Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)/Capitolo 8

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CAP. VIII

Che cosa sia la scultura e come siano fatte le sculture buone, e che parti elle debbino avere per essere tenute perfette.

La scultura è una arte che, levando il superfluo da la materia suggetta, la riduce a quella forma di corpo che nella idea dello artefice è disegnata. Et è da considerare che tutte le figure di qualunque sorte si siano, o intagliate ne’ marmi o gittate di bronzi o fatte di stucco o di legno, avendo ad essere di tondo rilievo e che girando intorno si abbino a vedere per ogni verso, è di necessità che a volerle chiamare perfette elle abbino di molte parti. La prima è che quando una simil figura ci si presenta nel primo aspetto alla vista, ella rappresenti e renda somiglianza a quella cosa per la quale ella è fatta, o fiera o umile o bizzarra o allegra o malenconica, secondo chi si figura. E che ella abbia corrispondenza di parità di membra, ciò è non abbia le gambe lunghe, il capo grosso, le braccia corte e disformi; ma sia ben misurata et ugualmente a parte a parte concordata da ’l capo a’ piedi. E similmente se ha la faccia di vecchio, abbia le braccia, il corpo, le gambe, le mani et i piedi di vecchio, unitamente ossuta per tutto, musculosa, nervuta e le vene poste a’ luoghi loro. E se arà la faccia di giovane, debbe parimente esser ritonda, morbida e dolce nella aria e per tutto unitamente concordata. Se ella non arà ad essere ignuda, facciasi che i panni ch’ella arà ad avere addosso non siano tanto triti che abbino del secco, né tanto grossi che paino sassi, ma siano con le sue rotture di pieghe girati talmente, che scuoprino lo ignudo di sotto, e con arte e grazia talora lo mostrino e talora lo ascondino, senza alcuna crudezza che offenda la figura. Siano i suoi capegli e la barba lavorati con una certa morbidezza, svellati e ricciuti, che mostrino di essere sfilati, avendoli data quella maggior piumosità e lustro che può lo scarpello; ancora che gli scultori in questa parte non possino cosí bene contraffare la natura, facendo essi le ciocche de’ capegli sode e ricciute piú di maniera che di imitazione naturale. Et ancora che le figure siano vestite, è necessario fare i piedi e le mani che siano condotte di bellezza e di bontà come le altre parti. E per essere tutta la figura tonda, è forza che in faccia, in proffilo e di dietro ella sia di proporzione uguale, avendo ella ad ogni girata e veduta a rappresentarsi ben disposta per tutta. È necessario adunque che ella abbia corrispondenzia, e che ugualmente ci sia per tutto attitudine, disegno, unione, grazia e diligenzia, le qual cose tutte insieme dimostrino lo ingegno et il valore dello artefice. Debbono le figure cosí di rilievo come dipinte esser condotte piú con il giudizio che con la mano, avendo a stare in altezza dove sia una gran distanza; perché la diligenzia dell’ultimo finimento non si vede da lontano, ma si conosce bene la bella forma delle braccia e delle gambe et il buon giudizio nelle falde de’ panni con poche pieghe; perché nella simplicità del poco si mostra la acutezza dello ingegno. E per questo le figure di marmo o de bronzo che vanno un poco alte vogliono essere traforate gagliarde, acciò che il marmo che è bianco et il bronzo che ha del nero piglino a la aria della oscurità e per quella apparisca da lontano il lavoro esser finito e dappresso si vegga lasciato in bozze. La quale advertenza ebbero grandemente gli antichi, come nelle lor figure tonde e di mezzo rilievo che negli archi e nelle colonne veggiamo di Roma, le quali mostrano ancora quel gran giudizio che egli ebbero. Et infra i moderni si vede essere stato osservato il medesimo grandamente nelle sue opere da Donatello. Debbesi oltra di questo considerare che, quando le statue vanno in un luogo alto che non abbia molta distanza da potersi discostare a giudicarle da lontano, ma che vi si abbia quasi che a star loro sotto, che cosí fatte figure si debbon fare di una testa o due piú di altezza. E questo si fa perché quelle figure che son poste in alto, si perdono nello scorto della veduta, stando di sotto e guardando allo in su. Onde ciò che si dà di accrescimento viene a consumarsi nella grossezza dello scorto, e tornano poi di proporzione nel guardarle giuste e non nane, ma con bonissima grazia. E quando non piacesse far questo, si potrà mantenere le membra della figura sottilette e gentili, che questo ancora torna quasi il medesimo. Costumasi per molti artefici fare la figura di nove teste, la quale vien partita in otto teste tutta eccetto la gola, il collo e l’altezza del piede, che con queste torna nove. Perché due sono gli stinchi, due da le ginocchia a’ membri genitali, e tre il torso fino alla fontanella della gola, et una altra da ’l mento all’ultimo della fronte, et una ne fanno la gola e quella parte che è da ’l dosso del piede alla pianta, che sono nove. Le braccia vengono appiccate alle spalle, e da la fontanella a la appiccatura da ogni banda è una testa; et esse braccia fino a la appiccatura delle mani sono tre teste; et allargandosi l’uomo con le braccia apre appunto tanto quanto egli è alto. Ma non si debbe usare altra miglior misura che il giudizio dello occhio; il quale se bene una cosa sarà benissimo misurata et egli ne rimanghi offeso, non resterà per questo di biasimarla. Però diciamo che se bene la misura è una retta moderazione da ringrandire le figure talmente che le altezze e le larghezze, servato l’ordine, faccino l’opera proporzionata e graziosa, lo occhio nondimeno ha poi con il giudizio a levare et ad aggiugnere, secondo che vedrà la disgrazia dell’opera, talmente che e’ le dia giustamente proporzione, grazia, disegno e perfezione, acciò che ella sia in sé tutta lodata da ogni ottimo giudizio. E quella statua o figura che averà queste parti, sarà perfetta di bontà, di bellezza, di disegno e di grazia. E tali figure chiameremo tonde, purché si possino vedere tutte le parti finite come si vede ne l’uomo girandolo attorno, e similmente poi l’altre che da queste dependono. Ma e’ mi pare oramai tempo da venire a le cose piú particulari.