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pitato, entrammo nel gran portone che dal cortile del palazzo mette sulla piazzetta, e qui giunti voltammo verso la laguna. A mezzo della piazzetta era il palco ove dovemmo salire. Dalla scala de’ giganti fino a quel palco stavano due file di soldati tedeschi; passammo in mezzo ad esse.
Montati là sopra, guardammo intorno, e vedemmo in quell’immenso popolo il terrore. Per varie parti in lontananza schieravansi altri armati. Ci fu detto, esservi i cannoni colle micce accese dappertutto.
Ed era quella piazzetta, ove nel settembre 1820, un mese prima del mio arresto, un mendico aveami detto: — Questo è luogo di disgrazia! —
Sovvennemi di quel mendico, e pensai: — Chi sa, che in tante migliaia di spettatori non siavi anch’egli, e forse mi ravvisi? —
Il capitano tedesco gridò, che ci volgessimo verso il palazzo e guardassimo in alto. Obbedimmo, e vedemmo sulla loggia un curiale con una carta in mano. Era la sentenza. La lesse con voce elevata.
Regnò profondo silenzio sino all’espressione: