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Gaio Valerio Catullo - Poesie (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1889)
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Pari ad un dio, maggior d’un dio, s’è dato,
     Parmi colui che a te di fronte assiso
     Ascolta, o Lesbia, i tuoi detti, beato
                    4Del tuo sorriso

Dolcissimo. Eppur io, misero, quando
     Ti miro, ogni mio senso ecco si oscura:
     Nulla m’avanza più: trepido ansando
               8. . . . . . . . . . .

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Intorpidisce la lingua; un’intensa
     Tenue fiamma le fibre intime invade,
     Tintinnano le orecchie, un’ombra immensa
                   12Su gli occhi cade.


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L’ozio, Catullo, è a te dannoso; è indegno
     L’ozio ond’esulti, e troppo omai ti arrise:
     Più d’un gran duce e d’un beato regno
                    L’ozio conquise.


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Che stai, Catullo, a che non crepi subito?
     Nonio tincone al curul seggio impancasi:
     Pe’l consolato spergiura Vatinio:
     Che stai, Catullo, a che non crepi subito?


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Risi d’un quilibet or or, che udendo
     Con un eloquio proprio stupendo

Snudare in pubblico da Calvo mio
     Del reo Vatinio l’opre: “Per dio,