Lettere (Galileo)/VIII/b
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AL SIG. MARCO VELSERI DELLE MACCHIE SOLARI
(Firenze, 14 agosto 1612)
Illustrissimo Sig. e Padron Colendissimo,
Inviai più giorni sono una mia lettera assai lunga a V. S. Illustrissima, scritta in proposito delle cose contenute nelle tre lettere del finto Apelle, dove promossi quelle difficoltà che mi ritraevano dal prestar assenso alle opinioni di quello autore, e più le accennai in parte dove inclinava allora il mio pensiero; dalla quale inclinazione io non pure da quel tempo in qua non mi sono rimosso, ma totalmente mi vi sono confermato, mostrandomi le continuate osservazioni di giorno in giorno, con ogni rincontro possibile ad aversi e col mancamento di qualsivoglia contradizzione, essersi la mia opinione incontrata col vero: di che mi è parso darne conto a V. S., con l’occasione del mandargli alcune figure di esse macchie con giustezza disegnate, ed anco il modo del disegnarle, insieme con una copia di un mio trattatello intorno alle cose che stanno sopra l’acqua o che in essa descendono, che pur ora si è finito di stampare.
Replico dunque a V. S. Illustrissima e più resolutamente confermo, che le macchie oscure, le quali col mezo del telescopio si scorgono nel disco solare, non sono altramente lontane dalla superficie di esso, ma gli sono contigue, o separate di così poco intervallo, che resta del tutto impercettibile: di più, non sono stelle o altri corpi consistenti e di diuturna durazione, ma continuamente altre se ne producono ed altre se ne dissolvono, sendovene di quelle di breve durazione, come di uno, due o tre giorni, ed altre di più lunga, come di 10, 15 e, per mio credere, anco di 30 e 40 e più, come appresso dirò: sono per lo più di figure irregolarissime, le quali figure si vanno mutando continuamente, alcune con preste e differentissime mutazioni, ed altre con più tardezza e minor variazione: si vanno ancora alterando nell’incremento e decremento dell’oscurità, mostrando come tal ora si condensano e tal ora si distraggono e rarefanno; oltre al mutarsi in diversissime figure, frequentemente si vede alcuna di loro dividersi in tre o quattro, e spesso molte unirsi in una, e ciò non tanto vicino alla circonferenza del disco solare, quanto ancora circa le parti di mezo: oltre a questi disordinati e particolari movimenti, di aggregarsi insieme e disgregarsi, condensarsi e rarefarsi e cangiarsi di figure, hanno un massimo comune ed universal moto, col quale uniformemente ed in linee tra di loro parallele vanno discorrendo il corpo del Sole: da i particolari sintomi del qual movimento si viene in cognizione, prima, che il corpo del Sole è assolutamente sferico; secondarianente, ch’egli in sé stesso e circa il proprio centro si raggira, portando seco in cerchi paralleli le dette macchie, e finendo una intera conversione in un mese lunare in circa, con rivolgimento simile a quello de gli orbi de i pianeti, cioè da occidente verso oriente. Di più, è cosa degna di esser notata, come la moltitudine delle macchie par che caschi sempre in una striscia o vogliamo dir zona del corpo solare, che vien compresa tra due cerchi che rispondono a quelli che terminan le declinazioni de i pianeti, e fuori di questi limiti non mi par di aver sin ora osservata macchia alcuna, ma tutte dentro a tali confini; sì che né verso borea né verso austro mostrano di declinar dal cerchio massimo della conversion del Sole più di 28 0 29 gradi in circa.
Le loro differenti densità e negrezze, le mutazioni di figure e gli accozzamenti e le separazioni sono per sé stesse manifeste a senso, senz’altro bisogno di discorso; onde basteranno alcuni semplici rincontri di tali accidenti sopra i disegni che gli mando, li quali faremo più a basso: ma che le siano contigue al Sole e che a rivolgimento di quello venghino portate in giro, ha bisogno che la ragione discorrendo lo deduca e concluda da certi particolari accidenti che le sensate osservazioni ci somministrano.
E prima, il vederle sempre muoversi con un moto universale e comune a tutte, ancor che in numero ben spesso siano più di 20 ed ancor 30, era fermo argomento, una sola esser la causa d tale apparente mutazione, e non che ciascheduna da per sé andasse vagando nella guisa de i pianeti intorno al corpo solare, e molto meno in diversi cerchi e diverse distanze dal medesimo Sole; onde si doveva necessariamente concludere, o che elle fossero in un orbe solo, il quale a guisa di stelle fisse le portasse intorno al Sole, o vero che le fossero nell’istesso corpo solare, il quale, rivolgendosi in sé stesso, seco le conducesse. Delle quali due posizioni, questa seconda, per mio parere, è vera, e l’altra falsa; sì come falsa ed impossibile si troverà esser qualsivoglia altra posizione che assumere si volesse, come tenterò di dimostrare col mezo di manifeste repugnanze e contradizzioni.
