Le mecaniche/Della vite

Della vite

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Delle taglie Della coclea d'Archimede per levar l'acqua


Tra tutti gli altri strumenti mecanici per diversi commodi dall’ingegno umano ritrovati, parmi, e d’invenzione e di utilità, la vite tenere il primo luogo; come quella che non solo al muovere, ma al fermare e stringere con forza grandissima, acconciamente si adatta, ed è in maniera fabricata, che, occupando pochissimo luogo, fa quelli effetti, che altri strumenti non fariano, se non fossero ridotti in gran machine. Essendo dunque la vite di bellissima ed utilissima invenzione, meritamente dovremo affaticarci in esplicare, quanto più chiaramente si potrà, la sua origine e natura: per il che fare, faremo principio da una speculazione, la quale, benché di prima vista sia per apparire alquanto lontana dalla considerazione di tale strumento, nientedimeno è la sua base e fondamento.

Non è dubbio alcuno, tale essere la costituzione della natura circa i movimenti delle cose gravi, che qualunque corpo, che in sé ritenga gravità, ha propensione di moversi, essendo libero, verso il centro; e non solamente per la linea retta perpendicolare, ma ancora, quando altrimenti far non possa, per ogni altra linea, la quale, avendo qualche inclinazione verso il centro, vadi a poco a poco abbassandosi. E così veggiamo, essempligrazia, l’acqua non solamente cadere a basso a perpendicolo da qualche luogo eminente, ma ancora discorrer intorno alla superficie della terra sopra linee, benché pochissimo, inchinate; come nel corso dei fiumi si accorge, dei quali, purché il letto abbia qualche poco di pendenza, le acque vanno liberamente declinando al basso: il quale medesimo effetto, siccome si scorge in tutti i corpi fluidi, apparirebbe ancora nei corpi duri, purché e la lor figura e li altri impedimenti accidentarii ed esterni non lo divietassero. Sì che, avendo noi una superficie molto ben tersa e polita, quale saria quella di uno specchio, ed una palla perfettamente rotonda e liscia, o di marmo, o di vetro, o di simile materia atta a pulirsi, questa, collocata sopra la detta superficie, anderà movendosi, purché quella abbia un poco d’inclinazione, ancorché minima, e solamente si fermerà sopra quella superficie, la quale sia esattissimamente livellata, ed equidistante al piano dell’orizonte; quale, per essempio, saria la superficie di un lago o stagno agghiacciato, sopra la quale il detto corpo sferico staria fermo, ma con disposizione di essere da ogni picciolissima forza mosso. Perché avendo noi inteso come, se tale piano inclinasse solamente quanto è un capello, la detta palla vi si moverebbe spontaneamente verso la parte declive, e, per l’opposito, averebbe resistenza, né si potria movere senza qualche violenza, verso la parte acclive o ascendente; resta per necessità cosa chiara, che nella superficie esattamente equilibrata detta palla resti come indifferente e dubbia tra il moto e la quiete, sì che ogni minima forza sia bastante a muoverla, siccome, all’incontro, ogni pochissima resistenza, e quale è quella sola dell’aria che la circonda, potente a tenerla ferma.

Dal che possiamo prendere, come per assioma indubitato, questa conclusione: che i corpi gravi, rimossi tutti l’impedimenti esterni ed adventizii, possono esser mossi nel piano dell’orizonte da qualunque minima forza. Ma quando il medesimo grave dovrà essere spinto sopra un piano ascendente, già cominciando egli a contrastare a tale salita (avendo inclinazione al moto contrario), si ricercherà maggiore violenza, e maggiore ancora quanto più il detto piano averà di elevazione. Come, per essempio,

essendo il mobile G costituito sopra la linea AB, paralella all’orizonte, starà, come si è detto, in essa indifferente al moto e alla quiete, sì che da minima forza possa esser mosso: ma se averemo li piani elevati AC, AD, AE, sopra di essi non sarà spinto se non per violenza, la quale maggiore si ricercherà per muoverlo sopra la linea AD che sopra la linea AC, e maggiore ancora sopra la AE che sopra la AD; il che procede per aver lui maggior impeto di andare a basso per la linea EA che per la DA, e per la DA che per la CA. Sì che potremo parimente concludere, i corpi gravi aver maggiore resistenza ad esser mossi sopra piani elevati diversamente, secondo che l’uno sarà più o meno dell’altro elevato; e, finalmente, grandissima essere la renitenza del medesimo grave all’essere alzato nella perpendicolare AF. Ma quale sia la proporzione che deve avere la forza al peso per tirarlo sopra diversi piani elevati, sarà necessario che si dichiari esattamente, avanti che procediamo più oltre, acciò perfettissimamente possiamo intendere tutto quello che ne resta a dire.

