Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568)/Andrea da Fiesole e altri fiesolani

Andrea da Fiesole e altri fiesolani

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Domenico Puligo Vincenzio da San Gimignano e Timoteo da Urbino

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Vita di Andrea da Fiesole scultore, e d’altri Fiesolani


Erché non meno si richiede agli scultori avere pratica de’ ferri che a chi esercita la pittura quella de’ colori, di qui avviene che molti fanno di terra benissimo, che poi di marmo non conducono l’opere a veruna perfezzione; et alcuni per lo contrario lavorano bene il marmo, senza avere altro disegno che un non so che che hanno nell’idea di buona maniera, la imitazione della quale si trae da certe cose che al giudizio piacciano, e che poi, tolte all’imaginazione, si mettono in opera. Onde è quasi una maraviglia vedere alcuni scultori, che senza saper punto disegnare in carta, conducono nondimeno coi ferri l’opere loro a buono e lodato fine; come si vide in Andrea di Piero [p. 108 modifica]di Marco Ferrucci, scultore da Fiesole, il quale nella sua prima fanciullezza imparò i principii della scultura da Francesco di Simone Ferucci, scultore da Fiesole. E, se bene da principio imparò solamente a intagliare fogliami, acquistò nondimeno a poco a poco tanta pratica nel fare che non passò molto che si diede a far figure; di maniera che, avendo la mano resoluta e veloce, condusse le sue cose di marmo più con un certo giudizio e pratica naturale, che per disegno che egli avesse. Ma nondimeno attese un poco più all’arte, quando poi seguitò nel colmo della sua gioventù Michele Maini scultore, similmente da Fiesole. Il quale Michele fece nella Minerva di Roma il San Sebastiano di marmo, che fu tanto lodato in que’ tempi. Andrea dunque, essendo condotto a lavorare a Imola, fece negl’Innocenti di quella città una cappella di macigno che fu molto lodata. Dopo la quale opera se n’andò a Napoli, essendo là chiamato da Antonio di Giorgio da Settignano, grandissimo ingegneri et architetto del re Ferrante, appresso al quale era in tanto credito Antonio, che non solo maneggiava tutte le fabriche del regno, ma ancora tutti i più importanti negozii dello stato. Giunto Andrea in Napoli, fu messo in opera e lavorò molte cose nel castello di San Martino et in altri luoghi della città per quel re. Ma venendo a morte Antonio, poi che fu fatto sepelire da quel re non con esequie da architettore, ma reali e con venti coppie d’imbastiti che l’accompagnarono alla sepoltura, Andrea si partì da Napoli, conoscendo che quel paese non faceva per lui, e se ne tornò a Roma, dove stette per qualche tempo attendendo agli studi dell’arte et a lavorare. Dopo, tornato in Toscana, lavorò in Pistoia, nella chiesa di San Iacopo, la cappella di marmo dove è il battesimo, e con molta diligenza condusse il vaso di detto battesimo con tutto il suo ornamento. E nella faccia della cappella fece due figure grandi quanto il vivo di mezzo rilievo, cioè San Giovanni che battezza Cristo, molto ben condotta e con bella maniera. Fece nel medesimo tempo alcune altre opere piccole, delle quali non accade far menzione. Dirò bene che, ancora che queste cose fussero fatte da Andrea più con pratica che con arte, si conosce nondimeno in loro una resoluzione et un gusto di bontà molto lodevole. E nel vero se così fatti artefici avessero congiunto alla buona pratica et al giudizio il fondamento del disegno, vincerebbono d’eccellenza coloro che, disegnando perfettamente, quando si mettono a lavorare il marmo lo graffiano e con istento in mala maniera lo conducono, per non avere pratica e non sapere maneggiare i ferri con quella pratica che si richiede. Dopo queste cose, lavorò Andrea nella chiesa del Vescovado di Fiesole una tavola di marmo, posta nel mezzo fra le due scale che sagliono al coro di sopra, dove fece tre figure tonde et alcune