All’ipotesi che le siano contigue alla superficie del Sole e che dal rivolgimento di quello venghino portate in volta, rispondono concordemente tutte l’apparenze, senza che s’incontri inconveniente o difficoltà veruna. Per il che dichiarar, è ben che determiniamo nel globo del Sole i poli, i cerchi, le lunghezze e le larghezze, conformi a quelle che noi intendiamo nella celeste sfera. Però, dunque, quando il Sole si rivolga in sé stesso e sia di superficie sferica, i due punti stabili si diranno i suoi poli, e tutti gli altri punti notati nella sua superficie descriveranno circonferenze di cerchi paralleli fra di loro, maggiori o minori secondo la maggiore o minore distanza da i poli; e massimo sarà il cerchio di mezzo, egualmente distante da ambedue i poli. La longitudine o lunghezza della superficie solare sarà la dimensione che si considera secondo l’estensione delle circonferenze de’ cerchi detti; ma la latitudine o larghezza sarà la dilatazione per l’altro verso, cioè dal cerchio massimo verso i poli: onde la lunghezza delle macchie si chiamerà la dimensione presa con una linea parallela a i sopradetti cerchii, cioè presa per quel verso secondo ’l quale si fa la conversione del Sole; e la larghezza s’intenderà esser quella che s’estende verso i poli, e che vien determinata da una linea perpendicolare alla linea della lunghezza.
Dichiarati questi termini, cominceremo a considerar tutti i particolari accidenti che si osservano nelle macchie solari, da i quali si possa venire in cognizione del sito e movimento loro. E prima, il mostrarsi generalmente le macchie, nel lor primo apparir e nell’ultimo occultarsi vicino alla circonferenza del Sole, di pochissima lunghezza ma di larghezza eguale a quella che hanno quando sono nelle parti più interne del disco solare; a quelli che intenderanno, in virtù di perspettiva, ciò che importi lo sfuggimento della superficie sferica vicino all’estremità dell’emisfero veduto, sarà manifesto argomento sì della globosità del Sole, come della prossimità delle macchie alla solar superficie, e del venir esse poi portate sopra la medesima superficie verso le parti di mezo, scoprendosi sempre accrescimento nella lunghezza e mantenendosi la medesima larghezza. E se bene non tutte si mostrano, quando sono vicinissime alla circonferenza, egualmente attenuate e ridotte a una sottigliezza d’un filo, ma alcune formano il loro ovato più gracile ed altre meno, ciò proviene perché le non sono semplici macchie superficiali, ma hanno grossezza ancora, o vogliamo dir altezza, ed altre maggiore, altre minore; sì come nelle nostre nugole accade, le quali, distendendosi per lo più, quanto alla lunghezza e larghezza, decine e tal or centinaia di miglia, quanto poi alla grossezza son ben or più ed or meno profonde, ma non si vede che tal profondità passi molte centinaia o al più migliaia di braccia. Così, potendo esser la grossezza delle macchie solari, ancor che picciola in comparazione dell’altre due dimensioni, maggiore in una macchia e minore in un’altra, accaderà che le macchie più sottili, vicine alla circonferenza del Sole, dove vengono vedute per taglio, si mostrino gracilissime (e massime perché la metà interiore di esso taglio viene illustrata dal lume prossimo del Sole), ed altre di maggior profondità apparischino più grosse. Ma che molte di loro si riducessero alla sottigliezza di un filo, come l’esperienza ci insegna, ciò non potrebbe in conto alcuno accadere se il movimento col quale mostrano di traversare il disco del Sole fosse fatto in cerchii lontani, ben che per breve intervallo, dal globo solare; perché la diminuzion grande delle lunghezze si fa sullo sfuggimento massimo, cioè su la svolta del cerchio, la quale verrebbe a cascar fuori del corpo del Sole, quando le macchìe fossero portate in circonferenze per qualche spazio notabile lontane dalla superficie di lui.
Notasi, nel secondo luogo, la quantità de gli spazii apparenti secondo i quali le macchie medesime mostrano di andarsi movendo di giorno in giorno; ed osservasi che gli spazii passati in tempi eguali dalla medesima macchia appariscono sempre minori, quanto più si trovano vicini alla circonferenza del Sole; e vedesi, diligentemente osservando, che tali diminuzioni ed incrementi, notati l’un dopo l’altro con l’interposizione di tempi eguali, molto proporzionatamente rispondono a i sini versi e loro eccessi congruenti ad archi eguali: il qual fenomeno non ha luogo in verun altro movimento che nel circolar contiguo all’istesso Sole; perché in cerchii, ancor che non molto, lontani dal globo solare, gli spazii passati in tempi eguali incontro alla superficie del Sole apparirebbono pochissimo tra di loro differenti.