Fatte dunque cascare le perpendicolari dalli punti C, D, E sopra la linea orizontale AB, che siano CH, DI, EK, si dimostrerà, il medesimo peso esser sopra il piano elevato AC mosso da minor forza che nella perpendicolare AF (dove viene alzato da forza a sé stesso eguale), secondo la proporzione che la perpendicolare CH è minore della AC; e sopra il piano AD avere la forza al peso l’istessa proporzione, che la linea perpendicolare ID alla DA; e finalmente nel piano AE osservare la forza al peso la proporzione della KE alla EA.

È la presente speculazione stata tentata ancora da Pappo Alessandrino nell’8° libro delle sue Collezioni Matematiche; ma, per mio avviso, non ha toccato lo scopo, e si è abbagliato nell’assunto che lui fa, dove suppone, il peso dover esser mosso nel piano orizontale da una forza data: il che è falso, non si ricercando forza sensibile (rimossi l’impedimenti accidentarii, che dal teorico non si considerano) per muovere il dato peso nell’orizonte; sì che in vano si va poi cercando, con quale forza sia per esser mosso sopra il piano elevato. Meglio dunque sarà il cercare, data la forza che muove il peso in su a perpendicolo (la quale pareggia la gravità di quello), quale deva essere la forza che lo muova nel piano elevato: il che tenteremo noi di conseguire con aggressione diversa da quella di Pappo.

Intendasi dunque il cerchio AIC,

ed in esso il diametro ABC, ed il centro B, e due pesi di eguali momenti nelle estremità A, C; sì che, essendo la linea AC un vette o libra mobile intorno al centro B, il peso C verrà sostenuto dal peso A. Ma se c’immagineremo il braccio della libra BC essere inchinato a basso secondo la linea BF, in guisa tale però che le due linee AB, BF restino salde insieme nel punto B, allora il momento del peso C non sarà più eguale al momento del peso A, per esser diminuita la distanza del punto F dalla linea della direzione che dal sostegno B, secondo la BI, va al centro della terra. Ma se tireremo dal punto F una perpendicolare alla BC, quale è la FK, il momento del peso in F sarà come se pendesse dalla linea KB; e quanto la distanza KB è diminuita dalla distanza BA, tanto il momento del peso F è scemato dal momento del peso A. E così parimente, inchinando più il peso, come saria secondo la linea BL, il suo momento verrà scemando, e sarà come se pendesse dalla distanza BM, secondo la linea ML; nel qual punto L potrà esser sostenuto da un peso posto in A, tanto minore di sé quanto la distanza BA è maggiore della distanza BM. Vedesi dunque come, nell’inclinare a basso per la circonferenza CFLI il peso posto nell’estremità della linea BC, viene a scemarsi il suo momento ed impeto d’andare a basso di mano in mano più, per esser sostenuto più e più dalle linee BF, BL. Ma il considerare questo grave discendente, e sostenuto dalli semidiametri BF, BL ora meno e ora più, e constretto a caminare per la circonferenza CFL, non è diverso da quello che saria imaginarsi la medesima circonferenza CFLI esser una superficie così piegata, e sottoposta al medesimo mobile, sì che, appoggiandovisi egli sopra, fosse constretto a descendere in essa; perché se nell’uno e nell’altro modo disegna il mobile il medesimo viaggio, niente importerà s’egli sia sospeso dal centro B e sostenuto dal semidiametro del cerchio, o pure se, levato tale sostegno, s’appoggi e camini su la circonferenza CFLI. Onde indubitatamente potremo affermare, che, venendo al basso il grave dal punto C per la circonferenza CFLI, nel primo punto C il suo momento di discendere sia totale ed integro; perché non viene in parte alcuna sostenuto dalla circonferenza, e non è, in esso primo punto C, in disposizione a moto diverso di quello, che libero farebbe nella perpendicolare e contingente DCE. Ma se il mobile sarà constituito nel punto F, allora dalla circolare via, che gli è sottoposta, viene in parte la gravità sua sostenuta, ed il suo momento d’andare al basso diminuito con quella proporzione, con la quale la linea BK è superata dalla BC: ma quando il mobile è in F, nel primo punto di tale suo moto è come se fosse nel piano elevato secondo la contingente linea GFH, perciò che l’inclinazione della circonferenza nel punto F non differisce dall’inclinazione della contingente FG, altro che l’angolo insensibile del contatto. E nel medesimo modo troveremo, nel punto L diminuirsi il momento dell’istesso mobile, come la linea BM si diminuisce dalla BC; sì che nel piano contingente il cerchio nel punto L, qual saria secondo la linea NLO, il momento di calare al basso scema nel mobile con la medesima proporzione. Se dunque sopra il piano HG il momento del mobile si diminuisce dal suo totale impeto, quale ha nella perpendicolare DCE, secondo la proporzione della linea KB alla linea BC o BF; essendo, per la similitudine de i triangoli KBF, KFH, la proporzione medesima tra le linee KF, FH che tra le dette KB, BF, concluderemo, il momento integro ed assoluto che ha il mobile nella perpendicolare all’orizonte, a quello che ha sopra il piano inclinato HF, avere la medesima proporzione che la linea HF alla linea FK, cioè che la lunghezza del piano inclinato alla perpendicolare che da esso cascherà sopra l’orizonte. Sì che, passando a più distinta figura,