storie di basso rilievo. Et in San Girolamo di Fiesole fece la tavolina di marmo che è murata nel mezzo della chiesa. Per la fama di queste opere venuto Andrea in cognizione, gli fu da gl’Operai di Santa Maria del Fiore, allora che Giulio cardinale de’ Medici governava Fiorenza, dato a fare la statua d’uno Apostolo di quattro braccia, in quel tempo dico che altre quattro simili ne furono allogate in un medesimo tempo: una a Benedetto da Maiano, una a Iacopo Sansovino, una a Baccio Bandinelli e l’altra a Michelagnolo Buonarroti; le quali statue avevano a essere insino al numero di dodici e doveano porsi dove i detti Apostoli sono in quel magnifico tempio dipinti di mano di Lorenzo di Bicci. Andrea, dunque, condusse la sua con più bella [p. 109 modifica]pratica e giudizio che con disegno e n’acquistò, se non lode quanto gl’altri, nome di assai buono e pratico maestro. Onde lavorò poi quasi di continuo per l’opera di detta chiesa e fece la testa di Marsilio Ficino, che in quella si vede dentro alla porta che va alla canonica. Fece anco una fonte di marmo che fu mandata al re d’Ungheria, la quale gli acquistò grande onore; fu di sua mano ancora una sepoltura di marmo che fu mandata similmente in Strigonia città d’Ungheria, nella quale era una Nostra Donna molto ben condotta con altre figure, nella quale sepoltura fu poi riposto il corpo del cardinale di Strigonia. A Volterra mandò Andrea due Angeli tondi di marmo, et a Marco del Nero, fiorentino, fece un Crocifisso di legno grande quanto il vivo, che è oggi in Fiorenza nella chiesa di Santa Felicita. Un altro minore ne fece per la Compagnia dell’Assunta di Fiesole. Dilettossi anco Andrea dell’architettura e fu maestro del Mangone, scarpellino et architetto, che poi in Roma condusse molti palazzi et altre fabriche assai acconciamente. Andrea finalmente, essendo fatto vecchio, attese solamente alle cose di quadro, come quello che, essendo persona modesta e da bene, più amava di vivere quietamente che alcun’altra cosa. Gli fu allogata da Madonna Antonia Vespucci la sepoltura di Messer Antonio Strozzi suo marito, ma non potendo egli molto lavorare da per sé, gli fece i due Angeli Maso Boscoli da Fiesole, suo creato, che ha poi molte opere lavorato in Roma et altrove; e la Madonna fece Silvio Cosini da Fiesole, ma non fu messa su subito che fu fatta, il che fu l’anno MDXXII, perché Andrea si morì e fu sotterrato dalla Compagnia dello Scalzo ne’ Servi. E Silvio poi, posta su la detta Madonna e finita di tutto punto la detta sepoltura dello Strozzi, seguitò l’arte della scultura con fierezza straordinaria, onde ha poi molte cose lavorato leggiadramente e con bella maniera, et ha passato infiniti e massimamente in bizzarria di cose alla grottesca, come si può vedere nella sagrestia di Michelagnolo Buonarroti in alcuni capitelli di marmo intagliati sopra i pilastri delle sepolture con alcune maschere tanto bene straforate che non è possibile veder meglio. Nel medesimo luogo fece alcune fregiature di maschere che gridano, molto belle; per che, veduto il Buonarroto l’ingegno e la pratica di Silvio, gli fece cominciare alcuni trofei per fine di quelle sepolture, ma rimasono imperfetti insieme con altre cose per l’assedio di Firenze. Lavorò Silvio una sepoltura per i Minerbetti nella loro cappella nel tramezzo della chiesa di Santa Maria Novella, tanto bene quanto sia possibile, perché, oltre la cassa, che è di bel garbo, vi sono intagliate alcune targhe, cimieri et altre bizzarrie con tanto disegno quanto si possa in simile cosa desiderare. Essendo Silvio a Pisa, l’anno MDXXVIII, vi fece un Angelo che mancava sopra una colonna all’altare maggiore del Duomo, per riscontro di quello del Tribolo, tanto simile al detto che non potrebbe essere più quando fussero d’una medesima mano. Nella chiesa di Monte Nero vicino a Livorno fece una tavoletta di marmo con due figure ai frati Ingesuati; et in