Il terzo accidente, che mirabilmente conferma questa conclusione, si cava da gl’interstizii che sono tra macchia e macchia, de i quali altri si mantengono sempre gli stessi, altri grandissimamente si agumentano verso le parti di mezo del disco solare, li quali furon avanti, e son poi dopo, brevissimi, ed anco quasi insensibili vicino alla circonferenza, ed altri pur si mutano, ma con mutazioni differentissime; tuttavia son tali, che simili non potrebbono incontrarsi in altro moto che nel circolare, fatto da diversi punti diversamente posti sopra un globo che in sé stesso si converta. Le macchie che hanno la medesima declinazione, cioè che sono poste nell’istesso parallelo, nel primo apparire par quasi che si tocchino, quando la lor vera distanza sia breve; che se sarà alquanto maggiore, appariranno ben separate, ma più vicine assai che quando si trovano verso il mezo del disco solare; e secondo che si discostano dalla circonferenza, vengono separandosi ed allontanandosi l’una dall’altra sempre più, sin che si trovano con pari distanze remote dal centro del disco, nel qual luogo è la lor massima separazione; d’onde partendosi, tornano di nuovo a ravvicinarsi tra di loro più e più, secondo che s’appressano alla circonferenza: e se con accuratezza si noteranno le proporzioni di tali appressamenti e discostamenti, si vedrà che parimente non possono aver luogo, se non in movimenti fatti sopra l’istessa superficie del globo solare.
Dico di più, che tali macchie non solamente sono vicinissime e forse contigue, alla superficie del Sole, ma, oltre a ciò, si elevano poco da quella, in quanto alla lor grossezza o vogliamo dire altezza; cioè dico che sono assai sottili, in comparazion della lunghezza e larghezza loro. Il che raccolgo dall’apparire che fanno i loro interstizii divisi e distinti ben spesso sino all’ultimo lembo del disco solare, ancor che si osservino macchie poco tra lor distanti e poste nell’istesso parallelo. [...] Avvertisco di più, che non tutte le macchie tra di sé vicinissime si mostrano separate sino all’ultima circonferenza, anzi alcune par che si unischino: il che può accadere talvolta per essere, la più remota dalla circonferenza, più grossa ed alta della più vicina; oltre che ci sono i movimenti lor proprii irregolati e vagabondi, che possono cagionare varie apparenze in questo particolare: ma noto bene universalmente, che la negrezza di tutte si diminuisce assai assai quando son vicine all’estremo termine del disco; il che accade, per mio parere, dallo scoprirsi il taglio illuminato e dallo ascondersi molto i dorsi oscuri delle macchie, le cui tenebre restano assai confuse a gli occhi nostri dalla copia della luce. Io potrei addurre a V. S. molti altri esempli, ma sarei troppo prolisso, e mi riserberò a scriverne più diffusamente in altro luogo; e voglio per ora contentarmi di avergli accennato il mio parere, nato dalla continuazione di molte osservazioni: che è in somma, che la lontananza delle macchie dalla superficie del Sole sia o nulla, o così poca che non possa cagionare accidente alcuno comprensibile da noi e che la profondità o grossezza loro sia parimente poca in comparazion dell’altre due dimensioni, imitando anco in questo particolare le nostre maggiori nugolate.
E questi sono gl’incontri che aviamo dalle macchie che si trovano nell’istesso parallelo. Le macchie poi che sono poste in diversi paralleli, ma sono, per così dire, sotto ’l medesimo meridiano, cioè che la linea che le congiugne, taglia i paralleli a squadra, e non obliquamente, non mutano distanza fra di loro, ma quella che ebbero nel loro primo comparire, vanno mantenendo sempre sino all’ultima occultazione: le altre poi che sono in diversi paralleli ed in diversi meridiani, vanno pur crescendo e poi diminuendo i lor intervalli, ma con maggiori differenze quelle che si rimirano più obliquamente, cioè che sono in paralleli più vicini ed in meridiani più remoti, e con minor varietà di all’incontro quelle che meno obliquamente sono tra loro situate: e chi bene andrà commensurando tutte le simili diversità, troverà il tutto rispondere e con giusta simmetria concordar solamente con la nostra ipotesi, e discordar da qualunque altra. Devesi però tuttavia avvertire, che non sendo tali macchie totalmente fisse ed immutabili nella faccia del Sole, anzi andandosi continuamente per lo più mutando di figura ed aggregandosi alcune insieme ed altre disgregandosi, può per simili picciole mutazioni cagionarsi qualche poco di varietà ne i rincontri precisi delle narrate osservazioni; le quali diversità, per la lor picciolezza in proporzion della massima ed universal conversione del Sole, non dovran partorire scrupolo alcuno a chi giudiziosamente andrà, per così dire, tarando l’eguale e general movimento con queste accidentarie alterazioncelle.
