Lettere (Andreini)/Lettera LXXXVII
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Della pudicitia della donna.
scrive Virgilio) havesse perseverato nella sua pudica fiamma, ella havrebbe con perpetua lode seguita l’ombra del suo già caro sposo Sicheo: ma quello, che all’una, & all’altra fu dannoso, à me sia giovevole, tanto ch’io viva sempre lontana dalle insidie di falso Nume, e dagli inganni di simulate parole, che ordinariamente sogliono esser ruina di chi dannosamente lor crede; ond’io reputo avventuratissime quelle donne, che fanno con lodevol ghiaccio di resistenza, combatter con indegno fuoco di prosuntione; e per poter conseguir il giusto fine de gli honesti miei desiderij, vi supplico à far sì, che questa vostra lettera, ch’è stata principio, ancor sia fine della mia noia, accioche i’ non sia per mia disaventura sforzata, per la frequenza de’ vostri stimoli ad allontanarmi da i confini della ragione. Intorno al suono delle mie lodi, io chiudo le orecchie, per non cader nel laberinto della vanagloria, sapendo, che voi altri amanti vorreste far creder, per vostro interesse, alle donne, che fossero dotate di molto maggior gratia, e di molto maggior bellezza, che Iddio, e Natura lor non diedero. Non voglio trattar più di cose tanto contrarie al mio debito, & alla mia volontà, quanto son queste d’Amore, sol vi prego, che per mia quiete, e per salvezza dell’honor mio, non vogliate mandarmi più vostre lettere, e per vostro bene vi conforto à lasciar Amore, che benche difficile, non sarà però impossibile.