Volterra fece la sepoltura di Messer Raffaello Volaterrano, uomo dottissimo, nella quale lo ritrasse di naturale sopra una cassa di marmo con alcuni ornamenti e figure. Essendo poi mentre era l’assedio intorno a Firenze, Niccolò Caponi onoratissimo cittadino, morto in Castel Nuovo della Garfagnana nel ritornare da Genoa, dove era stato ambasciatore della sua republica all’imperatore, [p. 110 modifica]fu mandato con molta fretta Silvio a formarne la testa, perché poi ne facesse una di marmo, sì come n’aveva condotto una di cera bellissima. E perché abitò Silvio qualche tempo con tutta la famiglia in Pisa, essendo della Compagnia della Misericordia, che in quella città accompagna i condannati alla morte insino al luogo della iustizia, gli venne una volta capriccio, essendo sagrestano, della più strana cosa del mondo. Trasse una notte il corpo d’uno, che era stato impiccato il giorno inanzi, della sepoltura, e dopo averne fatto notomia per conto dell’arte, come capriccioso e forse maliastro e persona che prestava fede agl’incanti e simili sciocchezze, lo scorticò tutto, et acconciata la pelle, secondo che gl’era stato insegnato, se ne fece, pensando che avesse qualche gran virtù, un coietto, e quello portò per alcun tempo sopra la camicia, senza che nessuno lo sapesse già mai. Ma essendone una volta sgridato da un buon padre, a cui confessò la cosa, si trasse costui di dosso il coietto e, secondo che dal frate gli fu imposto, lo ripose in una sepoltura. Molte altre simili cose si potrebbono raccontare di costui, ma non facendo al proposito della nostra storia si passono con silenzio. Essendogli morta la prima moglie in Pisa, se n’andò a Carrara e qui standosi a lavorare alcune cose, prese un’altra donna, colla quale non molto dopo se n’andò a Genoa, dove, stando a’ servigii del Principe Doria, fece di marmo sopra la porta del suo palazzo un’arme bellissima e per tutto il palazzo molti ornamenti di stucchi, secondo che da Perino del Vaga pittore gli erano ordinati; fecevi anco un bellissimo ritratto di marmo di Carlo V imperatore. Ma perché Silvio per suo natural costume non dimorava mai lungo tempo in un luogo, né aveva fermezza, increscendogli lo stare troppo bene in Genova, si mise in cammino per andare in Francia, ma partitosi prima che fusse al Monsanese tornò indietro e, fermatosi in Milano, lavorò nel Duomo alcune storie e figure e molti ornamenti con sua molta lode. E finalmente vi si morì d’età d’anni quarantacinque. Fu costui di bello ingegno, capriccioso e molto destro in ogni cosa e persona che seppe condurre con molta diligenza qualunche cosa si metteva fra mano; si dilettò di comporre sonetti e di cantare all’improvviso, e nella sua prima giovanezza attese all’armi. Ma se egli avesse fermo il pensiero alla scultura et al disegno, non arebbe avuto pari; e come passò Andrea Ferruzzi suo maestro, così arebbe ancora, vivendo, passato molti altri ch’hanno avuto nome d’eccellenti maestri. Fiorì ne’ medesimi tempi d’Andrea e di Silvio un altro scultore fiesolano, detto il Cicilia, il quale fu persona molto pratica; vedesi di sua mano nella chiesa di San Iacopo in campo Corbolini di Fiorenza la sepoltura di Messer Luigi Tornabuoni cavaliere, la quale è molto lodata e massimamente per avere egli fatto lo scudo dell’arme di quel cavaliere nella testa d’un cavallo, quasi per mostrare, secondo gl’antichi, che dalla testa del cavallo fu primieramente tolta la forma degli scudi. Ne’ medesimi tempi ancora Antonio da Carrara, scultore rarissimo, fece in Palermo al Duca di Monte Lione, di casa Pignatella napoletano e viceré di Cicilia, tre statue, cioè tre Nostre Donne in diversi atti e maniere, le quali furono poste sopra tre altari nel Duomo di Monte Lione in Calabria. Fece al medesimo alcune storie di marmo che sono in Palermo. Di costui rimase un figliuolo, che è oggi scultore, anch’egli, e non meno eccellente che si fusse il padre.