Ora, quanto, per tutti questi rincontri, l’apparenze che si osservano nelle macchie, puntualmente rispondono all’esser loro contigue alla superficie del Sole, all’esser quella sferica, e non d’altra figura, ed all’esser dal medesimo Sole portate in giro dal suo rivolgimento in sé stesso, tanto con incontri di manifeste repugnanze contrariano ad ogni altra posizione che si tentasse di dargli.
Imperò che se alcuno volesse costituirle nell’aria, dove pare che altre impressioni simili a quelle continuamente si vadano producendo e dissolvendo, con accidenti conformi di aggregarsi e dividersi, condensarsi e rarefarsi, e con mutazioni di figure inordinatissime; prima, ingombrando esse molto piccoli spazii nel disco solare mentre fra l’occhio nostro e quello s’interpongono, ed essendo così vicine alla Terra, bisognerebbe che le fossero a moli non maggiori di picciolissime nugolette, poi che ben minima domanderemo una nugola che non basti ad occultarci il Sole: e se così è, come in sì piccole moli sarà tal densità di materia che possa con tanta contumacia resistere alla forza de i raggi solari, sì che né le penetrino col lume, né le dissolvino per molti e molti giorni con la lor virtù? Come, generandosi nelle regioni circonvicine alla Terra, e, s’io bene stimo, per detto altrui forse delle evaporazioni di quella, come, dico, cascano tutte tra ’l Sole e noi, e non in altra parte dell’aria? poi che niuna se ne scorge sotto la faccia della Luna illuminata, né si vede separata dal Sole, in aspetto oscuro o vero illustrata da i suoi raggi, come delle nugole accade, delle quali continuamente ne veggiamo dell’oscure e dell’illuminate, intorno al Sole ed in ogni altra parte dell’aria? Più, scorgendo noi la materia di tali macchie esser per sua natura mutabile, poi che senza regola alcuna s’aggregano fra di loro e si separano, qual virtù sarà poi quella che gli possa communicare e con tanta regola contemperar il movimento diurno, sì che mai preterischino di accompagnare il Sole, se non quanto un movimento comune a tutte e regolato le fa trascorrere in 15 giorni in circa il disco solare, dove che l’altre aeree impressioni trascorrono in minimi momenti di tempo non pur la faccia del Sole ma spazii molto maggiori?
A simili ragioni, come molto probabili, risponder non si può senza introdur grand’improbabilità. Ma ci restano le dimostrazioni necessarie e che non ammettono risposta veruna: delle quali una è il vedersi quelle, nel tempo medesimo, da diversi luoghi della Terra e molto tra di loro distanti, disposte con l’istesso ordine e nelle parti medesime del Sole, sì come per varii rincontri di disegni ricevuti da diverse bande ho potuto osservare, argomento necessario della lor grandissima lontananza dalla Terra al che con ammirabil assenso si accorda il cader tutte dentro a quella fascia del globo solare che risponde allo spazio della sfera celeste che vien compreso dentro a i tropici o, per meglio dire dentro a i due paralleli che determinano le massime declinazioni de i pianeti; il che non devo io credere che sia particolar privilegio della città di Firenze, dove io abito, ma ben devo stimare che dentro a i medesimi confini siano vedute da ogni altro luogo quanto si voglia più australe o boreale. Di più, il non fare altra mutazione di luogo sotto il disco solare che quella universale e comune a tutte le macchie, con la quale in 15 giorni in circa lo traversano, e quelle piccole ed accidentarie secondo le quali tal ora alcune si aggregano ed altre si separano, necessariamente convince a porle molto superiori alla Luna; perché altramente, come ben nota ancora Apelle, bisognerebbe che nel tempo tra ’l nascere e ’l tramontar del Sole tutte uscissero fuori del disco solare mediante la parallasse. E se pure alcuno volesse attribuir loro qualche movimento proprio, per il quale la diversità d’aspetto fosse compensata, non potrebbono le medesime macchie, vedute oggi da noi, tornar a mostrarsi dimane; il che è contro l’esperienza poi che non pure ritornano a farsi vedere il secondo giorno, ma il terzo e quarto, e sino al quartodecimo.
