Le odi di Orazio/Libro primo/XVIII

Libro primo
XVIII

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Quinto Orazio Flacco - Odi (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Mario Rapisardi (1883)
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XVIII.


O Varo altr’arbore pria non piantar del sacro pampano
    Là al suol di Tivoli mite e ove alzò le mura Catilo:
    Aspra agli astemj vita serbò il dio, nè fuggono
    4D’altra via l’ispide cure, che il sen feroci mordono.

Di rea milizia, di povertà, chi tra ’l vin brontola?
    Chi non te, Libero padre, non te loda, alma Venere?
    Ma acciò che immodico non salti alcun di Bacco i limiti
    8Ben dei Centauri ammonir può la rissa ch’ebbero

Ebbri co’ Làpiti; ammonir può Evio a’ Sitonj
    Grave allor ch’avidi di voluttà, lecito e illecito
    Più non distinsero. Non io già te, Bassareo candido,
    12Oserò scuotere, malgrado te; nè ciò che ascondesi

Tra frondi varie disvelerò. Col berecintio
    Corno tu a’ timpani fieri fren dà: cieco amor proprio
    Li segue e Gloria che troppo in su estolle il vacuo
    16Capo e Fè prodiga d’arcani e più di vetro lucida.