Le grandi pesche nei mari australi
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Le grandi pesche nei mari australi
A quattrocentocinquanta chilometri dalle coste meridionali dell'America del Sud, o meglio, dallo stretto di Magellano, si trova il gruppo delle Falkland, scoperto fino dal 1700 da alcuni naviganti francesi di Saint-Malò e da parecchi anni occupato dagli inglesi, nonostante le vive rimostranze del governo della Repubblica Argentina.
Questo gruppo è composto di ben novantadue isole, per lo più semplici isolotti di nessuna importanza, sui quali spunta un'erba assai alta, eccellente pascolo pei buoi, ma non il più piccolo albero; due però di quelle isole meritano di venir accennate, anzi godono al giorno d'oggi non poca importanza. La prima si chiama West-Falkland, la seconda Ost-Falkland: sono divise da un canale, chiamato di San Carlo. Hanno dei porti eccellenti, quali quelli d'Egmont ed Etienne, di Voulonter e di Melville; delle colline, dei grassi pascoli e poche piante trasportate dal Canada e coltivate con grande cura, della specie detta azedaracks o tithymalus, poiché, cosa davvero strana, su quelle terre gli alberi non vogliono saperne di crescere, e difficilmente si acclimatizzano.
Queste due isole soprannominate sono diventate celebri, perché sono le stazioni principali degli arditi pescatori dei mari australi, di quei pescatori che vanno ad affrontare la mostruosa balena, la cui lunghezza tocca sovente i ventidue metri, il gran capodolio, nella cui bocca possono stare comodamente dodici e anche quindici uomini, gli elefanti marini, le morse e le foche, dalle pelli di non poco valore e dai grassi preziosi.
Colà infatti, al principiare della buona stagione, in novembre, o in dicembre, poiché in quelle regioni l'estate comincia appunto in questi mesi, si radunano in gran numero le navi baleniere per completare le loro provviste; di colà salpano le ardite flottiglie, che poi s'inoltrano attraverso i ghiacci del polo australe a cercare i giganti del mare; colà si trovano quegli audaci fiocinieri o mastri del rampone, che con un solo colpo della loro arma sono capaci di ammazzarvi una balena delle più mostruose.
Basta giungere colà all'apertura delle grandi pesche per trovarvi marinai di tutte le nazioni: inglesi, americani, danesi, olandesi e anche non pochi figli della Liguria accorrono, ed è facile udir narrare avventure straordinarie. Un pacco di tabacco, una bottiglia di whisky o di brandy, o autentico rhum della Giamaica, e le avventure piovono come grandine dalle labbra di quei lupi di mare, incalliti fra le tempeste e il sole marino e corazzati contro ogni paura. Ed è appunto là che raccolsi le avventure che sto per narrare.
Nel 1880 salpava dalla baia Melville, dove aveva ultimato i preparativi, il New-Castle, un bel brigantino della portata di quattrocentosessanta tonnellate, montato da ventidue uomini e comandato dal capitano James Swatters.
Era un legno baleniere, che si proponeva di andare a cacciare le balene e i capidolii nel golfo di Ughes, profonda insenatura che si apre nella terra di Palmer, dietro l'isola Smith. Aveva fatto provviste abbondanti, poiché ordinariamente i balenieri fanno delle lunghe campagne e corrono sovente il pericolo di dover passare qualche anno chiusi fra i ghiacci polari, i quali nelle regioni australi, spinti dalle correnti, scendono talvolta fino all'incredibile latitudine di 46° ed anche di 50°.
Il capitano Swatters, un vero lupo di mare, che aveva fatto numerose campagne e che godeva fama di uomo esperto ed audace, risolse dapprima di visitare le isole del Re Giorgio, che formano con Livingston, Deception, Greenwik ed altre minori un gruppo considerevole, il quale si estende fra il 62° ed il 63° di latitudine ed il 57° ed il 61° di longitudine.
Presso quelle isole si trovano sempre dei grandi banchi di boete, formati da piccoli crostacei in forma di gamberi, del diametro di forse due millimetri, di cui sono assai ghiotti i cetacei. Si estendono per parecchie leghe, talvolta fino a venti, e si chiamano la zuppa delle balene.
Fin da principio il capitano del New-Castle aveva notato che sull'acqua del mare si scorgevano delle grandi macchie oleose, il che indicava il recente passaggio di quei giganteschi cetacei, e siccome quelle tracce si dirigevano verso il sud, egli aveva lanciato la sua nave in quella direzione, certo di fare in breve qualche grossa preda.