Son dunque le macchie, per necessarie dimostrazioni, superiori di assai alla Luna; ed essendo nella region celeste, niun’altra posizione che nella superficie del Sole, e niun altro movimento fuori che la conversion di quello in sé stesso, se gli può senz’altre repugnanze assegnare. Imperò che tra tutte l’imaginabili ipotesi, la più accomodata a satisfare alle apparenze narrate sarebbe porre una sferetta tra il corpo solare e noi, sì che l’occhio nostro ed i centri di quella e del Sole fossero in linea retta, e, più, che il suo diametro apparente fosse eguale a quel del corpo solare, nella superficie della quale sfera si producessero e dissolvessero tali macchie, e dal rivolgimento della medesima in sé stessa venissero portate in volta: tal posizion, dico, che satisferebbe alle sopradette apparenze, quando però se gli assegnasse luogo tanto superiore alla Luna, che fosse libero dall’oppugnazione delle parallassi, così di quella che depende dal moto diurno come dell’altra che nasce dalle diverse posizioni in Terra, e questo acciò che a tutte l’ore ed a tutti i riguardanti i centri di detta sfera e del Sole si mantenessero nella medesima linea retta; ma con tutto questo una inevitabil difficoltà ci convince, ed è che noi doveremmo vedere le macchie muoversi sotto il disco solare con movimenti contrarii: imperò che quelle che fossero nell’emisfero inferiore della imaginata sfera, si moverebbono verso il termine opposto a quello verso il quale caminassero l’altre, poste nell’emisfero superiore; il che non si vede accadere. Oltre che, sì come a gl’ingegni specolativi e liberi, che ben intendono non esser mai stato con efficacia veruna dimostrato, né anco potersi dimostrare, che la parte del mondo fuori del concavo dell’orbe lunare non sia soggetta alle mutazioni ed alterazioni, niuna difficoltà o repugnanza al credibile ha apportato il veder prodursi e dissolversi tali macchie in faccia al Sole stesso; così gli altri, che vorrebbono la sustanza celeste inalterabile, quando si vegghino astretti da ferme e sensate esperienze a porre esse macchie nella parte celeste, credo che poco fastidio di più gli darà il porle contigue al Sole che in altro luogo.
Convinta ch’è di falsità l’introduzione di tale sfera tra ’l Sole e noi, che sola, ma con poco guadagno di chi volesse rimuovere le macchie dal Sole, poteva sodisfare a buona parte de i fenomeni, non occorre che perdiamo tempo in riporvar ogni altra imaginabile posizione; perché ciascheduno per sé stesso immediatamente incontrerà impossibili e contradizioni manifeste, tuttavolta che sia ben restato capace di tutti i fenomeni che di sopra ho raccontati, e che veramente si osservano di continuo in esse macchie.
Quanto poi alle massime durazioni delle maggiori e più dense, ben che non si possa affermare di certo se alcune ritornino l’istesse in più d’una conversione, rispetto a i continui mutamenti di figure che ci tolgono il poterle raffigurare, tuttavia io sarei d’opinione che alcuna ritornasse a mostrarcisi più d’una volta: ed a così credere m’indece il vederne alcuna comparire grande assai ed accrescersi sempre, sin che l’emisfero veduto dà volta; e sì come è credibile ch’ella si fosse generata molto avanti la venuta sua, così è ragionevole il credere ch’ella sia per durare assai dopo la partita, sì che la durazion sua venga ad esser molto più lunga del tempo di una meza conversion del Sole: e come questo è, alcune macchie possono senza dubbio, anzi necessariamente, esser da noi vedute due volte; e queste sarebbono tal una di quelle che si producessero nell’emisfero veduto vicino all’occultarsi, e poi, passando nell’altro, seguitassero di prender argumento, né si dissolvessero sin che tornassero ancora a scoprircisi; e per ciò fare basta la durazione di tre o quattro giorni più del tempo di una meza conversione. Ma io, di più, credo che ve ne siano di quelle che più d’una volta traversino tutto l’emisfero veduto; quali son quelle che dal primo comparrire, si vanno sempre augumentando sin che le veggiamo, e fannosi di straordinaria grandezza, le quali possono continuar di crescere ancora mentere ci si occultano, e non è credibile che poi in più breve tempo si diminuischino e dissolvino, perché niuna delle grandissime si è osservato che repentinamente si disfaccia: ed io ho più volte osservato, dopo la partita di alcuna delle massime sendo scorso il tempo di una meza conversione, tornare a comparire una, ch’era, per mio credere, l’istessa, e passar per l’istesso parallelo.
Dalle cose dette sin qui, parmi, s’io non m’inganno, che necessariamente si conchiuda, le macchie solari esser contigue o vicinissime al corpo del Sole. esser materie non permanenti e fisse, ma variabili di figura e di densità, e mobili ancora, chi più e chi meno, di alcuni piccoli movimenti indeterminati ed irregolari, ed universalmente tutte prodursi e dissolversi, altre in più brevi, altre in più lunghi tempi; è anco manifesta ed indubitabile la lor conversione intorno al Sole: ma il determinare se ciò avvenga perché il corpo stesso del Sole si converta e rigiri in sé stesso portandole seco, o pure che, restando il corpo solare immoto, il rivolgimento sia dell’ambiente, il quale le contenga e seco le conduca, resta in certo modo dubbio, potendo essere e questo e quello. Tuttavia a me pare assai più probabile che il movimento sia del globo solare, che dell’ambiente. Ed a ciò credere m’induce, prima, la certezza che io prendo dell’esser tale ambiente molto tenue fluido e cedente, dal veder così facilmente mutarsi di figura aggregarsi e dividersi le macchie in esso contenute, il che in una materia solida e consistente non potrebbe accadere (proposizione che parrà assai nuova nella comune filosofia): ora un movimento costante e regolato, quale è l’universale di tutte le macchie, non par che possa aver sua radice e fondamento primario in una sostanza flussibile e di parti non coerenti insieme, e però soggette alle commozioni e conturbamenti di molti altri movimenti accidentarii, ma bene in un corpo solido e consistente, ove per necessità un solo è il moto del tutto e delle parti; e tale è credibile che sia il corpo solare, in comparazion del suo ambiente. Tal moto poi, participato all’ambiente per il contatto, ed alle macchie per l’ambiente, o pur conferito per il medesimo contatto immediatamente alle macchie, le può portar intorno. Di più, quando bene altri volesse che la circolazione delle macchie intorno al Sole procedesse da moto che risedesse nell’ambiente, e non nel Sole, io crederei ad ogni modo esser quasi necessario che il medesimo ambiente comunicasse per il contatto l’istesso movimento al globo solare ancora.
