Le piacevoli notti/Notte XIII/Favola IX

Favola IX

../Favola VIII ../Favola X IncludiIntestazione 5 agosto 2015 100% Da definire

Notte XIII - Favola VIII Notte XIII - Favola X
[p. 272 modifica]

FAVOLA IX.


Filomena giovanetta, posta nel monasterio, gravemente s’inferma; e visitata da molti medici, finalmente ermofrodita vien ritrovata.


Grandi sono, graziose donne, e’ secreti della natura e innumerabili, nè è uomo al mondo che quelli imaginar potesse. Laonde mi ho pensato di raccontarvi un caso, il quale non è favola, ma intervenuto poco tempo fa nella città di Salerno.

In Salerno, città onorevole e copiosa di bellissime donne, trovavasi un padre di famiglia della casa di Porti, il quale aveva una sola figliuola, ch’era nel fior della sua bellezza, nè passava il decimosesto anno. Costei, che Filomena si chiamava, era da molti per la sua bellezza molestata, e addimandata in moglie. Il padre, vedendo il pericolo grande della figliuola, e temendo che non le avenisse qualche scorno per esser così stimata, deliberò di porla nel monasterio di San Iorio della città di Salerno, non già che facesse professione, ma che le donne la tenessero fino ch’ella si maritasse. A costei, essendo nel monasterio, sopravenne una violente febbre, la qual era curata con ogni sollecitudine e diligenza. Andorono al principio alla cura di lei alcuni erbolai, che con gran giuramenti promettevano in breve tempo farle ricuperare la pristina sanità, ma nulla facevano. Il padre le mandò medici pratichi e eccellenti, e alcune vecchie che promettevano darle rimedii presentanei, che subito guarirebbe. A questa bella e graziosa giovane s’era grandemente enfiato il pettignone, il quale era venuto a guisa di una [p. 273 modifica]grossa palla. Per il che era molestata da tanti dolori, che altro non facea che pietosamente lamentarsi, di modo, che parea esser giunta all’ultimo termine della sua vita. I parenti, mossi a pietà della misera giovane, le mandarono cirugi degni e molto approbati nell’arte cirugia. I quali, ben visto e esaminato il luogo della enfiazione, altri dicevano doverglisi sopraporre radici di altea cotte e miscolate con grasso di porco, perchè levarebbono il dolore e la enfiazione; altri altre cose, e altri negavano che far si dovessero alcuno delli rimedii allegati. Tutti finalmente furono d’accordo, che tagliar si dovesse il luogo enfiato per rimover la materia e la causa del dolore. Il che deliberatosi, vennero tutte le monache del monasterio e molte matrone, con alcuni propinqui della graziosa giovane. E uno di detti cirugi, il quale di gran lunga tutti gli altri avanzava, preso il coltello feritorio, percosse leggermente e con gran destrezza in un volger d’occhi il loco enfiato; e perforata la pelle, quando si credeva che di tal buco uscir ne dovesse o sangue, o marza, ne uscì un certo grosso membro, il quale le donne desiderano e di vederlo si schifano. Non posso astenermi dal ridere scrivendo la veritade in luogo di favola. Tutte le monache, stupefatte per tal novità, piangevano da dolore, non per la ferita, nè anco per la infermità della giovane, ma per la lor causa, perciò che elle averebbeno più tosto voluto che quello che palesamente è occorso, fusse intravenuto occultamente. Imperciò che per onor suo fu subito mandata la giovane fuori del monasterio. Or quanto l’averebbeno carissimamente dentro conservata! Tutti li medici non poteano più da ridere. E così in un tratto la giovane risanata divenne uomo e donna. E referisco per bugia quello che è la verità, [p. 274 modifica]chè di poi la vidi con gli occhi miei vestita da uomo con l’uno e l’altro sesso.

La Signora, vedendo la favola del Molino esser giunta ad un ridicoloso termine, e conoscendo che ’l tempo velocemente correva, disse ch’il dovesse con l’enimma l’ordine seguire. Ed egli, senza tener la compagnia a bada, così disse.

Son figlio senza padre, a madre figlio,
     E spesso a lei contra mia veglia torno.
Con il mio forte e saporito artiglio
     Altri compiaccio, ed altri inganno e scorno.
E perciò che non vuò di alcun consiglio,
     Opro così la notte come il giorno.
Figli non tengo, e men figliuola alcuna,
     Che consente così la mia fortuna.

Non sapeva imaginarsi alcun che significar volesse l’enimma dal Molino recitato. Ma Cateruzza, a cui secondo l’ordine il dir toccava, disse: Altro non significa, signor Antonio, il vostro oscuro enimma, se non il sale; il qual non ha padre, e la sua madre è l’acqua, alla qual spesso il figliuol ritorna. Egli col suo sapore piace e dispiace.