Otto giorni dopo, i balenieri giungevano presso l'Isola degli Stati, che si trova a circa trecentoventi chilometri dalle Falkland, quando un gabbiere, che stava sulle crocette dell'albero di trinchetto, segnalò un grande banco di boete, che si prolungava indefinitamente verso il sud-ovest. Il mare, da azzurro indaco, era diventato di una tinta bruna, il che indicava la presenza della zuppa delle balene. Il capitano James Swatters fece preparare le barcacce e le fiocine, come pure le lance e le lunghe lenze, poi diresse la nave verso il sud-ovest.
Era calata la sera, una sera oscurissima, essendovi della nebbia in alto; quando verso le undici il brigantino urtava violentemente contro una massa enorme, che pareva galleggiasse a fior di acqua e che, invece di opporre resistenza, si spostò, emettendo una nota acuta, metallica, come un soffio potente introdotto a gran forza entro un largo tubo di bronzo. Il capitano, che era di guardia sul ponte, si slanciò a prua, seguito da mastro Hunter, un valente fiociniere, mentre il timoniere faceva poggiare la nave sul tribordo, e i marinai correvano alle braccia di manovra, pronti per girare.
— Vedi nulla? — chiese il capitano.
— Nulla affatto — rispose il fiociniere.
— Eppure abbiamo urtato.
— Lo so, capitano, e mi rompo la testa per indovinare contro che cosa abbiamo dato di cozzo.
— Se fosse uno scoglio ci avrebbe di certo fracassata la prua.
— Che ci sia qualche banco di ghiaccio?
— Ma quella strana nota metallica?
— Lampi e tuoni! — esclamò il mastro. — Questa è grossa!
— Cosa vuoi dire?
— Voglio dire che abbiamo urtato contro una balena o un capodolio che dormiva tranquillamente a fior d'acqua.
— È incredibile!
— Eppure, capitano, la cosa è come ve la narro, e il caso non è nuovo. So che un bastimento a vapore tagliò nettamente un capodolio che dormiva a fior d'acqua. Ah! Udite, capitano?...
A un due o trecento passi dalla prua del legno si era udito un sordo tonfo, e poco dopo una larga ondata veniva ad infrangersi contro i fianchi del New-Castle. Per quanto la cosa sembrasse incredibile, non vi era ormai più a dubitare: una balena o un capodolio si era lasciato urtare dal brigantino ed ora cercava di allontanarsi, o per lo meno di prendere il largo.
Ascoltando con profonda attenzione, si udiva la potente respirazione del mostro e di quando in quando si udivano dei sordi fischi, senza dubbio prodotti dall'acqua che usciva dagli sfiatatoi.
— Orsù, ragazzi — disse il capitano — calate in mare tutti i legni e preparatevi alla lotta.
Due scialuppe da pesca, svelti, ma solidi e forti legni che si guidano con un lungo remo, che serve meglio dell'usuale timone, e montate ognuna da un fiociniere, da quattro rematori e da un ufficiale, che è incaricato del governo, furono subito calate in mare. Dentro si prepararono le fiocine, o meglio, i ramponi, specie di lance terminanti in un ferro largo, in forma di un V rovesciato, e i cui margini esterni sono taglientissimi, ma gli interni grossi e dritti, onde impedire che la lancia, penetrata che sia nelle carni della balena, ne possa uscire. Vi si aggiunsero altri ramponi di diversa forma, terminanti in una specie di palla tagliente, da scagliarsi sotto la coda della balena, onde reciderle i tendini e le ultime vertebre; quindi delle lenze, sorta di solide funicelle lunghe ordinariamente quattrocentocinquanta braccia e terminanti in una doga, specie di tavoletta di sughero, su cui vi sono impresse a fuoco le cifre della nave baleniera, accadendo sovente che il cetaceo, ferito, fugga a grande distanza e vada a morire due o trecento leghe lontano dal luogo ove fu assalito.
Terminati i preparativi, i balenieri attesero impazientemente l'alba, studiandosi intanto di seguire la balena, che cercava di dirigersi verso il sud. Ai primi albori, che tinsero il mare d'una superba tinta madreperlacea, si udì il gabbiere dell'albero di trinchetto a gridare: — Balena a un miglio sottovento!
Le balene, siano dei mari australi o dei mari settentrionali, hanno tutte dimensioni enormi. Generalmente toccano i venti metri di lunghezza e pesano dalle 90 alle 100 tonnellate.
