Le odi di Orazio/Libro primo/XVIII
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XVIII
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XVIII.
O Varo altr’arbore pria non piantar del sacro pampano
Là al suol di Tivoli mite e ove alzò le mura Catilo:
Aspra agli astemj vita serbò il dio, nè fuggono
4D’altra via l’ispide cure, che il sen feroci mordono.
Di rea milizia, di povertà, chi tra ’l vin brontola?
Chi non te, Libero padre, non te loda, alma Venere?
Ma acciò che immodico non salti alcun di Bacco i limiti
8Ben dei Centauri ammonir può la rissa ch’ebbero
Ebbri co’ Làpiti; ammonir può Evio a’ Sitonj
Grave allor ch’avidi di voluttà, lecito e illecito
Più non distinsero. Non io già te, Bassareo candido,
12Oserò scuotere, malgrado te; nè ciò che ascondesi
Tra frondi varie disvelerò. Col berecintio
Corno tu a’ timpani fieri fren dà: cieco amor proprio
Li segue e Gloria che troppo in su estolle il vacuo
16Capo e Fè prodiga d’arcani e più di vetro lucida.