Le poesie religiose (1895)/Nella foresta
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NELLA FORESTA
Per la sacra foresta rifiorente all’aprile
Passa Rama da’ grandi occhi di loto,
Il venerato Risci, l’eroe fiero e gentile
4Ne’ Vedi saldo e ne’ tre mondi noto.
Splende l’arco al suo dorso, come recente luna
Sopra le spalle di selvoso monte,
L’arco, ond’ei può gli abissi sconvolger di Varuna
8E star del sole e della morte a fronte.
Scostano riverenti al suo passar le braccia
Le fronzute butèe dal fior giocondo,
Ch’a’ mimusòpi d’oro in densi amplessi allaccia
12La stagion che rifà giovane il mondo.
Il pavon maestoso, tra le michelie in fiore,
“Rama è più bel di me,„ trepido dice;
E, topazj volanti, i colibrì in amore
16Pispiglian: “Rama è più di noi felice.„
Meravigliati in riva dei puri fiumi stanno
Gli elefanti, che ferree hanno le membra,
E, traendo l’adunca tromba dall’acque, vanno
20Mormorando fra lor: “Visnu egli sembra.„
Pur, come fosse a lui sigillata la fonte
D’ogni saper, come se vinto e morto
Fosse alla gloria, ei lento va, con dimessa fronte,
24In un pensiero, in un mistero assorto.
Lo vede Indra, l’amico nume, e in tre passi viene
Al mesto eroe. Tace la selva intorno
Al dio presente; fermano il vol l’aure serene:
28Fiammeggia, qual per doppio sole, il giorno.
“O amor d’ogni vivente, gli dice, e qual ti manca
Saper, gloria, possanza? Io non intendo
Il tuo dolore. Ai tuoi strali non andò Lanca
32In fiamme? Non peri Ràvano orrendo?
Forse fra le tue braccia or non palpita Sita,
La casta Sita che il gran cor ti accese,
La donna da’ bei lombi, di cui più dell’amrita
36Dolce è la bocca e l’anima cortese?„
Sollevò Rama al caro nome le ciglia, e al dio
Girato intorno da man destra: “O santo
Deva dall’arco d’oro, solo a cui cede il mio,
40Rispose, il tuo parlar muove il mio pianto.
È mia la Mitilese da’ bei lombi, la pia
Da’ miti occhi d’antilope, la brama
Splendida dei miei giorni, delle mie notti è mia,
44Dorme sul petto mio, mi bacia e m’ama.
Ahi, ma non pria fra queste mie braccia avide strinsi
Quella beltà, ch’io più del cielo ambiva,
Non più tale mi apparve, quale in sogno la finsi,
48Quando prima ad amor l’anima apriva.
O mutata ella sia per maligno portento,
O mutato il mio cor, cadute appieno,
Come fiori d’asòca agitato dal vento,
52Son le speranze, ond’esultò il mio seno.
Deh, s’or che tutta ascesi la gloria, a me si nega
Quel sogno, onde già fui simile a un dio,
Scocca, o nume pietoso, un tuo dardo, e dislega
56Entro a’ cinque elementi il corpo mio!„
S’ottenebrò il custode nume, e con guardo fosco
S’eresse all’aria come nube. Oppresso
Da un improvviso nembo scroscia il profondo bosco,
60Mentre il cor dell’eroe geme sommesso.