Hanno la forma di un immenso cilindro, non però regolare, poiché verso il centro si alza assai, una testaccia enorme, con una bocca lunga tre metri e alta quattro, munita superiormente d'una specie di denti chiamati fanoni, lunghi cinque metri, un po' curvi, variegati o neri, e che sono in numero di settecento. Sono quelli che chiamansi usualmente stecche di balena.
La lingua di questi giganti del mare tocca sovente gli otto metri di lunghezza; gli occhi invece sono tanto piccoli e tanto affondati nella grascia, che di rado si vedono. Le pinne sono grandi, lunghe tre metri e larghe due, e la coda che è di forma conica, terminante in due smisurate pinne, è così robusta da sollevare con un solo colpo una vera montagna d'acqua, o da fracassare i fianchi di una nave.
La balena segnalata era una delle più grandi, poiché misurava circa ventidue metri, e doveva dare non meno di cinquanta tonnellate d'olio, quindi un guadagno di circa 20 o 25.000 lire. Navigava lentamente a circa un miglio dalla nave, e non pareva disposta a lasciare quei paraggi, che abbondavano di boete, il suo cibo prediletto.
Al comando dei due ufficiali poppieri, le due piccole baleniere lasciarono il brigantino e si diressero in silenzio verso il mostro marino, che pareva completamente assorto nel suo pasto.
Il corpo della balena era perfettamente visibile e luccicava come una lama d'acciaio sotto i primi raggi di sole, essendo sempre così unto da riflettere la luce. Di quando in quando dagli sfiatatoi situati sul vertice del capo, uscivano con sordo rumore due colonne di vapore biancastro, le quali s'alzavano per parecchi metri, disperdendosi poi in goccioline oleose, che ricadevano sul mare.
Le due scialuppe, sempre nel più profondo silenzio, si avvicinavano, mentre il brigantino si portava verso il sud, non essendo raro il caso che la balena, resa furibonda dalle ferite, si getti anche contro le navi, mandandole a fondo.
Mastro Hunter e il suo collega Fox, altro valente fiociniere, avevano già impugnati i ramponi e si tenevano a prua, con un ginocchio fortemente incastrato in una specie di scanalatura per non perdere l'equilibrio nel momento supremo.
Erano già giunte le scialuppe a duecento metri, quando la balena, forse accortasi della presenza di quei minuscoli, sì, ma pur sempre formidabili nemici, lanciò una nota acuta, metallica, battendo la coda con inquietudine. Malgrado le ondate, le due baleniere non si fermarono, anzi raddoppiarono la corsa, lasciando ormai da parte ogni prudenza.
— Attenzione! — gridò mastro Hunter. — La balena sta in guardia!
Il cetaceo stava per muoversi. Battè le sue immense pinne pettorali, descrisse un mezzo giro, presentando ai nemici la testa, poi affondò bruscamente, formando una specie di gorgo, che attrasse per parecchi metri le due navi.
— Allarghiamo — disse mastro Hunter. — La balena può giungerci per di sotto e mandarci tutti ad assaggiare un po' d'acqua salata.
Le due scialuppe si allargarono, poi si arrestarono, attendendo con viva ansietà la ricomparsa del gigante. Quantunque fossero tutti agguerriti contro simili pericoli e avessero fatto tutti le loro prove, pure erano pallidi, e soprattutto i due fiocinieri. Si sarebbe detto che erano stati tutti presi da quella strana paura che colpisce sovente i balenieri alla presenza di quei grandi mostri, paura che paralizza le loro forze e che può diventare a loro fatale.
D'improvviso, a circa sessanta braccia dalla scialuppa di Hunter, apparve sulla superficie del mare un largo remolìo.
— Pronti ai remi! — dissero gli ufficiali. — La balena sta per riapparire.
Infatti poco dopo appariva un punto nerastro, che era l'estremità del muso del cetaceo, poi apparvero gli sfiatatoi, indi la massa intera, che emerse quasi tutta d'un colpo, sollevando un'ondata circolare, una vera muraglia liquida, la quale andò a rompersi con cupo fragore contro le due barche, che ne furono violentemente sballottate. Il cetaceo lanciò fuori due colonne di vapore dapprima denso, poi più chiaro, indi immerse nuovamente il capo e scivolò a fior d'acqua per trenta o quaranta secondi.
— La balena scandaglia1 — disse mastro Hunter, alzando il rampone e tenendosi pronto mentre le scialuppe si avvicinavano, pronte a precipitarsi all'assalto.
Per otto o dieci minuti la balena continuò quella strana manovra, poi riapparve alla superficie, gettando due nuove colonne di vapore, ma più fitte di prima.
