Le stragi delle Filippine/Capitolo XII - Nel campo degl'insorti
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Capitolo XII
NEL CAMPO DEGL'INSORTI
Quella foresta, come avevano supposto, era occupata da un grosso stuolo d'insorti capitanati da uno dei piú ardenti autonomisti, da Tung-Tao,1 un meticcio di sangue europeo dal lato del padre e malese della madre, uno dei primi che aveva abbracciata la causa dell'insurrezione ed anche uno dei piú valorosi.
Quelle bande, composte di varie razze, si erano colà accampate per difendere Salitran, che si trovava ad un solo miglio innanzi, da un colpo di mano degli spagnuoli, i quali erano stati già segnalati verso il sud-est.
Nulla di piú strano e di piú pittoresco di quel campo d'insorti, dove si trovavano mescolati uomini appartenenti a tante razze diverse e di costumi cosí variati, persone d'una civiltà che non era inferiore a quella degli spagnuoli ed altre che erano affatto barbare, selvagge, sanguinarie.
Un disordine assoluto vi regnava. Era un caos di tende piantate senza regola, di capannucce improvvisate, di tuguri d'ogni forma e dimensione, di semplici tettoie, di ripari assolutamente primitivi, ma piú che sufficienti pei malesi e pei tagali abituati ordinariamente a dormire all'aria aperta, di uomini, di cavalli, di fasci d'armi dove si vedevano gli arnesi piú micidiali accanto a lance quasi primitive.
Pareva che quasi tutte le svariate razze dell'estremo oriente, si fossero date convegno in quel campo.
V'erano gruppi di meticci derivanti da incroci di sangue europeo col tagalo, o col chinese, o col malese, tipi gagliardi, di carattere vivace, dall'intelligenza svegliatissima e che costituivano il nerbo dell'insurrezione; bande di malesi membruti, di statura bassa, dalla faccia quadra e ossuta, dagli occhi piccoli e torvi, dalla bocca larga armata di denti acuti come quelli delle fiere, ma anneriti dal soverchio uso del betel e dalla carnagione piú o meno fosca, con riflessi olivastri o d'un rosso mattone, ma alquanto smunto. Erano quasi tutti nudi, non avendo che qualche corta camicia o qualche gonnellino, e portavano alla cintura due o tre di quei terribili pugnali a lama serpeggiante, lunghi un piede e colla punta avvelenata nel succo dell'upas.
Piú oltre vi erano bande di tagali dal volto quasi romboidale, ossuto, ma simpatico, cogli occhi vivaci e leggermente obliqui e la pelle rossastra, ma con certe sfumature giallo-bronzine: uomini operosi, coraggiosi e fidati.
Le aspre fatiche del campo non avevano punto influito sul loro carattere vanitoso e facevano ancora pompa delle loro camice ricamate, dei loro calzoni bianchi e dei loro ornamenti d'argento, nonché delle loro croci dorate che usavano portare al collo.
Poi venivano gruppi di chinesi colle loro facce color dei limoni maturi, le loro lunghe code sfuggenti sotto gli ampi cappelli di fibre di rotang, gli occhi obliqui, le zimarre variopinte e fregiate di draghi orribili e colle loro cintole piene d'armi, e munite pure dell'insuperabile ventaglio, oggetto di assoluta necessità; gruppi di bughisi d'origine macassarese o mindanese, dall'alta statura, ma di forme eleganti e dalle tinte brune; di turgiassi dalla pelle quasi bianca, ma a riflessi grigiastri o cenerini, dal volto ovale, gli occhi grandi e bellissimi e la capigliatura nerissima e liscia, non pochi zimbalesi, pangasinansi, illocasi ed igoroti, veri selvaggi che si trovano dispersi nelle montagne delle isole del grande Arcipelago Filippino.
Pel momento, tutta quella gente non pareva gran fatto occuparsi della guerra che si combatteva cosí breve distanza. Avevano radunate in fasci giganteschi le loro armi, ben poche da fuoco, ma moltissime da taglio, e tutte formidabili e si divertivano a loro capriccio, interessandosi dei combattimenti dei galli, pei quali tutti quei popoli hanno una passione straordinaria, tale da superare di gran lunga gl'Inglesi, o applaudendo una compagnia di gitani che aveva piantata la sua baracca nel bel mezzo dell'accampamento, od ascoltando con vivo piacere una mezza dozzina di suonatori di chitarra, artisti in tempo di pace, ma corvi rapaci dopo la battaglia, saccheggiatori spietati dei vinti, fossero questi morti o moribondi.
