Lettere (Andreini)/Lettera LXI

LXI. Del viver trà molti contrarij.

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LXI. Del viver trà molti contrarij.
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Del viver trà molti contrarij.


Q
UEL gran Poeta, honor della Grecia, e splendor del Mondo, non concedeva, ch’altri potesse lamentarsi, e piarger le sue sventure, più d’un giorno; ond’io giudico, che in quei tempi non fosse alcuno, che mi pareggiasse d’infelicità; che, se alcuno ci fosse stato, come prudente, e come giusto, non sol havrebbe conceduto, che si potesse pianger un giorno: ma un’anno, un Lustro, & un Secolo intero: Misera me qual doglia fu mai, ch’alla mia s’agguagliasse? quando fu negata pietade ad un giusto pregar, com’è ’l mio? qual pena provar si può maggiore, che ’l servir à persona (perdonatemi) discortese, e ’ngrata, come voi siete? Se voi portate nel cuore un freddissimo ghiaccio, almeno mi fosse dato in sorte, che non portaste ne gli occhi un’ardentissimo fuoco, alquale come cera mi struggo; ma s’io son per voi cera al fuoco, perche non siete voi per me, neve al Sole? vi prometto crudele, che mi fate star dubbiosa, se voi siete sordo, o pur, se udite; ma se voi siete sordo, come godete del mesto suono delle mie querele? e se non siete sordo, come non sentite i miei preghi? e se gli sentite, come non vi fanno pietoso? ma sia, che vuole intorno à questo. Sò pure, che non siete cieco, e sallo anche il mio cuore, ch’è stato più d’una volta ferito da gli strali, ch’escono de gli occhi vostri, onde non essendo cieco, sò, che vedrete almen

[p. 60v modifica]questa carta (havend’io ritrovato buon mezo, e sicuro da farvela capitar nelle mani) e vedendola, sarà possibile, che non vi venga voglia di leggerla? e leggendola, sarete voi così inhumano, che negherete pietade, non men alle morte, che alle vive parole? Deh cuor mio, in qual barbaro paese si costuma di dar morte à chi ama? Io non hò mai udito ch’altri per ben amare, habbia ricevuto dall’amato la morte; ho ben udito l’un nemico all’altro, haver donata la vita, quando ’l perditore l’ha dimandata in dono. S’io desiderassi di viver per offendervi, havereste ragion d’uccidermi; ma desiderandola io per potervi servire, parmi, c’habbiate il torto à negarlami; hor fate quel, che vi pare, ch’io v’assicuro, che non tanto siete per goder voi dell’alterezza vostra, e del mio male, quant’io son per godere, vedendo esservi cara la mia miseria. Rimanete felice Signore, non dirò mio, perche voi troppo fiero, volete esser più tosto d’ogn’altra, che mio; ma Signore (di cui sono, e sarò mentre, ch’io viva humilissima serva; e s’Amore vi perdoni il fallo, che commettete, non volendo amarmi) contentatevi, poiche havrete lette queste righe di perdonarmi la noia, c’havrete havuta in leggendole.