Era il momento atteso dai balenieri per cominciare la terribile lotta. I due legni si avvicinarono rapidamente al gigante, e mastro Hunter, pallido, ma risoluto, alzato il rampone e fattolo ondeggiare qualche po' innanzi e indietro, lo lanciò alla distanza di appena trenta passi.
L'arma micidiale si infisse profondamente nella grascia della balena, ma questa subito non s'accorse di essere stata ferita. Quattro secondi dopo, poiché tanto occorre prima che senta il dolore, mandava una formidabile nota e si inabissava con fragore, agitando pazzamente la coda.
— Indietro! — gridarono gli ufficiali.
Le due scialuppe virarono di bordo e si affrettarono a prendere il largo. Era tempo: la balena stava per riapparire, ma non più mansueto cetaceo, sibbene furibonda e pronta alla lotta.
Risalì a galla con tale slancio da uscire più che mezza fuori delle onde e si mise a correre all'impazzata, emettendo note sempre più potenti e sconvolgendo l'oceano con furiosi colpi di coda. Faceva paura vedere quel gigante irritato e ci era infatti da fremere, poiché sarebbe bastato un solo urto per sfracellare le due leggere scialuppe.
Dal suo fianco destro, ove si vedeva ancora infisso il rampone, usciva un largo zampillo di sangue, il quale arrossava la spuma delle onde. Mastro Hunter, che lasciava scorrere la lenza attaccata al rampone, non perdeva di vista il mostro, e si era munito della lancia colla palla tagliente per vibrargli il colpo mortale, mentre il suo collega Fox cercava di lanciare il secondo rampone.
La balena però non accennava a lasciarsi avvicinare, né a mostrarsi infiacchita per la perdita del sangue, anzi pareva attingesse nuova energia. Si inabissava con un fragore paragonabile al tuono, tornava a galla, lanciando dagli sfiatatoi dense colonne di vapore, si rovesciava sul fianco ferito, cercando di strapparsi l'arma, si precipitava in tutte le direzioni, tentando di sfracellare le scialuppe, che avevano un gran da fare per evitarla, e mandava note sempre più potenti, più metalliche.
Ad un tratto parve che fosse spossata da quei lunghi sforzi, e si arrestò, soffiando rumorosamente. Mastro Fox si affrettò ad avvicinarsi e, approfittando del momento in cui alzava la coda, le lanciava sotto le ultime vertebre la larga lancia foggiata a disco tagliente, recidendole i tendini caudali. A quella nuova ferita la disgraziata balena, presa dal terrore, si diede alla fuga verso il nord-est, in direzione del brigantino, ma non era una fuga propriamente detta, poiché scivolava a zig-zag, arrossando il mare col proprio sangue. Pareva che non ci vedesse più, poiché in caso diverso non sarebbe corsa addosso al brigantino, che stava per mettere altre due scialuppe in mare per finirla una buona volta con quella preda gigante.
Mastro Fox e il suo collega cercavano di seguirla, temendo che nella sua pazza corsa non urtasse contro il legno, che aveva imbrogliate le vele; ma rimasero ben presto assai indietro, non ostante gli sforzi erculei dei remiganti.
Infatti il voler lottare colla balena, che si calcola percorra 600 metri al minuto, e che impiega ventiquattro giorni per andare da un polo all'altro, sarebbe stata una pazzia. E tuttavia il pericolo incalzava, poiché pareva che il gigante, cosa insolita, avesse preso di mira la nave.
Con due colpi di coda vi giunse addosso con grande impeto. Si udì uno schianto terribile, seguito da urla di spavento.
La nave, colpita a prua da quell'enorme massa lanciata a tutta velocità, indietreggiò con tale impeto che le onde montarono da poppa e in un istante la sommersero. In trenta secondi sparve tutta intera e sulla superficie corrucciata del mare australe non rimasero che pochi oggetti galleggianti e i marinai che si erano precipitati in acqua per non venire inghiottiti dal gorgo aperto dal brigantino nell'inabissarsi!...
La catastrofe era stata così rapida e così inaspettata, che passarono parecchi minuti prima che le due baleniere giungessero al luogo del naufragio. Ebbero però la consolazione di raccogliere tutti i loro compagni che se l'erano cavata con un solo bagno un po' freddo ed una buona dose di paura.
In quanto alla balena, dopo essere rimasta come intontita da quel cozzo furioso, aveva proseguito la sua pazza corsa ed era andata a morire presso le coste meridionali dell'Isola degli Stati, dove venne trovata il giorno dopo in mezzo a un largo cerchio di sangue.