Hang-Tu, Romero e Than-Kiú, preceduti da Sheu-Kin e scortati da una mezza dozzina di malesi armati di lunghi fucili, ma che dovevano essere stati fabbricati un secolo prima, attraversarono l'accampamento salutati ovunque da strepitose acclamazioni, essendosi sparsa rapidamente la voce del loro arrivo, e vennero condotti nella tenda del capo, una specie di padiglione di cotonina rossa, dinanzi al quale, piantate su pali, facevano orribile mostra le teste già putrefatte d'alcuni soldati spagnuoli.
Tung-Tao aveva radunato alcuni sotto-capi per decidere sulla sorte d'un chinese arrestato nei dintorni del campo, come sospetto di essere una spia degli spagnuoli e stava per pronunciare la sentenza di morte.
Vedendo apparire Hang-Tu e Romero, che ben conosceva, si affrettò a sospendere la seduta per fare gli onori di casa.
— I corrieri delle società segrete mi avevano già informato del vostro arrivo a Salitran, — diss'egli, dopo d'aver stretto la mano ad entrambi e d'aver salutato gentilmente Than-Kiú. — Sono felice di essere il primo a ricevervi nei campi degl'insorti e d'offrirvi ospitalità.
Con un cenno congedò i sotto-capi e fece sedere i nuovi venuti su alcune scranne fabbricate con rami d'albero, dicendo, con un sorriso:
— Non ho di meglio da offrire. Quei dannati spagnuoli mi hanno guastata per tre volte la mia mobilia o meglio ho dovuto lasciarla nelle loro mani per salvare la pelle. Spero però, se tutto andrà bene, di rifarmi con quella dei loro palazzi di Manilla.
— Te lo auguro, Tung-Tao, — rispose Hang. — D'altronde siamo cosí stanchi che ci basterebbe anche un sasso pur di riposarci. È da ieri che galoppiamo.
— Inseguiti dagli spagnuoli?
— No, ma avevamo fretta e molta. Il colpo di mano su Manilla è andato a vuoto, e comprenderai che l'aria di quella città non poteva piú farci bene.
— I corrieri mi hanno recato la notizia stamane.
— Hai un servizio d'informazioni accurato, Tung-Tao. Se gli spagnuoli potessero averne uno eguale, sarebbero ben contenti.
— Le spie non mancano anche a loro. Stavo appunto ora per giudicare un tuo compatriotta che si è lasciato corrompere dall'oro spagnuolo, ma non andrà a raccontare ai nemici ciò che ha veduto nel mio campo. Fra dieci minuti i malesi lo manderanno a trovare il suo Budda.
— Hai fatto bene, — disse Hang. — Fosse stato mio fratello non avrei alzato un dito per strappartelo di mano. Muoiano tutti i traditori!
— E fra i piú atroci tormenti, — aggiunse il capo malese, con un crudele sorriso. — Quali notizie rechi da Manilla?...
— Poco liete, Tung. Là non vi è da tentare nulla di buono, per ora. La capitale non cadrà piú nelle nostre mani.
— Lo so, — disse il capo, con un sospiro. — Ah!... Se fosse riuscita la prima congiura, a quest'ora noi saremmo i padroni di Luzon. Si battono al nord?...
— Matabon e Bulacan resistono sempre, ma temo che gl'insorti non possano marciare sulla capitale. I capi però sanno che noi c'impegneremo a fondo a Salitran ed a Cavite e spero che dal canto loro tenteranno qualche cosa per attirarsi addosso una parte delle truppe del generale Polavieja.
— Vuoi giocare una carta decisiva a Salitran?
— Siamo qui venuti per questo. Dalla difesa di Salitran dipende la sorta di Cavite.
— Spero che gli spagnuoli avranno un osso duro da rodere, se vorranno assalirci. Sono state erette grandi trincee dinanzi a Salitran ed anche sulla strada d'Imus.
— Chi comanda gl'insorti? — chiese Romero, che fino allora si era limitato ad ascoltare.
