Le piacevoli notti (1927)/Notte duodecima/Favola terza

Notte duodecima - Favola terza

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FAVOLA III.

Federico da Pozzuolo, che intendeva il linguaggio de gli animali, astretto dalla moglie dirle un secreto, quella stranamente batte.

[Fiordiana].

Gli uomini savi e aveduti deono tener le loro mogli sotto timore, nè patire ch’elle li pongano le brache in capo, perciò che, altrimenti facendo, alla fine si troveranno pentiti.

Federico da Pozzuolo, giovane discreto, cavalcando un giorno verso Napoli sopra una cavalla che per aventura era pregnante, menava la sua moglie in groppa, la quale parimente era gravida. Il polledrino, seguitando la madre dalla lunga, cominciò a nitrire; e in suo linguaggio dicea: — Madre, camina piano, perchè essendo io tenerino, e solamente di un anno, non posso correndo seguitare i tuoi vestigi. — La cavalla stese le orecchie, e soffiando con le nari fortemente, cominciò a nitrire; e rispondendogli diceva: — Io porto la patrona, che è gravida, e anche io ho nel ventre il tuo fratello; e tu che sei giovane, leggero e senza alcun peso soprapostoti, ricusi di caminare. Vieni, se vuoi venire; se non, fa come ti piace. — Le qual parole intendendo il giovane, perciò che egli intendeva le voci e degli uccelli e degli animali terrestri, si sorrise. La moglie, di ciò maravigliandosi, gli addimandò la causa del suo ridere. Le rispose il marito, aver spontaneamente riso da se: ma se pur in qualche caso egli le dicesse la causa di quello, ella si tenesse per certo che le parche subito tagliarebbono il filo della sua vita, e cosí presto se ne morrebbe. La moglie importuna gli rispose, che ad ogni modo ella voleva saper la causa di tal ridere; se non, che ella per la gola s’appiccherebbe. Il marito allora, constituito in cosí dubbioso pericolo, le rispose, cosí dicendole: — Quando saremo ritornati a Pozzuolo, [p. 189 modifica]ordinate le cose mie, e fatte le debite provisioni all’anima e al corpo mio, allora ti manifesterò ogni cosa. — Per queste promissioni la scelerata e malvaggia moglie s’achetò. Poi che furono ritornati a Pozzuolo, subito ricordatasi della promessa a lei fatta, sollecitava il marito, che le dovesse mantenere quanto le aveva promesso. Le rispose il marito, che ella andasse a chiamar il confessore, perchè, dovendo egli morir per tal causa, voleva prima confessarsi e raccomandarsi a Dio. Il che fatto, le direbbe il tutto. Ella adunque, volendo piú tosto la morte del marito, che lasciar la pessima sua volontà, andò a chiamar il confessore. In questo mezzo giacendosi egli addolorato nel letto, udí il cane che disse tai parole al gallo che cantava: — Non ti vergogni, tu, — disse egli, — tristo e ribaldo? Il nostro padrone è poco lontano dalla morte, e tu che doveresti e tristarti e star di mala voglia, canti di allegrezza? — Rispose prontamente il gallo: — E se more il padrone, che ne ho a far io? Sono io forse causa della morte di quello? egli vuole spontaneamente morire. Non sai tu che gli è scritto nel primo della Politica: La femina e il servo sono ad un grado medesimo? Essendo il marito capo della moglie, dee la moglie istimare i costumi del marito esser la legge della sua vita. Io ho cento moglie, e facciole per timore tutte obedientissime a’ comandamenti miei, e gastigo ora una, or un’altra, e dolle delle busse; ed egli non ha salvo che una moglie, e non sa ammaestrarla, che le sia obediente. Lascia adunque che egli muoia. Non credi tu che ella si saprà trovare un altro marito? Tal sia di lui, s’egli è da poco, il quale desidera ubedire alla pazza e sfrenata voglia della moglie. — Le quali parole intese e ben considerate, il giovane revocò la sua sentenzia, e rendette molte grazie al gallo. E facendogli la moglie instanzia di voler intender la causa del suo ridere, egli la prese per gli capegli, e cominciò a batterla e diedele tante busse, che quasi la lasciò per morta. —