I naufraghi, accomodatisi come meglio poterono nelle due baleniere, guadagnarono l'isola sopra accennata, che non era molto lontana, ed ebbero la fortuna di venire raccolti verso il tramonto del giorno stesso da un bastimento baleniere che li trasportò alle Falkland.
Non occorre dire che la balena fu spogliata del suo grasso, dei suoi fanoni e di parte delle sue ossa, dalle quali si ritrae un eccellente nerofumo, materie che, cedute ad altri balenieri, resero ai naufraghi la somma di oltre 40.000 lire.
In quanto al capitano del New-Castle, dopo quella brutta avventura, rinunciò alla pesca dei cetacei, ed essendo discretamente ricco si stabilì alle Falkland, dove ora conduce una vita comoda e tranquilla.
Se la pesca, o caccia che dir si voglia, delle balene presenta dei grandi pericoli, ben maggiore ne offre quella dei capidolii, cetacei che in fatto di mole di poco la cedono alle prime; ma più fieri, più coraggiosi e brutali in tutto il significato della parola.
Si chiamano anche fiseteri; ma è più esatto il nome di capidolii, avendo essi nel capo un vero serbatoio d'olio: potrebbero anche chiamarsi i cetacei-bocca, poiché nei fiseteri macrocefali, che abitano quasi tutti i mari, la bocca raggiunge in lunghezza un terzo del corpo e nei micropi, che abitano solamente i mari freddi, raggiunge la metà! Figuratevi quali immense voragini, quando poi si pensa che sono armate da cinquantaquattro denti di forma conica e del peso d'un paio di chilogrammi ciascuno!
Questi mostri non oltrepassano ordinariamente la lunghezza di sedici metri, hanno un diametro di tre o quattro metri e la loro circonferenza eguaglia il terzo della loro lunghezza. Quantunque di dimensioni così enormi, sono rapidissimi e vivacissimi, si gettano contro tutti gli abitanti dei mari, fanno strage di foche, di trichechi, di delfini e perfino di pescicani, e assaltano con furore la balena, che spesso soccombe sotto i loro morsi. Tanta è la paura che siffatti cetacei ispirano ai pesci, che si sono veduti degli squali balzare contro le spiagge con tale impeto da uccidersi contro le rupi; dicesi inoltre che, neanche quando sono morti, nessun pesce ardisce avvicinarsi a loro per cibarsi delle carni.
Malgrado siano così pericolosi, i balenieri li cercano avidamente su tutti i mari e li cacciano intrepidamente, poiché rendono più delle balene. Infatti da questi altri giganti ricavansi dalle ottanta alle cento tonnellate d'olio, che viene adoperato per l'illuminazione e nella fabbricazione dei saponi; dalla enorme testa estraesi il così detto bianco di balena o meglio spermaceto, che è una specie d'olio denso, bianco, brillante, madreperlaceo e che viene adoperato in varie preparazioni di profumeria e nella fabbricazione delle candele di lusso.
Un solo capodolio può darne perfino 3000 chilogrammi. Lo si trova racchiuso in un canale allungato che le ossa del cranio formano riunendosi con quelle del muso.
Inoltre dai suoi muscoli si estrae una colla eccellente e spesso nei suoi intestini si trovano dei pezzi grossi di quella preziosa materia che è chiamata ambra grigia, che altro non è se non una porzione di escrementi induriti per effetto di una particolare malattia del cetaceo, e che è dotata di uno speciale ma delicatissimo profumo, così ricercato dalle nostre eleganti signore.
Si comprenderà facilmente se i balenieri li cerchino attivamente e li affrontino malgrado i grandi pericoli che offre una tale lotta. Per darvi un esempio di questi pericoli, vi racconterò ora un'avventura toccata all'equipaggio di una baleniera americana che si trovava ancora alle Falkland quando io vi sbarcai, avventura che a suo tempo commosse vivamente gli animi di tutti i lupi di mare e degli abitanti delle isole.
Il capitano Sanders, un americano di Filadelfia, comandante del brick Long-Island, una piccola nave che appena toccava le duecento tonnellate di portata, aveva sciolto le vele per le regioni del sud, diretto alle isole Biscoë, gruppo che si trova verso le coste occidentali della terra di Graham, sul 66° parallelo.
Essendo la stagione ancora fredda, poiché era partito verso la metà di settembre del 1877 — cioè al principiare della primavera per quelle latitudini — aveva con sé uno scarso equipaggio, non essendo ancora cominciata l'epoca delle grandi spedizioni. Non contava che dodici uomini in tutto, due fiocinieri, due mastri e otto marinai.