quale è la presente, il momento di venire al basso che ha il mobile sopra il piano inclinato FH, al suo totale momento, con lo qual gravita nella perpendicolare all’orizonte FK, ha la medesima proporzione che essa linea KF alla FH. E se così è, resta manifesto che, sì come la forza che sostiene il peso nella perpendicolare FK deve essere ad esso eguale, così per sostenerlo nel piano inclinato FH basterà che sia tanto minore, quanto essa perpendicolare FK manca dalla linea FH. E perché, come altre volte s’è avvertito, la forza per muover il peso basta che insensibilmente superi quella che lo sostiene, però concluderemo questa universale proposizione: sopra il piano elevato la forza al peso avere la medesima proporzione, che la perpendicolare dal termine del piano tirata all’orizonte, alla lunghezza d’esso piano.

Ritornando ora al nostro primo instituto, che era d’investigare la natura della vite, considereremo il triangolo ACB,

del quale la linea AB sia orizontale, la BC perpendicolare ad esso orizonte, ed AC piano elevato; sopra il quale il mobile D verrà tirato da forza tanto di quello minore, quanto essa linea BC è della CA più brieve. Ma per elevare il medesimo peso sopra l’istesso piano AC, tanto è che, stando fermo il triangolo CAB, il peso D sia mosso verso C, quanto saria se, non si rimovendo il medesimo peso della perpendicolare AE, il triangolo si spingesse avanti verso H; perché, quando fosse nel sito FHG, il mobile si troveria aver montato l’altezza AI. Ora finalmente la forma ed essenza primaria della vite non è altro che un simil triangolo ACB, il quale spinto inanzi, sottentra al grave da alzarsi, e se lo leva (come si dice) in capo. E tale fu la sua prima origine: che considerando, qual si fosse il suo primo inventore, come il triangolo ABC,

venendo inanzi, solleva il peso D, si poteva fabricare uno instrumento simile al detto triangolo, di qualche materia ben salda, il quale, spinto inanzi, elevasse il proposto peso: ma considerando poi meglio come una tal machina si poteva ridurre in forma assai più picciola e comoda, preso il medesimo triangolo, lo circondò ed avvolse intorno al cilindro ABCD;

