atti; et io mi offersi a fare le canzonette a proposito delli atti, et Lodovico si offerse a darli costì alloggiamento, in casa i Buosi, a lei et a' cantori suoi; sì che vedete se noi attendiamo a menare, perché questa festa habbia tutti i suoi compimenti. Raccomandomi.