La navigazione dapprima era stata abbastanza cattiva, poiché grandi massi di ghiaccio erravano in gran numero sull'oceano, staccatisi dagli immensi campi del sud, che si chiamano comunemente ice-fields. Più volte il brick aveva corso il pericolo di venire schiacciato, specialmente durante i grandi nebbioni; ma, protetto dalla sua buona stella, era riuscito a raggiungere gli arcipelaghi che si estendono lungo la terra di Palmer, costa scoperta dal capitano omonimo nel 1822 e che fu più tardi visitata dal capitano Poster nel 1829 e da Biscoë nel 1892.
Dopo d'aver costeggiato quelle isole e di aver preso terra a quella del Re Giorgio, scoperta da Roche fino dal 1675, per cacciare le foche, che si mostravano colà numerose e che, oltre dare delle buone pelli, rendono dell'eccellente olio, metteva la prua al sud, verso la terra di Graham.
Venticinque giorni dopo, nei pressi delle isole Biscoë, il Long-Island veniva assalito da una impetuosa bufera. Il vento del sud, scatenatosi furiosamente, dopo d'aver lacerato le vele, sbatteva il legno contro una di quelle isole, spingendolo fin sopra un grande banco.
Fortunatamente i mari australi sono fittamente popolati da un'alga smisurata, detta macrocystis pyrifera dagli scienziati e kelp dai marinai; la quale, dopo aver fissato le sue numerose radici nel fondo del mare, s'innalza verso la superficie, sostenuta da piccolissime vesciche, raggiungendo delle lunghezze incredibili, settecento, ottocento e perfino mille piedi, secondo Agas-Sig, che le studiò accuratamente nel suo viaggio che fece in quelle regioni a bordo dell'Haslar.
Queste alghe, che coprivano il banco di uno strato fitto fitto, resero meno pericoloso l'urto, sicché il brick del capitano Sanders se la cavò con pochi guasti; ma rimase in secco. Bisognava attendere l'alta marea perché lo rimettesse a galla, e questa non doveva avvenire che fra otto giorni, cioè al cominciare della luna piena.
L'indomani l'equipaggio, mentre riposava nelle cabine, veniva bruscamente svegliato da una serie di urla spaventose e potenti, che pareva venissero dalla parte del mare.
Il capitano Sanders indovinò subito di che si trattava, e si affrettò a portarsi sul ponte, dove lo avevano già preceduto i mastri e i fiocinieri.
A circa un miglio dal legno un enorme capodolio micropo si avvoltolava fra le onde smosse dalla sua potente coda bilobata, lanciando dagli sfiatatoi piccole nuvole di vapore grigiastro.
Il mostro pareva in preda ad una viva eccitazione: si slanciava più che mezzo fuori dalle onde, agitava furiosamente la sua lunga natatoia dorsale e apriva la sua smisurata bocca, che poi rinchiudeva con un fracasso simile a quello che produce un'immensa cassa nel chiudersi.
— Che sia ferito? — chiese uno dei mastri al capitano Sanders, che lo osservava con profonda attenzione.
— No: è innamorato — rispose un fiociniere. — Siamo in primavera, e questa è la stagione degli amori per quei brutti giganti.
— Hai ragione, Mac-Byorn — rispose il capitano. — Quel capodolio è innamorato e smania perché gli manca la compagna.
— Lo calmeremo con un paio di ramponi — disse il fiociniere.
— Bada che ti darà da fare.
— Non temete, capitano. Fra un'ora il mostro sarà morto.
— Alle baleniere adunque!
I marinai, per nulla atterriti dalla collera del fisetere, trascinarono le due scialuppe fino all'estremità del banco e le misero in acqua. Preparati i ramponi e le lenze, presero il largo, cercando di avvicinarsi, senza essere veduti, al capodolio, che del resto ci vede assai male.
Essendo l'equipaggio appena sufficiente pel servizio delle due scialuppe che devono essere montate da sei uomini ciascuna, cioè da un mastro che le guida, da quattro rematori e da un fiociniere, a bordo della nave arenata sul banco non rimase che il capitano Sanders.
Sia che presentisse la catastrofe che doveva accadere, o qualche altro motivo, il capitano nel vedere partire i suoi marinai sembrava estremamente commosso e ripetè più volte la frase:
— Che Iddio vi protegga!
Le due svelte baleniere presero rapidamente il largo, sicure di abbordare il capodolio, il quale continuava i suoi salti e i suoi capitomboli nelle acque dell'isola.
