Pagina:Leonardo prosatore.djvu/291


287


e fetide caverne del corpo umano, e lì trasmutarmi di odorifero e suave licore in brutta e trista orina? E non bastando tanto male, ch’io ancora debba sì lungamente diacere in e brutti ricettacoli coll’altra fetida e corrotta materia uscita dalle umane interiora? — Gridò inverso il cielo, chiedendo vendetta di tanto danno, e che si ponesse oramai fine a tanto dispregio; che, poichè quello paese producea le più belle e migliori uve di tutto l’altro mondo, che il meno esse non fussino in vino condotte. Allora Giove fece che il beuto vino da Maumetto elevò l’anima sua inverso il celabro e quello in modo contaminò, che lo fece matto, e partorì tanti errori, che, tornato in sè, fece legge che nessuno asiatico beessi vino. E fu lasciato poi libere le viti co’ sua frutti.


Le fiamme e la caldaia (Frammento). — Un poco di foco, che, in un piccolo carbone, in fra la tiepida cenere, remaso era, del poco omore che in esso restava carestiosa e poveramente se medesimo notrìa, quando la ministra della cucina, per usare con quello l’ordinario suo cibario offizio, quivi apparve, e, poste le legne nel focolare e, col solfanello, già resuscitato d’esso, già quasi morto, una piccola fiammella, e infra le ordinate legne quella appresa, e posta di sopra la caldara, sanz’altro sospetto, di li sicuramente si parte.

Allora, rallegratosi il foco delle sopra sè poste secche legne, comincia a elevarsi: cacciando l’aria