Le femmine puntigliose/L'autore a chi legge

L’autore a chi legge

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Lettera di dedica Personaggi
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L'AUTORE

A CHI LEGGE.


S
E nella lettera precedente ho ragionato dell’umana felicità, ora teco, Lettor carissimo, ragionare dovrei dell’umana miseria. Leggi la Commedia che seguita e la rileverai da te stesso, senza che io te ne faccia parola.

Le femmine puntigliose non solo fabbricano per se stesse dei mali che non vi dovrebbono essere al Mondo, ma vogliono dei pregiudizi loro fare anche agli Uomini sentir il peso. Eredi in ciò funestissime della prima Madre, tutti gli amari pomi voglion dividerli con noi meschini; e prevalendosi del sopravvento, che loro la debolezza nostra concede, ci rendono ministri della loro ambizione. Ogni picciolo moto scompone ed agita la loro macchina delicata; arrendevoli ad ogni urto della passione, conoscono che per se stesse non hanno bastante forza per vendicarsi, ricorrono all’Uomo, l’interessano ne’ loro vani puntigli e gli avvelenano il cuore.

Le nobili non si degnano delle inferiori; le ignobili aspirano all’egualità colle Dame; le ricche disprezzano le miserabili e hanno le altre in aborrimento. Esaminiamo le fonti di tai puntigli, e si vedrà chiaramente ch’esse provengono dallo smoderato amor proprio, dall’invidia e dall’ambizione. Non basta alla Nobile la nobiltà, vuol esser ricca. Non basta alla Ricca la sua ricchezza, vuol esser [p. 102 modifica]nobile. Non basta ad una Donna esser nobile ed esser ricca, vuol esser sola. Rarissime Donne ho io conosciuto, che si amino fra di loro, e le più amiche e le più amorose non se la perdonano ad ogni minima occasione di criticare. Di quante Commedie ho composto, argomento più spazioso di questo non mi proposi. Io ero, come suol dirsi, confuso nell’abbondanza, e se non avessi limitato i puntigli colle regole del Teatro, avrei fatta una Commedia sola per tutto il resto de’ giorni miei.

Il puntiglio principalissimo su cui raggirasi la mia Commedia è quello di una Femmina ricca, la quale in mezzo a tutti i comodi della vita si crede infelice, se non può comparir fra le Dame. Io non credo, che possa darsi maggior pazzia di cotesta. La Nobiltà è un fregio grande, desiderabile da chicchessia, ma è quel tal fregio che unicamente può dalla nascita conseguirsi. Tutto l’oro del Mondo non è bastante a cambiar il sangue, e sarà sempre stimata più una Femmina doviziosa nel proprio rango, di quello possa ella sperare, innalzandosi a qualche Ordine superiore. I ragionamenti di Pantalone su tale articolo, fatti da lui per instruzione di Don Florindo, potrebbero essere salutari consigli a tutti quelli che hanno tai pregiudizi nel capo, e l’esempio di D. Rosaura può servire di specchio a qualche femmina troppo vana. La Contessa Beatrice fa una trista figura nel ceto della nobiltà. Io non credo che tal carattere si ritrovi. Una Dama, che voglia per cento doppie arrischiar il decoro del suo Paese ed esporre agli scherni una Forestiera, non credo vi sia mai stata. Ho figurato un carattere da commedia per mettere i puntigli in ridicolo, sicuro quasi dentro di me medesimo, che non avrei potuto esserne rimproverato. Ma il Mondo che vuol fare scena di tutto, ha preteso di riscontrare degli originali e mi ha caricato di averli io temerariamente imitati. Protesto non esser vero, ed è una prova della verità che sostengo, l’essersi l’istessa favola in ogni Paese narrata, in cui si rappresentò la Commedia. Non è verisimile che possa lo stesso fatto in più di un luogo verificarsi; non è credibile ch’io abbia voluto espormi al pericolo di una vendetta; è ben probabile che per tutto vi sieno degli spiritosi talenti, che cerchino di mettere in ridicolo le persone e di [p. 103 modifica]screditare gli Autori. Ciò non ostante ho dovuto fare qualche cambiamento nella Commedia; ho trasportato la scena in un paese lontano, in cui non vi sono mai stato, acciò apporre non mi si possa averla io sulla verità lavorata1.


Note

  1. Così segue nell’ed. Paperini di Firenze (t. III, 1753), dove fu stampata la prima volta quest’avvertenza: «Questa ed altre simili mutazioni a me, in un’opera mia, non mi può essere impedito di farle, ma non era poi lecito al Correttore, che all’edizione del Bettinelli presiede, omettere nella Scena III dell'Atto I i più interessanti ragionamenti di Pantalone sull’articolo importantissimo della condotta di Don Florindo, che per aderire alla vanità della moglie, abbandona i propri interessi per una falsa immagine di decoro. E se mai fosse vero che l’Editore ed il Correttore medesimo mutilata avessero ricevuta la mia Commedia, apprendano esser giuste le mie querele, e che gli Autografi (per servirmi del loro termine) si prendono dalle mani dell’Autore, non da quelle di un terzo. Anche la parte dell’Arlecchino vedesi dimezzata e in quella di un Lacchè convertita. Ciò mi sovviene aver io medesimo fatto per compiacere un Arlecchino particolare, che dalla parte di un Moro credevasi pregiudicato, con animo di rimetterlo, come prima, all’occasione di pubblicar colle stampe la mia Commedia; che se inoltre ho fatto senza di cotal Maschera, parmi che non s’abbia a togliere ove s’adoprano il Pantalone e il Brighella. — Un’altra cosa restami a dire sul buon evento di tal Commedia. Ella è stata fortunatissima da per tutto, fuor che in Venezia, quantunque l’annotazione del Bettinelli per otto sere di seguito asserisca colà essere stata rappresentata. — La ragione del minor incontro in una Città di ottimo gusto, e per le Opere mie benignamente inclinata, procede dal costume medesimo del paese. Non corrono in Venezia certi puntigli stucchevoli, certe ridicole affettazioni che usare in qualche altra Città si vedono. La Nobiltà e in cotal grado costituita, che niuno di qualunque altro rango inferiore può aspirare a confondersi colla medesima, ed ella riconoscendosi superiore bastantemente per il suo grado, tratta tutti con affabilità, e non ha pretensione di quegli onori che cotanto riescono incomodi alla società; che però siccome piace la commedia critica, quando in essa vi si riconosce il costume, non può allettare moltissimo il ridicolo di tai puntigli alla mia Patria stranieri».