Capo LIII

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Capo LIII.

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Alle 9 antimeridiane, Maroncelli ed io fummo fatti entrare in gondola, e ci condussero in città. Approdammo al palazzo del doge, e salimmo alle carceri. Ci misero nella stanza ove pochi giorni prima era il signor Caporali; ignoro ove questi fosse stato tradotto. Nove o dieci sbirri sedeano a farci guardia, e noi passeggiando aspettavamo l’istante di esser tratti in piazza. L’aspettazione fu lunga. Comparve soltanto a mezzodì l’inquisitore, ad annunciarci che bisognava andare. Il medico si presentò, suggerendoci di bere un bicchierino d’acqua di menta; accettammo, e fummo grati, non tanto di questa, quanto della profonda compassione che il buon vecchio ci dimostrava. Era il dottor Dosmo. S’avanzò quindi il capo-sbirro, e ci pose le manette. Seguimmo lui, accompagnati dagli altri sbirri.

Scendemmo la magnifica scala de’ giganti, ci ricordammo del doge Marin Faliero, ivi [p. 182 modifica]decapitato, entrammo nel gran portone che dal cortile del palazzo mette sulla piazzetta, e qui giunti voltammo verso la laguna. A mezzo della piazzetta era il palco ove dovemmo salire. Dalla scala de’ giganti fino a quel palco stavano due file di soldati tedeschi; passammo in mezzo ad esse.

Montati là sopra, guardammo intorno, e vedemmo in quell’immenso popolo il terrore. Per varie parti in lontananza schieravansi altri armati. Ci fu detto, esservi i cannoni colle micce accese dappertutto.

Ed era quella piazzetta, ove nel settembre 1820, un mese prima del mio arresto, un mendico aveami detto: — Questo è luogo di disgrazia! —

Sovvennemi di quel mendico, e pensai: — Chi sa, che in tante migliaia di spettatori non siavi anch’egli, e forse mi ravvisi? —

Il capitano tedesco gridò, che ci volgessimo verso il palazzo e guardassimo in alto. Obbedimmo, e vedemmo sulla loggia un curiale con una carta in mano. Era la sentenza. La lesse con voce elevata.

Regnò profondo silenzio sino all’espressione: [p. 183 modifica]condannati a morte. Allora s’alzò un generale mormorio di compassione. Successe nuovo silenzio per udire il resto della lettura. Nuovo mormorio s’alzò all’espressione: condannati a carcere duro, Maroncelli per vent’anni, e Pellico per quindici.

Il capitano ci fe’ cenno di scendere. Gettammo un’altra volta lo sguardo intorno, e scendemmo. Rientrammo nel cortile, risalimmo lo scalone, tornammo nella stanza donde eravamo stati tratti, ci tolsero le manette, indi fummo ricondotti a San Michele.