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Sonetti del 1832 73

LE PORCHERIE.1

     Er tempo manna o ffurmini o ssaette,
Siconno er genio suo come je cricca.2
Cueste so’ pe’ nnoi ggente poverette:
Quelli sortanto pe’ la ggente ricca.

     Cuelli so’ llavorati a ccolonnette,
Però er furmine roppe e nnun ze ficca.
L’antre so’ ppietre poi3 segate a ffette
E arrotate all’usanza d’una picca.

     Me l’ha spiegato a mmé lo scarpellino
Che ffa l’artare a Ssan Zimon Profeta,4
Che ssa ste cose com’er pane e ’r vino.

     Tu mmette bbocca5 cuanno er gallo feta
E la gallina piscia, ché er boccino6
Lo tienghi uperto come una segreta.

30 gennaio 1832.

  1. I Romaneschi che hanno sempre per la bocca i fulmini e le saette in via d’imprecazione, sentono poi certa ripugnanza superstiziosa al far menzione di questi fenomeni, quasi temessero di chiamarsene addosso: e vi sostituiscono la parola porcheria. Dovendone poi dire il nome, non mancano di mandargli appresso una formola preservativa, come: Dio salvi ognuno; Salvo dome me tocco, ecc. La distinzione qui data della natura e della forma de’ fulmini e delle saette è di vera credenza popolare.
  2. [Come gli frulla.]
  3. Al contrario.
  4. Chiesetta di Roma.
  5. Tu di’ il tuo parere, interloquisci.
  6. Testa, per lo più nel risguardo morale.