— Marion Duque, Castillo, Gomez ed i due fratelli Hang-Kai capi dei mestizos. Dispongono di tredici bande, ma non piú di due migliaia di buoni fucili.
— Vi sono dei cannoni?
— Alcuni pezzi e qualche mitragliatrice.
— Si può fare molto allora, — disse Romero. — Se gli spagnuoli ritardano l'attacco d'alcuni giorni, ci troveremo pronti a riceverli. Sarà però necessario concentrare in Salitran tutte le bande che si trovano dislocate, non essendovi da temere attacchi alle spalle. Gli spagnuoli non ci assaliranno che marciando sulle vie d'Imus.
— Io sono pronto a levare il campo, — disse Tung-Tao. — dispongo di quattrocento uomini, di centocinquanta fucili e d'alcune spingarde. Non faccio grande assegnamento sui malesi e sui bughisi, valenti nelle imboscate e negli assalti impetuosi, ma altrettanto cattivi soldati nelle difese; conto sui miei meticci e sui tagali che sono tutti abili bersaglieri.
— Avverti i tuoi sotto-capi di dare il comando di incolonnare le bande. Qui, a guardia del bosco, basterà qualche drappello di malesi o di bughisi.
— Verranno con noi? — chiese Hang-Tu.
— Sí, — rispose Romero. — Mi preme addensare piú bande che posso verso il fiume Imus, poiché il pericolo ci verrà da quella parte.
— È vero, — disse il capo malese. — So che il generale Lachambre cercherà di guadarlo con forze numerose.
— I capi che si trovano a Salitran, hanno mandato colà dei corrieri?
— Lo spero. Fra poco lo sapremo con piú certezza.
— La caduta di Dasmarinas ci sarebbe di grave danno. I nostri fratelli hanno subíto troppe sconfitte in questi giorni e se una buona vittoria non viene a rialzare il morale dei combattenti, prevedo dei tristi giorni per l'insurrezione.
— L'avremo la vittoria, — disse Hang-Tu. — Sei uomo da darcela.
— Non illuderti, Hang, — rispose Romero. — Io cercherò di rendere Salitran inespugnabile, ma tutto dipende dal valore delle nostre bande e tu sai che la loro organizzazione è tutt'altro che salda. Abbiamo troppi capi e troppe razze diverse. Affrettiamoci a partire; i minuti possono diventare preziosi, ora che Dasmarinas sta forse per venire espugnata.
— Accordate una mezz'ora alle mie bande onde levino il campo, — disse Tung-Tao. — Intanto posso offrirvi una colazione, ma ben magra, amici, poiché nei nostri campi i viveri scarseggiano ora che tutti i contadini hanno abbandonate le piantagioni.
Ad una sua chiamata due tagali accorsero e stesero a terra una stuoia di fibre di cocco, destinata a servire da tavola, deponendovi sopra una scimmia arrostita intera, uccisa il giorno innanzi nella foresta, due galline trovate forse in mezzo alle piantagioni ed alcune pagnotte di frumentone. Era tutto quello che poteva offrire il capo delle bande.
Romero ed i suoi compagni, che non avevano mangiato dal giorno precedente, assalirono con appetito le vivande e non si arrestarono nemmeno dinanzi alla scimmia, quantunque essa avesse l'aspetto d'un ragazzetto arrostito.
Il capo offrí in ultimo una dozzina di tazze di eccellente thè, chiamato dai chinesi shang-king, ossia thè profumato, essendo le foglioline mescolate a fiori di mo-li che sono una specie di gelsomini, ed alcuni di quei deliziosi sigari di Manilla, presi probabilmente agli spagnuoli caduti durante gli ultimi scontri.
Quando uscirono, il campo era in pieno disordine. Uomini d'ogni colore e cavalli in grosso numero correvano in tutte le direzioni per incolonnarsi, mentre le donne ed i fanciulli, del pari numerosissimi, che avevano seguiti i rispettivi mariti e padri con piú danno che profitto e con grave ingombro durante le rapide mosse delle bande, s'affannavano a levare le tende ed a caricare sugli animali le munizioni ed i viveri.
Da ogni parte s'udivano grida, comandi, imprecazioni, lamenti di donne, strilli di ragazzi, squilli di trombe d'ogni specie e nitriti.
