IGNOR N. mio ricevei la gentilissima lettera di V. S. e ’nteso il suo desiderio, vengo con questa à sodisfarla, dico à sodisfarla, inquanto, ch’io le darò novella di me; ma non già inquanto, ch’io sia per avvisarla d’alcuna mia sodisfattione, ch’io sò, che le sarebbe carissima, come carissimo sarebbe à me ogni suo contento. Io dunque sapendo la mia Donna esser venuta in Villa, subito ci venni, ancor ci sono, e ci starò fin tanto, ch’ella si parta, non già con speranza di trovarla più cortese qui, che alla Città; ma perche son costretto à seguirla, come fà l’ombra il corpo. Ella per mutar luogo, non muta stile, oltreche la salvatichezza della Villa, più tosto può dal suo canto nuocermi, che giovarmi. Mi duole insin’all’anima, che V. S. la faccia male al solito, come la fò anch’io, che nè per prieghi, nè per lagrime posso far mutar alla mia donna l’ostinata sua voglia, per laqual cosa ho fatto mille volte pensiero di far forza à me stesso, e levarmi dalla mal cominciata impresa; ma che mi vale? quand’io mi sento più oppresso dalla passione amorosa, che mai, e quando maggiormente m’infiamma il fuoco d’amore? che
[p. 55vmodifica]mi giova, ch’io prometta, e giuri à me stesso, di lasciar infallibilmente questa ingrata, se non posso farlo? Ohime, che non sì tosto io lascio, vinto dallo sdegno di mirar quegli occhi, che son cagione del mio tormento, ch’io m’adiro, e rompendo le promesse, & i giuramenti, corro di nuovo à chi mi fà sospirare. Tal forza, e tal virtù hanno quegli occhi, che m’attraggono in guisa, ch’io son’astretto mal mio grado à mirargli, e benche in essi non vegga alcun’inditio di speranza, nondimeno son condannato ad amarli, e son certo, che amandoli, amo gli ucciditori della mia vita. Hor V. S. ha inteso, com’io mi viva. Sò, che le sarà discaro il mio essere, com’è stato discaro à me l’intender, ch’ella sia nello stato di prima. La vorrei più tosto sola nel bene, che compagna nel male. Le bacio le mani desiderandole quell’istesso contento, ch’ella desidera à me.