Imperò che mi par di osservare che i corpi naturali abbino naturale inclinazione a qualche moto, come i gravi al basso, il qual movimento vien da loro, per intrinseco principio e senza bisogno di particolar motore esterno, esercitato, qual volta non restino da qualche ostacolo impediti; a qualche altro movimento hanno repugnanza, come i medesimi gravi al moto in su, e però già mai non si moveranno in cotal guisa se non cacciati violentemente da un motore esterno; finalmente, ad alcuni movimenti si trovano indifferenti, come pur gl’istessi gravi al movimento orizontale, al quale non hanno inclinazione, poi che ei non è verso il centro della Terra, né repugnanza, non si allontanando dal medesimo centro: e però, rimossi tutti gl’impedimenti esterni, un grave nella superficie sferica e concentrica alla Terra sarà indifferente alla quiete ed a i movimenti verso qualunque parte dell’orizonte, ed in quello stato si conserverà nel qual una volta sarà stato posto; cioè se sarà messo in stato di quiete, quello conserverà, e se sarà posto in movimento, verbigrazia verso occidente, nell’istesso si manterrà: e così una nave, per essempio, avendo una sol volta ricevuto qualche impeto per il mar tranquillo, si moverebbe continuamente intorno al nostro globo senza cessar mai, e postavi con quiete, perpetuamente quieterebbe, se nel primo caso si potessero rimuovere tutti gl’impedimenti estrinseci, e nel secondo qualche causa motrice esterna non gli sopraggiugnesse. E se questo è vero, sì come è verissimo, che farebbe un tal mobile di natura ambigua, quando si trovasse continuamente circondato da un ambiente mobile d’un moto al quale esso mobile naturale fosse per natura indifferente? Io non credo che dubitar si possa, ch’egli al movimento dell’ambiente si movesse. Ora il Sole, corpo di figura sferica, sospeso e librato circa il proprio centro, non può non secondare il moto del suo ambiente, non avendo egli, a tal conversione, intrinseca repugnanza né impedimento esteriore. Interna repugnanza aver non può, atteso che per simil conversione né il tutto si rimuove dal luogo suo, né le parti si permutano tra di loro o in modo alcuno cangiano la lor naturale costituzione, tal che, per quanto appartiene alla costituzione del tutto con le sue parti, tal movimento è come se non fosse. Quanto a gl’impedimenti esterni, non par che ostacolo alcuno possa senza contatto impedire (se non forse la virtù della calamita): ma nel nostro caso tutto quel che tocca il Sole, che è il suo ambiente, non solo non impedisce il movimento che noi cerchiamo di attribuirgli, ma egli stesso se ne muove, e movendosi lo comunica ove egli non trovi resistenza, la qual esser non può nel Sole: adunque qui cessano tutti gli esterni impedimenti. Il che si può maggiormente ancora confermare: perché, oltre a quello che si è detto, non par che alcun mobile possa aver repugnanza ad un movimento senz’aver propension naturale all’opposto (perché nella indifferenza non è repugnanza); e perciò chi volesse por nel Sole renitenza al moto circolare del suo ambiente, pur vi porrebbe natural propensione al moto circolare opposto a quel dell’ambiente; il che mal consuona ad intelletto ben temperato.
Dovendosi, dunque, in ogni modo por nel Sole l’apparente conversione delle macchie, meglio è porvela naturale, e non per participazione, per la prima ragione da me addotta.
Molte altre considerazioni potrei arrecar per confirmazion maggiore della mia opinione, ma di troppo trapasserei i termini di una lettera; però, per finir di più tenerla occupata, vengo a satisfare alla promessa ad Apelle, cioè al modo del disegnar le macchie con somma giustezza, ritrovato, come nell’altra gli accennai, da un mio discepolo, monaco Cassinense, nominato D. Benedetto de i Castelli, famiglia nobile di Brescia, uomo d’ingegno eccellente e, come conviene, libero nel filosofare. Ed il modo è questo. Devesi drizzare il telescopio verso il Sole, come se altri lo volesse rimirare; ed aggiustatolo e fermatolo, espongasi una carta bianca e piana incontro al vetro concavo, lontana da esso vetro quattro o cinque palmi; perché sopraessa caderà la specie circolare del disco del Sole, con tutte le macchie che in esso si ritrovano, ordinate e disposte con la medesima simmetria a capello che nel Sole son situate; e quanto più la carta si allontanerà dal cannone, tanto tal immagine verrà maggiore e le macchie meglio si figureranno, e senz’alcuna offesa si vedranno tutte sino a molte picole, le quali, guardando per il cannone, con fatica grande e con danno della vista appena si potrebbono scorgere. E per disegnarle giuste, io descrivo prima sopra la carta un cerchio, della grandezza che più mi piace, e poi, accostando o rimovendo la carta dal cannone, trovo il giusto sito dove l’immagine del Sole si allarga alla misura del descritto cerchio: il quale mi serve anco per norma e regola di tener il piano del foglio retto, e non inclinato al cono luminoso de i raggi solari ch’escono del telescopio; perché quando e’ fosse obliquo, la sezzione viene ovata, e non circolare, e però non si aggiusta con la circonferenza segnata sopra ’l foglio; ma inclinando più o meno la carta, si trova facilmente la positura giusta, che è quando l’immagine del Sole s’aggiusta col cerchio segnato. Ritrovata che si è tal positura, con un pennello si va notando, sopra le macchie stesse, le figure grandezze e siti loro: ma convien andare destramente secondando il movimento del Sole, e, spesso movendo il telescopio, bisogna procurare di mantenerlo ben dritto verso il Sole; il che si conosce guardando nel vetro concavo, dove si vede un piccolo cerchietto luminoso, il quale sta concentrico ad esso vetro quando il telescopio è ben diritto verso il Sole. E per veder le macchie distintissime e terminate, è ben inscurir la stanza serrando ogni finestra, sì che altro lume non vi entri che quello che vien per il cannone; o almeno inscuricasi più che si può, ed al cannone si accomodi un cartone assai largo, che faccia ombra sopra la carta dove si ha da disegnare e impedisca che altro lume del Sole non vi caschi sopra, fuor che quello che vien per i vetri del cannone. Devesi appresso notare, che le macchie escono del cannone inverse, e poste al contrario di quello che sono nel Sole, cioè le destre vengono sinistre, e le superiori inferiori, essendo che i raggi s’intersegano dentro al cannone, avanti ch’eschino fuori del vetro concavo; ma perché noi le disegniamo sopra una superficie opposta al Sole, quando noi, volgendoci verso il Sole, tenghiamo la carta disegnata opposta alla nostra vista, già la superficie dove prima disegnammo non è più contrapposta ma aversa al Sole, e però le parti destre si sono già ridrizzate, rispondendo alle destre del Sole, e le sinistre alle sinistre, onde resta che solamente s’invertano le superiori ed inferiori; però, rivoltando il foglio a rovescio facendo venire il di sopra di sotto, e guardando per la trasparenza della carta contro al chiaro, si veggono le macchie giuste. come se guardassimo direttamente nel Sole; ed in tale aspetto si devono sopra un altro foglio lucidare e descrivere, per averle ben situate.
Io ho poi riconosciuto la cortesia della natura, la quale, mille e mille anni sono, porse facoltà di poter venire in notizia di tali macchie, e per esse di alcune gran consequenze; perché, senz’altri strumenti, da ogni piccolo foro per il quale passino i raggi solari viene in distanze grandi portata e stampata sopra qual si voglia superficie opposta l’immagine del Sole con le macchie. Ben è vero che non sono a gran pezzo così terminate come quelle del telescopio; tuttavia le maggiori si scorgono assai distinte: e V. S. vedendo in chiesa da qualche vetro rotto e lontano cader il lume del Sole nel pavimento, vi accorra con un foglio bianco e disteso, ché vi scorgerà sopra le macchie. Ma più dirò, esser la medesima natura stata così benigna, che per nostro insegnamento ha tal ora macchiato il Sole di macchia così grande ed oscura, ch’è stata veduta da infiniti con la sola vista naturale; ma un falso ed inveterato concetto, che i corpi celesti fossero esenti da ogni alterazione e mutazione, fece credere che tal macchia fosse Mercurio interposto tra il Sole e noi, e ciò non senza vergogna de gli astronomi di quell’età: e tale fu senza alcun dubbio quella di cui si fa menzione ne gli Annali ed Istorie de i Franzesi ex Bibliotheca P. Pithoei I. C., stampat’in Parigi l’anno 1588, dove, nella vita di Carlo Magno, a fogli 62, si legge essersi per otto giorni continui veduta dal popol di Francia una macchia nera nel disco solare, della quale l’ingresso e l’uscita per l’impedimento delle nugole non potette esser osservata, e fu creduta esser Mercurio allora congiunto col Sole. Ma questo è troppo grand’errore, essendo che Mercurio non può restar congiunto col Sole né anco per lo spazio di ore sette; tale è il suo movimento, quando si viene a interporre tra ’l Sole e noi. Fu, dunque, tal fenomeno assolutamente una delle macchie grandissima ed oscurissima; e delle simili se ne potranno incontrare ancora per l’avvenire, e forse, applicandoci diligente osservazione, ne potremo veder alcuna in breve tempo. Se questo scoprimento fosse seguito alcuni anni avanti, averebbe levat’al Keplero la fatica d’interpretar e salvar questo luogo con le alterazioni del testo ed altre emendazioni di tempi: sopra di che io non starò al presente ad affaticarmi, sicuro che detto autore, come vero filosofo e non renitente alle cose manifeste, non prima sentirà queste mie osservazioni e discorsi, che gli presterà tutto l’assenso.
