Lettere (Campanella)/LXXIV. A monsignor Niccolò Claudio Fabri di Peiresc
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LXXIV
A monsignor Niccolò Claudio Farri di Peiresc
Comunica il suo felice arrivo a Parigi, dando le notizie delle onorevoli accoglienze e visite ricevute, ed i particolari del viaggio da Lione in poi, e non tacendo in fine della lieta impressione provata allo spettacolo delle ridenti terre di Francia e della gaia natura de’ francesi.
Illustrissimo e reverendissimo
mio signor padrone osservandissimo,
Al primo di decembre gionsi in Parigi; m’incontrai a caso a’ signori Puteani a’ quali donai la lettera di Vostra Signoria illustrissima; mi fecero grandi accoglienze e mi dissero che monsignor di san Floro m’aspettava; e molti signori di questa cittá mi guidâro a casa. Ebbi ed ho continue carezze, benefici, offici amorevoli e visite di gran signori e letterati; è venuto il signor Bordelet [Bourdelot], Moruoe [Moreau], Deodato, Caffarelli. il conte di Ghisa, Buttiglier e certi signori di conto delli quali non ho il nome, in particolare quello che andò a Svecia per mover quel re, ed ha tutte l’opere mie, e dona relazioni assai di quelli paesi in favor mio. Il re ebbe a caro ch’io fossi ricorso a Sua Maestá, e cosí l’eminentissimo Cardinale; domane andrò a Ruel per parlarli col signor Buttiglier ed altri chi hanno ordine di favorirme. Il re è andato un po’ piú lontano.
Oggi mi muto tutto di panni. Fin ora sono stato in riposo, perché ero assai scompigliato del viaggio col mal in un piede. Ho parlato con tutti questi della persona di Vostra Signoria illustrissima, e tutti con gusto grande ed ammirazione e laudi immense parlano ed odono parlare di Vostra Signoria come di luminar magno nelle virtú specolative e morali, e nell’esercizio magnanimo e puro e leale di quelle in tutta Francia e in tutto il cristianismo rilucenti; ed io mi onoro assai con dir quel che posso di lei. È venuto l’arcivescovo d’Aix a vedermi e non c’ero. In via il Rossi ha detto al Barrema chi ero io, ed a tutti; e non lo vidi mai se non come fantasma disparente subito, semel in Avignone, bis in Lugduno, semel in Ruana, semel in Orléans e semel in Parigi; e potea correr pericolo per queste sue dicerie con tutti, dovendo star secreto etc. A quel suo maronita imprestai mezza pistòla, non la tornò.
Tutte queste cose dico non per gusto di notar alcuno, ma perché Vostra Signoria illustrissima sappia e goda che fa bene a buoni ed a mali, come Domenedio «qui pluit super iustos et iniustos». Ebbi però da un Gaspar Vincenzii, gentilomo avignonese, assai aiuto per via; da monsignor d’Aix quanto li dissi, cioè che mi condusse fin a Ruan, e sempre pagai il cavallo al suo barbiere, e la mensa quanto li padroni etc.: del che Vostra Signoria illustrissima si ride, e veramente è da ridersi.
Ebbi giovedí passato le lettere di Roma che Vostra Signoria mi mandò, e li saluti del signor barone [di Rians,] mio signore; dal quale mi finse Barrema, quando fummo in Valenzia, ch’avea ricevuto lettera quel giorno nella quale lo avvisava chi ero io, ma poi mi son accorto che fu tratto del Ruffi. Risaluto caramente anche l’astronomo nostro Cassendi, e lo prego che conservi le Osservazioni per ben di tutti; qui per adesso stamparemo alcune cose. Pregai il signor Caffarelli che dedicassemo la Medicina a Vostra Signoria illustrissima, qual è in fine di stamparsi; ma lui mi risponde che l’han promessa al duca di Parma, e non può far altro: io non voglio conturbarlo. Ci será tempo per altri etc.: io spero di far gran bene qui, tanto vedo disposto il mondo, e per ben di tutti.
Ho ammirato l’ampiezza della Francia montosa e piana, — così l’ho distinte con gli occhi e posi il mezzo in Ruana, — e la feracitá di colli, ed utilitá di monti, abondanza delle pianure chi pònno dar pane a quattro regni, e non ho sentuto ancor freddo. Anzi tutte le campagne trovai verdeggianti e fiorite sin a Parigi: segno di gran bella temperie. Notai le varietá della terra nella consistenza e colori e vene di essa, e tutte le differenze di questo eterogeneo corpo; e non cede punto all’Italia. Ma d’abondanza di carni e butiri supera etc.; e tutta gente allegra: non trovo lamenti né malinconie, se non in quelli ragazzi che per ogni vico e pago e taverna escono a cercar lemosina, li quali poi subito ridono. Non han tempo né pònno pensar a male, perché l’allegrezza natural poco lo permette: son assai men maliziosi che l’italiani, ergo assai men di spagnoli; e però vittoriosi nella prestezza e chiarezza, e quelli nel tardare ed occultezze. Stanno sempre allegri. Tutta la nobiltá mi cerca etc.; ed io son vecchio e non buono a tanti favori. Scrissi a Vostra Signoria due volte, credo; altro non resta che scriver poi quel che occorrerá.
Resto al suo comando di tutto core, saluto senza fine il signor barone e signor Cassendo; e prego Dio per la sua salute. Scrissi a Roma il tutto.
Parigi, 11 dicembre 1634.
Di V. S. illustrissima e reverendissima |
All’illustrissimo e reverendissimo
l’abbate Fabri monsieur de F’eresc,
padrone mio osservandissimo.
in Aix.