Lettera a Galileo Galilei (27 agosto 1639)
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Lettera di Padre Benedetto Castelli a Galileo Galilei (a Firenze), Roma 27 agosto 1639
Molto Ill.re ed Ecc.mo Sig. e P.ron Col.mo
Veramente mi è riuscita la speculazione di V. S. Ecc.ma stravagantissima nel ritrovamento del numero delle goccioline cadenti in una data superficie, dato l’intervallo tra gocciola e gocciola; e confesso la mia debolezza, che alla prima lettera di V. S. non intesi bene la proposizione, ed anco in questa seconda ho stentato assai intenderla, non discernendo se il numero delli intervalli, come chiama lei, sia veramente delli intervalli tra gocciola e gocciola, ovvero delle stesse gocciole prese nel diametro del cerchio, cominciando da quella che si considera nel centro inclusive sino a quella presa nell’estremo del diametro, pure inclusive, giacchè il numero delle gocciole supera di una unità il numero delli intervalli, per radice dei cubi, e ne ho fatti di molti rincontri con la numerazione attuale e poi con l’operazione di V. S. Ecc.ma, e tutte mi sono riuscite puntualissimamente.
E’ vero che mi pare che sempre la sezzione di tutto il fastello delle gocciole cadenti nel cerchio debba riuscire un essagono equilatero ed equiangolo inscritto nel cerchio dato; altrimenti il mio conto non torna con quello di V. S. Ecc.ma, quale pure deve essere verissimo, come dependente dalla dimostrazione, alla quale non sono per ancora arrivato e forsi la mia debolezza non arriverà mai. Per tanto mi resta scrupolo nel mio modo di numerare, e vado dubitando che non torni se non quando la saetta dell’arco di 60 gradi non è maggiore di uno delli intervalli tra gocciola e gocciola. So che ho scritto questi versi confusamente, però la prego di scusarmi; se mi succederà trovare cosa più netta e chiara, mi porterò meglio un’altra volta.
Intanto mando a V. S. Ecc.ma una copia di una lettura che scrivo a Mons. Cesarini, per dare sodisfazione a molti che non intendono il principale fundamento del mio trattato Della misura delle acque correnti, dove cerco di esplicarmi di più di quello che ho fatto nel trattato stesso. Mi pare però di essermi in questa lettera vantaggiato qualche cosa per ridurre alla pratica il mio modo di partire le acque delle fontane, parendomi di haverlo spiegato assai facilmente; dove V. S. Ecc.ma vedrà che non adopro il pendulo per misurare l’ora di pranzo overo di andare a letto etc. Il oltre ho registrati alcuni disordini che seguono nel comune modo di misurare le acque correnti, e mi pare (se non sono di me stesso adulatore) di haverli fatti spiccare assai bene. V. S. se la farà leggere una volta, quando sarà meno impiegata nelle sue più alte specolazioni; e poi mi farebbe favore farla capitare in mano del Ser.mo Padrone Gr. Duca o del Ser.mo Sig. Principe Leonardo, perchè forsi non sarà cosa inutile nel dispensare l’acqua della fontana condotta con magnificenza veramente regia da S. A. Ser.ma in Firenze e per comodo e per vaghezza della città. E non occorrendomi altro, li fo humile riverenza.
Di V. S. molto Ill.re ed Ecc.ma
Devotiss.mo ed Oblig.mo Ser.re e Dis.lo
D. BENEDETTO CASTELLI