in maniera che l’altezza del detto triangolo, cioè la linea CB, faceva l’altezza del cilindro, ed il piano ascendente generava sopra il detto cilindro la linea elica disegnata per la linea AEFGH, che volgarmente addomandiamo il verme della vite: ed in questa varietà si genera l’instrumento da’ Greci detto coclea, e da noi vite, il quale volgendosi a torno viene co ’l suo verme subintrando al peso, e con facilità lo solleva. Ed avendo noi già dimostrato, come, sopra il piano elevato, la forza al peso ha la medesima proporzione, che l’altezza perpendicolare del detto piano alla sua lunghezza, così intenderemo la forza nella vite ABCD multiplicarsi secondo la proporzione che la lunghezza di tutto il verme AEFGH eccede l’altezza CB; dal che venghiamo in cognizione, come formandosi la vite con le sue elici più spesse, riesce tanto più gagliarda, come quella che viene generata da un piano manco elevato, e la cui lunghezza risguarda con maggior proporzione la propria altezza perpendicolare. Ma non resteremo di avvertire, come volendo ritrovare la forza di una vite proposta, non farà di mestiero che misuriamo la lunghezza di tutto il suo verme, e l’altezza di tutto il suo cilindro; ma basterà che andiamo essaminando, quante volte la distanza tra due soli e contigui termini entra in una sola rivolta del medesimo verme: come saria, per essempio, quante volte la distanza AF vien contenuta nella lunghezza della rivolta AEF, perciò che questa è la medesima proporzione che ha tutta l’altezza CB a tutto il verme.

Quando si sia compreso tutto quello che fin qui abbiamo dichiarato circa la natura di questo instrumento, non dubito punto che tutte l’altre circonstanze potranno senza fatica esser intese: come saria, per essempio, che in luogo di far montare il peso sopra la vite, se li accomoda la sua madre-vite con la elice incavata; nella quale entrando il maschio, cioè il verme della vite, voltata poi intorno, solleva ed inalza la madre insieme co ’l peso che ad essa fosse appiccato. Finalmente non è da passare sotto silenzio quella considerazione, la quale da principio si disse esser necessaria d’avere in tutti gl’instrumenti mecanici: cioè, che quanto si guadagna di forza per mezo loro, altrettanto si scapita nel tempo e nella velocità. Il che per avventura non potria parere ad alcuno così vero e manifesto nella presente speculazione; anzi pare che qui si multiplichi la forza senza che il motore si muova per più lungo viaggio che il mobile. Essendo che se intenderemo, nel triangolo ABC

la linea AB essere il piano dell’orizonte, AC piano elevato, la cui altezza sia misurata dalla perpendicolare CB, un mobile posto sopra il piano AC, e ad esso legata la corda EDF, e posta in F una forza o un peso, il quale alla gravità del peso E abbia la medesima proporzione che la linea BC alla CA; per quello che s’è dimostrato, il peso F calerà al basso tirando sopra il piano elevato il mobile E, né maggior spazio misurerà detto grave F nel calare al basso, di quello che si misuri il mobile E sopra la linea AC. Ma qui però si deve avvertire che, se bene il mobile E averà passata tutta la linea AC nel tempo medesimo che l’altro grave F si sarà per eguale intervallo abbassato, niente di meno il grave E non si sarà discostato dal centro comune delle cose gravi più di quello che sia la perpendicolare CB; ma però il grave F, discendendo a perpendicolo, si sarà abbassato per spazio eguale a tutta la linea AC. E perché i corpi gravi non fanno resistenza a i moti transversali, se non in quanto in essi vengono a discostarsi dal centro della terra, però, non s’essendo il mobile E in tutto il moto AC alzato più che sia la linea CB, ma l’altro F abbassato a perpendicolo quanto è tutta la lunghezza AC, però potremo meritamente dire, il viaggio della forza F al viaggio della forza E mantenere quella istessa proporzione, che ha la linea AC alla CB, cioè il peso E al peso F. Molto adunque importa il considerare per quali linee si facciano i moti, e massime ne i gravi inanimati: dei quali i momenti hanno il loro total vigore e la intiera resistenza nella linea perpendicolare all’orizonte; e nell’altre, transversalmente elevate o inchinate, servono solamente quel più o meno vigore, impeto, o resistenza, secondo che più o meno le dette inchinazioni s’avvicinano alla perpendicolar elevazione.