Le maggnère che ttùfeno
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1837
LE MAGGNÈRE CHE TTÙFENO.1
No; ssi ffussi venuto, disce:2 “Nino,3
M’impresti un giulio? m’arigali un grosso?,„4
Io je lo davo; perch’io, quanno posso
Fà un zervizzio,5 lo fo, ssor Giuacchino.
Ma cquer vede6 uno che tte zzompa7 addosso,
Disce: “Sscirpa,8 per dio!, cqua sto lustrino,„9
Che serve?,10 io me sce sento un rosichino11
Che starìa quasi pe’ sputacce12 rosso.
Guarda che bbell’usanze bbuggiarone!
Protenne13 li quadrini da la ggente,
Senza chiedeli14 prima co’ le bbone!
Una vorta st’azzione15 da villani
L’usaveno du’ sceti16 solamente:
L’assassini de strada e li sovrani.
11 giugno 1837.
Note
- ↑ Le maniere he spiacciono.
- ↑ Se fosse venuto e avesse detto.
- ↑ Giovanni. [Ma si veda la nota 6 del sonetto: Er disinterresse, 10 genn. 35.]
- ↑ [Giulio o paolo, poco più di cinquanta centesimi; grosso, grossetto o lustrino, mezzo paolo.]
- ↑ Fare un piacere.
- ↑ Ma quel vedere.
- ↑ Ti salta.
- ↑ [Qui il Belli rimana alla nota 8 del sonetto: L’ommini ecc., 19 genn. 32, la quale spiega scirpa così: “Parola che pronunziata dal volgo nell’impadronirsi manescamente d’alcuna cosa, la rende sendo essi irripetibile.„ La ladra usanza e il relativo vocavolo sono vivi anche nell’Umbria.]
- ↑ Mezzo paolo d’argento. [V. la nota 4.]
- ↑ In poche parole, insomma, assolutamente ecc.
- ↑ Stizza.
- ↑ Starei quasi per sputarci.
- ↑ Pretendere.
- ↑ Chiederli.
- ↑ Queste azioni.
- ↑ Due ceti.