Pareva però che avesse scorto la nave arenata sul banco, poiché di quando in quando volgeva il capo in quella direzione, soffiava con maggior forza dagli sfiatatoi le nuvolette vaporose, e agitava con maggior furia la possente coda, sollevando montagne d'acqua. Quando le due baleniere furono a poche centinaia di passi, parve più sorpreso che incollerito e, invece di prendere il largo, mosse verso di esse, mostrando l'enorme gola aperta, che era tanto vasta da passarvi una imbarcazione con tutti gli uomini che la montavano. Il fiociniere Mac-Byorn, che si trovava sulla prima baleniera, si mise a gridare ai suoi compagni:
— State in guardia, poiché il mostro sta per caricarci!
Non aveva ancora finito la frase che il fisetere si precipitò con slancio irresistibile contro le due imbarcazioni, mandando contemporaneamente un urlo così acuto da poter essere inteso a due o tre miglia di distanza.
I mastri delle baleniere, che si tenevano in guardia, furono pronti a virare di bordo e si gettarono al largo, nonostante le montagne d'acqua e di spuma.
Il fisetere passò fra di loro colla rapidità di un lampo, ma il fiociniere Mac-Byorn non si smarrì e gli tirò contro il terribile rampone, che s'infisse profondamente in un luogo ricco di tendini e di carne.
Il gigante, sentendosi ferito, s'inabissò bruscamente; ma subito riapparve, empiendo l'aria di urla così spaventevoli da far rizzare i capelli allo stesso capitano Sanders, il quale, ritto sull'estremità del banco, seguiva col cuore stretto le diverse fasi della caccia.
Le due baleniere presero subito il largo, a fine di evitare gli assalti del capodolio; ma la loro posizione era egualmente pericolosa, poiché l'enorme cetaceo si precipitava in tutte le direzioni con furore estremo, cercando di stritolare i nemici.
Tutto d'un tratto si trovò dinanzi alla baleniera montata dal collega di Mac-Byorn, la quale non aveva avuto tempo di evitare l'incontro in causa delle ondate impetuose che la scuotevano come fosse una semplice piuma.
Il mostro l'assalì con furore e voltandosi bruscamente le vibrò tal colpo di coda da lanciarla sfracellata a più metri d'altezza. Si videro gli uomini che la montavano roteare un istante nello spazio, poi precipitare negli abissi del mare senza mandare un grido.
La coda del gigante li aveva uccisi sul colpo!...
Ma la lotta non era ancora finita. Il capodolio, che portava sempre infisso nel fianco il rampone, si gettò addosso alla seconda baleniera, il cui equipaggio, atterrito dalla sventurata fine dei compagni, stava per perdere la calma.
Il mastro nondimeno evitò quel primo attacco, e mentre Mac-Byorn con un coraggio disperato lanciava un secondo rampone, ferendo nuovamente il nemico, virava rapidamente di bordo, cercando di guadagnare l'isola, sulle cui rive il povero capitano, impotente a portar loro un soccorso, strappavasi i capelli per la disperazione.
Per alcuni minuti il cetaceo parve che non pensasse che al proprio dolore, che doveva diventare più acuto di mano in mano che i due ramponi, per le continue scosse, laceravano le sue carni; poi, vedendo ancora la baleniera che penava faticosamente ad oltrepassare le ondate che l'assalivano da tutte le parti, tornò alla carica. Mac-Byorn aveva afferrato un terzo rampone; ma era pallido e pareva che avesse perduto ogni fiducia.
— Ragazzi, — diss'egli, volgendosi verso i rematori, che facevano sforzi sovrumani per allontanarsi — se Dio non ci protegge, è finita anche per noi.
Il capodolio non era che a poche braccia e procedeva coll'immensa bocca aperta, mostrando i suoi cinquantaquattro enormi denti. Con un ultimo colpo di coda fu addosso alla baleniera e, afferratala fra le potenti mascelle, con un'irresistibile stretta la sminuzzò.
Uomini e rottami sparvero in quell'ampia caverna, che si chiuse con un acuto scricchiolìo. Un uomo però, nel supremo istante di venire inghiottito e prima che le immense mascelle si chiudessero, con una spinta disperata era caduto fuori: quest'uomo era Mac-Byorn.
Dopo quell'orribile colpo di dente il fisetere si inabissò e non ricomparve a galla che ad una grande distanza. Si seppe solamente più tardi che era andato a morire presso il capo Corkburn, all'entrata del vasto golfo di Ughes, dove era stato incontrato da un baleniere danese. Fra le mascelle convulsivamente strette quei balenieri avevano trovato dei resti umani, ma già così stritolati da essere irriconoscibili.
