Legna verde
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Legna verde (a Massimo)
L’uomo fermo ha davanti colline nel buio.
Fin che queste colline saranno di terra,
i villani dovranno zapparle. Le fissa e non vede,
come chi serri gli occhi in prigione ben sveglio.
L’uomo fermo — che è stato in prigione — domani riprende
il lavoro coi pochi compagni. Stanotte è lui solo.
Le colline gli sanno di pioggia: è l’odore remoto
che talvolta giungeva in prigione nel vento.
Qualche volta pioveva in città: spalancarsi
del respiro e del sangue alla libera strada.
La prigione pigliava la pioggia, in prigione la vita
non finiva, talvolta filtrava anche il sole:
i compagni attendevano e il futuro attendeva.
Ora è solo. L’odore inaudito di terra
gli par sorto dal suo stesso corpo, e ricordi remoti
— lui conosce la terra — costringerlo al suolo,
a quel suolo reale. Non serve pensare
che la zappa i villani la picchiano in terra
come sopra un nemico e che si odiano a morte
come tanti nemici. Hanno pure una gioia
i villani: quel pezzo di terra divelto.
Cosa importano gli altri? Domani nel sole
le colline saranno distese, ciascuno la sua.
I compagni non vivono nelle colline,
sono nati in città dove invece dell’erba
c’è rotaie. Talvolta lo scorda anche lui.
Ma l’odore di terra che giunge in città
non sa piú di villani. È una lunga carezza
che fa chiudere gli occhi e pensare ai compagni
in prigione, alla lunga prigione che attende.