[p. 286modifica]Leggenda del vino e di Maometto. — Trovandosi il vino, il divino licore dell’uva, in una aurea e ricca tazza, e sopra la tavola di Maumetto, e montato in groria di tanto onore, subito fu assaltato da una contraria cogitazione, dicendo a se medesimo: — Che fo io? di che mi rallegro io? Non m’avvedo essere vicino alla mia morte e lasciare l’aurea abitazione della tazza, e entrare nelle brutte [p. 287modifica]
e fetide caverne del corpo umano, e lì trasmutarmi di odorifero e suave licore in brutta e trista orina? E non bastando tanto male, ch’io ancora debba sì lungamente diacere in e brutti ricettacoli coll’altra fetida e corrotta materia uscita dalle umane interiora? — Gridò inverso il cielo, chiedendo vendetta di tanto danno, e che si ponesse oramai fine a tanto dispregio; che, poichè quello paese producea le più belle e migliori uve di tutto l’altro mondo, che il meno esse non fussino in vino condotte. Allora Giove fece che il beuto vino da Maumetto elevò l’anima sua inverso il celabro e quello in modo contaminò, che lo fece matto, e partorì tanti errori, che, tornato in sè, fece legge che nessuno asiatico beessi vino. E fu lasciato poi libere le viti co’ sua frutti.