Mac-Byorn, scampato per miracolo alla strage, quantunque inebetito dal terrore e addolorato per la perdita di tutti i suoi sventurati compagni, raggiunse a nuoto l'isola, dove trovò il capitano che piangeva come un ragazzo.
Rimasero colà fino alla massima marea, che rimise a galla la loro nave, poi, quantunque in due soli, si misero alla vela, cercando di riguadagnare le terre abitate. Dopo una faticosa navigazione di tre settimane giungevano finalmente alle Falkland, stremati di forze per le lunghe veglie e le gravi manovre.
Quell'ardita navigazione su di un legno così grande per essere guidato da sole quattro braccia e la miseranda fine dei poveri marinai fecero molto rumore nelle isole, e quando io vi giunsi se ne parlava qualche volta ancora, quantunque fossero trascorsi allora due anni.
Prima di lasciare definitivamente le Falkland, che non dovevo poi più rivedere, volli assistere allo smembramento di una piccola balena, ch'era stata uccisa a sette miglia dall'isola di Kermolinas e che era stata rimorchiata a porto Egmont.
Il povero cetaceo aveva ricevuto due colpi di rampone presso la testa e una lancia sotto la coda, e perdeva ancora sangue in grande quantità. Invece di sommergersi, come spesso accade alle balene uccise, ma che poi rimontano a galla entro le ventiquattr'ore, era andata ad arenarsi su di un banco, ma era stata poi rimessa in mare da un flusso.
Dapprima fu saldamente ormeggiata presso la nave baleniera, ma in modo che potesse girare su se stessa; poi i marinai cominciarono lo smembramento, operazione non facile e che richiede una certa abilità. Servendosi di certe palette taglienti, staccarono dapprima parte del labbro inferiore e levarono la lingua, che pesava parecchie migliaia di chilogrammi, quindi staccarono il labbro superiore e levarono i forum, o stecche di balena, lunghi cinque metri, neri o variegati, in numero di settecento, e che mi dissero valere per lo meno quattromila lire.
Ciò fatto, cominciarono la dipanazione. Staccarono una larga striscia di grascia in prossimità del capo e la sollevarono sul ponte. Continuarono l'operazione, facendo di mano in mano girare il cetaceo, finché questo fu ridotto a un carcame, massa enorme rosseggiante per la carne ancora sanguinolenta. Subito si accese il fornello, che è situato a poppa delle navi baleniere, e si riempirono di grasso le due grandi caldaie, della capacità di quattrocento a cinquecento litri ciascuna. Gli avanzi di grasso bastano ad alimentare il fornello, il quale però tramanda un fumo oleoso, fetente. È una scena veramente selvaggia quella che presenta allora il ponte della baleniera.
A poppa nembi di fumo che oscurano il cielo e fanno sparire gli alberi e le vele, sul ponte masse enormi di grasso, olio che scorre dappertutto, uomini unti e arrossati dal sangue del cetaceo, che si agitano fra quelle ondate di fumo con una rapidità meravigliosa e senza scambiare una parola, e al di là l'immenso carcame del cetaceo, attorno a cui svolazzano miriadi di uccelli marini, che si disputano i pezzi di carne a colpi di becco e d'artiglio.
L'olio che si ricava da quella grascia è d'un color giallo cupo, tramanda un odore di pesce rancido ed è di una consistenza sciropposa. Ha una densità di 0,927 e non gela che a zero gradi.
Si compone di diversi grassi, fra i quali la cettina, la focenina, l'oleina e la margarina, e si adopera per l'illuminazione, nella fabbricazione dei saponi e nella lavorazione del cuoio.
Per purgarlo si adoperano dei sacchi di tela foderati di flanella e ripieni, nel frammezzo, di uno strato di carbonigia dello spessore d'un centimetro e mezzo, trapunti in modo che la carbonigia non ricada tutta in fondo. L'olio filtrato viene raccolto in un vaso contenente dell'acqua, in cui si scioglie una certa quantità di solfato di rame, e dopo d'averlo lasciato riposare 3 o 4 ore si estrae. Se si vuole però tenerlo purissimo, occorre ripetere 2 o anche 3 volte l'operazione. I balenieri però si accontentano di scioglierlo e di rinchiuderlo nei barili, che poi vendono ai grandi negozianti d'olio, che alle Falkland sono numerosi e che poi si incaricano di mandarlo in tutte le parti del mondo.
Note
- ↑ È un termine adoperato dai balenieri, e che significa che la balena cerca se vi sono nemici prima di apparire tutta intera.