Lettere (Andreini)/Lettera CL
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Della morte della moglie.
quelle voglia per breve spatio addormentare. Deh caro Signor N. concedetemi, che nello scriver à voi parli con la mia cara N. Anima bella tu, che sempre fosti per gratia del Cielo, e per voler proprio da basse, e vili cure lontana impetrami (che ben puoi) se non fine alla doglia, almen forza per soffrirla, over mi presta quel tuo cuor generoso, nelquale maravigliosamente fiorivano le gratie, e le virtù, che allhora poi sopporterò con sommo vigore ogni terribile sventura. Dunque (misero me) altro non mi rimane di tanti tuoi meriti, che la memoria d’haverli amati? ò Donna che dal Ciel data, è dal Cielo tolta mi fosti, perche le spine del dolore contrapesassero le rose del piacere, perche non son io teco? ò divino spirito, che dal mio seguìto, se’ cagione, che null’altro di me che l’ombra di me si vegga, perche non hò io per pianger l’immatura tua morte tanti occhi, quante hà stelle l’ottavo Cielo? come possono du’ occhi soli pianger mille, e mille virtù? ma poich’io non posso pianger sopra le tue ossa honorate quanto vorrei, e quanto coviensi non mi sia disdetto almeno, ch’io t’alzi un nuovo strausoleo del mio dolore, ilquale se da gli occhi altrui potesse esser veduto, sicurissimo sono, che sarebbe giudicato non solamente dell’antico; ma di tutto ’l giro della terra maggiore. Caro già conforto delle mie pene, et hora fonte inesausto delle mie lagrime prendi in grado l’affetto di colui, che per altro non vive, che per darti nella sua memoria vita, e renditi certa, che l’oblio perderà per me il suo nome, e ti prometto, che la mia fede non sarà menomata da gli anni, anderà la mia costanza eguale à i secoli, i quali partiranno con l’amor mio l’immortalità loro, nè men dell’amor sarà la passione immortale, e certo che ad una cagione eterna non si convien’effetto terminato, e non può à mio giuditio durando l’amore, finir il dolore. Bellissima Donna, che fosti il vero ornamento della tua per te fortunatissima etate, per ricompensa, e per consolatione delle mie promesse, e de’ miei mali concedimi, ch’io possa imitarti nell’altezza de i pensieri. Tu benche mortale sempre havesti pensieri immortali. L’istesso anch’io vorrei, e senz’altro l’havrò, poiche dalla tua bontà mi verrà la gratia; e come non saran lunge da morte i miei pensieri, se continuamente penseranno alle tue divine virtù? così (se però non turba la grandezza del Cielo, il pensar alla Terra) mi sia conceduto, che tu di me alcuna volta pensi. Sovvengati anima mia cara di colui, che ’n tante miserie quà giù lasciasti, ricordati di me, che sempre chiamerò il tuo nome, volgi tallhora lo sguardo à questi occhi, che non possono più riveder i tuoi, i caldi raggi de i quali (ò memoria, ò dolore) havean pur forza d’asciugar le humide mie lagrime, accompagna con la vista i miei passi, che lungi da te mi guideranno in luoghi solitari, & oscuri. Voi Signor mio, per quella cara amicitia, ch’è trà noi, accompagnate con la vostra pietà le mie miserie, e pregate Iddio, che mi consoli, permettendo, che quanto prima quel Sepolcro, che la mia carissima donna rinchiude, ancor me accolga. Sia col suo cenere unito il mio, e mi conceda, ch’i’ habbia per consorte nel Cielo l’anima di colei, che sopra tutte le cose mortali amai qui in Terra; nè vi paia strano il pregar per la morte di un vostro carissimo amico, poiche la preghiera non sarà crudele: ma pietosa, desiderando io sommamente, che questo mio cuore per morte afflitto, sia per morte consolato.
IL FINE.