Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Capitolo 9

../Capitolo 8

../Capitolo 10 IncludiIntestazione 31 agosto 2009 75% Biografie

Capitolo 8 Capitolo 10

CAP. IX

Del fare i modelli di cera e di terra, e come si vestino, e come a proporzione si ringrandischino poi nel marmo, come si subbino e si gradinino e pulischino et impomicino e si lustrino e si rendino finiti.

Sogliono gli scultori, quando vogliono lavorare una figura di marmo, fare per quella un modello, che cosí si chiama, ciò è uno esemplo, che è una figura di grandezza di mezzo braccio o meno o piú, secondo che gli torna comodo, o di terra o di cera o di stucco, purché e’ possino mostrare in quella la attitudine e la proporzione che ha da essere nella figura che e’ voglion fare, cercando accomodarsi alla larghezza et alla altezza del sasso che hanno fatto cavare per farvela dentro. Ma per mostrarvi come la cera si lavora, diremo del lavorare la cera e non la terra. Questa per renderla piú morbida, vi si mette dentr’un poco di sevo e di trementina e di pece nera, delle quali cose il sevo la fa piú arrendevole, e la trementina tegnente in sé, e la pece le dà il colore nero e le fa una certa sodezza da poi ch’è lavorata, nello stare fatta, che ella diventa dura. Acconcia questa mistura et insieme fonduta, fredda ch’ella è se ne fa i pastelli, i quali nel maneggiarli dalla caldezza delle mani si fanno come pasta, e con essa si crea una figura a sedere, ritta o come si vuole, la quale abbia sotto una armadura, per reggerla in se stessa, o di legni o di fili di ferro, secondo la volontà dello artefice; et ancora si può fare con essa e senza, come gli torna bene. Et a poco a poco col giudizio e le mani lavorando, crescendo la materia, con i stecchi d’osso, di ferro o di legno si spinge in dentro la cera, e con metterne dell’altra sopra si aggiugne e raffina, finché con le dita si dà a questo modello l’ultimo pulimento. E finito ciò, volendo fare di quegli che siano di terra, si lavora a similitudine della cera, ma senza armadura di sotto, o di legno o di ferro, perché li farebbe fendere e crepare. E mentre che quella si lavora, perché non fenda, con un panno bagnato si tien coperta, fino che resta fatta. Finiti questi piccioli modelli o figure di cera o di terra, si ordina di fare un altro modello, che abbia ad essere grande quanto quella stessa figura che si cerca di fare di marmo. E si fa alquanto maggiore, perché la terra, nel seccarsi la umidità che vi è dentro, ritira e rientra; acciò, misurandolo poi, venga la figura dal modello nella figura del marmo piú giusta. E perché il modello di terra grande si abbia a reggere in sé e la terra non abbia a fendersi, bisogna pigliare della cimatura, o borra che si chiami, o pelo; e nella terra mescolare quella, la quale la rende in sé tegnente, e non la lascia fendere. Armasi di legni sotto e di stoppa stretta con lo spago, si fa l’ossa della figura, e se le fa fare quella attitudine che bisogna; secondo il modello picciolo dritto o a sedere, e cominciando a coprirla di terra, si conduce ignuda, lavorandola insino al fine. La qual condotta, se se le vuol poi fare panni addosso che siano sottili, si piglia pannolino che sia sottile, e se grosso, grosso, e si bagna, e bagnato, con la terra s’interra non liquidamente, ma di un loto che sia alquanto sodetto, et attorno alla figura si va acconciandolo, che faccia quelle pieghe et amaccature che l’animo gli porge; di che secco verrà a indurarsi e manterrà di continuo le pieghe. In questo modo si conducono a fine i modelli e di cera e di terra. Volendo ringrandirlo a proporzione nel marmo, bisogna che nella stessa pietra, onde s’ha da cavare la figura, sia fatta fare una squadra, che un dritto vada in piano a’ piè della figura, e l’altro vada in alto e tenga sempre il fermo del piano, e cosí il dritto di sopra; e similmente un’altra squadra o di legno o d’altra cosa sia al modello, per via della quale si piglino le misure da quella del modello quanto sportano le gambe fora e cosí le braccia; e si va spignendo la figura in dentro con queste misure riportandole sul marmo dal modello, di maniera che misurando il marmo et il modello a proporzione, viene a levare della pietra con li scarpelli; e la figura a poco a poco misurata viene a uscire di quel sasso nella maniera che si caverebbe d’una pila d’acqua pari e diritta una figura di cera; che prima verrebbe il corpo e la testa e le ginocchia, et a poco a poco scoprendosi et in su tirandola, si vedrebbe poi la ritondità di quella fin passato il mezzo et in ultimo la ritondità dell’altra parte. Perché quelli che hanno fretta a lavorare e che bucano il sasso da principio e levano la pietra dinanzi e di dietro risolutamente, non hanno poi luogo dove ritirarsi, bisognandoli; e di qui nascono molti errori che sono nelle statue, che per la voglia ch’ha l’artefice del vedere le figure tonde fuori del sasso a un tratto, spesso si gli scuopre un errore che non può rimediarvi se non vi si mettono pezzi commessi, come abbiamo visto costumare a molti artefici moderni. Il quale rattoppamento è da ciabattini e non da uomini eccellenti o maestri rari; et è cosa vilissima e brutta e di grandissimo biasimo. Sogliono gli scultori, nel fare le statue di marmo, nel principio loro abozzare le figure con le subbie, che sono una specie di ferri da loro cosí nominati, i quali sono apuntati e grossi, et andare levando e subbiando grossamente il loro sasso; e poi con altri ferri detti calcagnuoli, ch’hanno una tacca in mezzo e sono corti, andare quella ritondando perfino ch’eglino venghino a un ferro piano piú sottile del calcagnuolo, che ha due tacche et è chiamato gradina. Co ’l quale vanno per tutto con gentilezza gradinando la figura con la proporzione de’ muscoli e delle pieghe, e la tratteggiano di maniera per la virtú delle tacche o denti predetti, che la pietra mostra grazia mirabile. Questo fatto si va levando le gradinature con un ferro pulito. E per dare perfezzione alla figura, volendole aggiugnere dolcezza, morbidezza e fine, si va con lime torte levando le gradine; il simile si fa con altre lime sottili e scuffine diritte, limando, che resti piano; e da poi con punte di pomice si va impomiciando tutta la figura, dandole quella carnosità che si vede nelle opere maravigliose della scultura. Adoperasi ancora il gesso di Tripoli, acciò ch’ell’abbia lustro e pulimento; similmente con paglia di grano faccendo struffoli si stropiccia, talché finite e lustrate si rendono a gl’occhi nostri.