Le porcherie
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1832
LE PORCHERIE.1
Er tempo manna o ffurmini o ssaette,
Siconno er genio suo come je cricca.2
Cueste so’ pe’ nnoi ggente poverette:
Quelli sortanto pe’ la ggente ricca.
Cuelli so’ llavorati a ccolonnette,
Però er furmine roppe e nnun ze ficca.
L’antre so’ ppietre poi3 segate a ffette
E arrotate all’usanza d’una picca.
Me l’ha spiegato a mmé lo scarpellino
Che ffa l’artare a Ssan Zimon Profeta,4
Che ssa ste cose com’er pane e ’r vino.
Tu mmette bbocca5 cuanno er gallo feta
E la gallina piscia, ché er boccino6
Lo tienghi uperto come una segreta.
30 gennaio 1832.
Note
- ↑ I Romaneschi che hanno sempre per la bocca i fulmini e le saette in via d’imprecazione, sentono poi certa ripugnanza superstiziosa al far menzione di questi fenomeni, quasi temessero di chiamarsene addosso: e vi sostituiscono la parola porcheria. Dovendone poi dire il nome, non mancano di mandargli appresso una formola preservativa, come: Dio salvi ognuno; Salvo dome me tocco, ecc. La distinzione qui data della natura e della forma de’ fulmini e delle saette è di vera credenza popolare.
- ↑ [Come gli frulla.]
- ↑ Al contrario.
- ↑ Chiesetta di Roma.
- ↑ Tu di’ il tuo parere, interloquisci.
- ↑ Testa, per lo più nel risguardo morale.