Ora, per raccòr qualche frutto dalle inopinate meraviglie che sino a questa nostra età sono state celate, sarà bene che per l’avvenire si torni a porgere orecchio a quei saggi filosofi che della celeste sustanza diversamente da Aristotele giudicarono, e da i quali Aristotele medesimo non si sarebbe allontanato se delle presenti sensate osservazioni avesse auta contezza: poi che egli non solo ammesse le manifeste esperienze tra i mezi potenti a concludere circa i problemi naturali, ma diede loro il primo luogo. Onde se egli argomentò l’immutabilità de’ cieli dal non si esser veduta in loro ne’ decorsi tempi alterazione alcuna, è ben credibile che quando ’l senso gli avesse mostrato ciò che a noi fa manifesto, arebbe seguita la contraria opinione, alla quale con sì mirabili scoprimenti venghiamo chiamati noi. Anzi dirò di più, ch’io stimo di contrariar molto meno alla dottrina d’Aristotele col porre (stanti vere le presenti osservazioni) la materia celeste alterabile, che quelli che pur la volessero sostenere inalterabile; perché son sicuro che egli non ebbe mai per tanto certa la conclusione dell’inalterabilità, come questa, che all’evidente esperienza si deva posporre ogni umano discorso: e però meglio si filosoferà prestando l’assenso alle conclusioni dependenti da manifeste osservazioni, che persistendo in opinioni al senso stesso repugnanti, e solo confermate con probabili o apparenti ragioni. Quali poi e quanti sieno i sensati accidenti che a più certe conclusioni c’invitano, non è difficile l’intenderlo. Ecco, da virtù superiore, per rimuoverci ogni ambiguità, vengono inspirati ad alcuno metodi necessarii, onde s’intenda, la generazion delle comete esser nella regione celeste; a questo, come testimonio che presto trascorre e manca, resta ritroso il numero maggiore di quelli che insegnano a gli altri: eccoci mandate nuove fiamme di più lunga durazione, in figura di stelle lucidissime, prodotte pure e poi dissolutesi nelle remotissime parti del Cielo: né basta questo per piegar quelli alla mente de i quali non arrivano le necessità delle dimostrazioni geometriche: ecco finalmente scoperto in quella parte del Cielo che meritamente la più pura e sincera stimar si deve, dico in faccia del Sole stesso, prodursi continuamente ed in brevi tempi dissolversi innumerabile moltitudine di materie oscure dense e caliginose; eccoci una vicissitudine di produzioni e disfacimenti che non finirà in tempi brevi, ma, durando in tutti i futuri secoli darà tempo a gl’ingegni umani di osservare quanto lor piacerà e di apprendere quelle dottrine che del sito loro gli possa rendere sicuri. Ben che anco in questa parte doviamo riconoscere la benignità divina; poi che di assai facile e presta apprensione son quei mezi che per simile intelligenza ci bastano; e chi non è capace di più, procuri di aver disegni fatti in regioni remotissime, e gli conferisca con i fatti da sé ne gli stessi giorni, ché assolutamente gli ritroverà aggiustarsi con i suoi: ed io pur ora ne ho ricevuti alcuni fatti in Brusselles dal Sig. Daniello Antonini ne i giorni 11, 12, 13, 14, 20 e 21 di Luglio, li quali si adattano a capello con i miei e con altri mandatimi di Roma dal Sig. Lodovico Cigoli, famosissimo pittore ed architetto; argomento che dovrebbe bastar per sé solo a persuader ogn’uno, tali macchie esser di lungo tratto superiori alla Luna.
E con questo voglio finir di occupar più V. S. Illustrissima. Favoriscami di mandar con suo comodo i disegni ad Apelle, accompagnati con un mio singolare affetto verso la persona sua; ed a V. S. reverentemente bacio le mani, e dal Signore Dio gli prego felicità.
Di Firenze, li 14 di Agosto 1612.
Di V. S. Illustrissima
Servitore Devotissimo
Galileo Galilei L.