Tutti s'affrettavano, perché sapevano che chi rimaneva indietro aveva tutte le probabilità di cadere nelle mani degli spagnuoli, i quali anelavano di vendicarsi delle atrocità commesse in tutto il territorio dalle sanguinarie bande dei malesi.
Tung-Tao ed i suoi amici salirono sui loro cavalli ed andarono a collocarsi agli avamposti, per passare in rassegna le bande e regolarne la marcia.
Ad un ordine dei sottocapi, le colonne cominciarono a sfilare, ma senza ordine, non avendo quegli uomini, raccolti nelle campagne ed in mezzo alle foreste, alcuna organizzazione militare.
Sfilarono dapprima i mestizos, un centinaio circa, i migliori combattenti sui quali i capi dell'insurrezione molto contavano, essendo i meglio istruiti, i piú resistenti ed i piú coraggiosi, poiché erano forse i soli che combattevano per vero patriottismo.
Erano tutti a cavallo, armati di buoni fucili moderni, acquistati dai contrabbandieri giapponesi, ma la loro artiglieria non consisteva che in poche spingarde prese forse ai prahos malesi.
Venivano in seguito un centinaio e mezzo di chinesi, discreti soldati, ma che combattevano disordinati e che non erano capaci di resistere alle meravigliose cariche della cavalleria spagnuola e per di piú male armati, poiché i piú non avevano che vecchi fucili e lance.
Poi sfilarono i malesi, i tagali, i mindanesi, in una confusione indescrivibile e armati peggio di tutti. Pochi fucili, ma invece gran numero di quei formidabili sciaboloni bornesi chiamati parangs ilang colla punta a doccia, di catane giapponesi somiglianti a mostruosi rasoi, di kriss dalla lama serpeggiante ed avvelenata, di golok, sciabole lunghe e pesanti in forma di coltello e d'origine giavanese, e di lambing, ossia giavellotti corti, ma colla punta micidialissima.
Venivano poi ultimi le donne ed i fanciulli, tre o quattrocento, stracciati, sparuti dalle fatiche dei campi e dalle privazioni. Spingevano innanzi i cavalli incaricati dal trasporto delle munizioni, delle tende, dei bagagli e dei viveri, procedendo in disordine e con un chiasso enorme, affrettandosi piú che potevano per mantenersi a contatto delle bande, sapendo di non avere alle spalle alcuna protezione, poiché ben poco si curavano di loro i combattenti.
Hang-Tu, Tung-Tao e Than-Kiú raggiunsero al galoppo i mestizos che avevano già abbandonata la foresta inoltrandosi in una vasta pianura, dove si vedevano piantagioni distrutte dal fuoco e avanzi di fattorie.
Quantunque fossero certi di non incontrare il nemico, essendo vicinissimi a Salitran, i mestizos avevano già lanciato a destra ed a sinistra drappelli di cavalieri per proteggere i fianchi delle colonne.
Era una precauzione quasi inutile, perché all'estremità della pianura si vedevano elevarsi, sopra una grande foresta, numerosissime colonne di fumo, indicanti gli accampamenti degl'insorti a Salitran.
Di quando in quando si udivano anche squillare le trombe e muggire le conche di guerra delle bande chinesi, strani strumenti formati con una grande conchiglia del genere triton.
I tre capi e la fanciulla chinese, attraversata di galoppo la pianura e seguiti da un forte drappello di meticci, giunsero ben presto nel bosco dove trovarono le prime bande degl'insorti di Salitran, le quali avevano formato una specie di campo trincerato per difendere la cittadella verso il lato sud.
Parecchi capi meticci, chinesi, tagali e malesi, informati del loro arrivo, si affrettarono a raggiungerli, facendo loro una cordialissima accoglienza, non ignorando quanto contava su di essi l'insurrezione.
A mezzogiorno Romero e Hang-Tu, seguiti da una numerosa scorta, facevano la loro entrata in Salitran, fra l'entusiasmo delle numerosissime bande occupanti le trincee della cittadella.
Note
- ↑ Questo capo, caduto più tardi nelle mani degli spagnuoli e poi evaso miracolosamente dalla Black-Hole di Manilla, vive tuttora a Hong-Kong, dove si è rifugiato. (N.d.A.)