Le due tigri/Capitolo IX - Le confessioni del manti
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Capitolo IX
Le confessioni del manti
A un gesto di Sandokan, il malese Sambigliong che doveva aver già ricevute precedentemente delle istruzioni, si era diretto verso un grosso tamarindo che si innalzava a trenta o quaranta passi dal rogo fra le rovine della cinta della vecchia pagoda.
Teneva in mano una lunga corda, un po’ piú grossa dei gherlini e che aveva già annodata a laccio.
La gettò destramente attraverso uno dei piú grossi rami e lasciò scorrere il nodo scorsoio fino a terra.
Intanto alcuni marinai avevano legate strettamente le braccia al manti e passate sotto le ascelle due corde sottili e resistentissime.
Il vecchio non aveva opposta alcuna resistenza, tuttavia si capiva, dall’espressione del suo viso, che un indicibile terrore l’aveva improvvisamente preso.
Grosse gocce di sudore gli colavano dalla rugosa fronte e un forte tremito scuoteva il suo magro corpo. Doveva aver già compreso quale atroce supplizio stava per provare.
Quando lo vide ben legato, Tremal-Naik gli si accostò, dicendogli:
— Vuoi dunque parlare, manti?
Il vecchio gli lanciò uno sguardo feroce, poi disse con voce strangolata.
— No... no...
— Ti dico che non resisterai e che finirai per dirmi quanto noi desideriamo sapere.
— Mi lascerò piuttosto morire.
— Allora ti faremo dondolare.
— Qualcuno vendicherà la mia morte.
— I vendicatori sono troppo lontani per occuparsi di te in questo momento.
— Un giorno Suyodhana lo saprà e proverai le delizie del laccio.
— Noi non temiamo i Thugs, e ce ne ridiamo di Kalí, dei suoi settari e anche dei loro lacci.
«Vuoi confessarci dunque dove si trova ora Suyodhana e dove hanno nascosta mia figlia?»
— Va’ a chiederlo al «padre delle sacre acque del Gange», — rispose il manti con voce ironica.
— Va bene: avanti voialtri.
I quattro malesi spinsero il vecchio verso l’albero.
Sambigliong gli passò il laccio attraverso il corpo stringendolo un po’ sotto le costole, in modo che la funicella gli comprimesse il ventre e quindi gl’intestini, poi gridò:
— Ohe! Issa!
I malesi afferrarono l’altra estremità della fune che era passata sopra il ramo e il manti fu sollevato per un paio di metri.
Il disgraziato aveva mandato un urlo d’angoscia. Il nodo sotto il peso del corpo, si era subito stretto in modo da penetrargli quasi nelle carni.
Tutti si erano radunati intorno all’albero, compresi Yanez e Sandokan, i quali assistevano a quel nuovo genere di martirio senza battere ciglio.
Anzi il portoghese, come sempre, aveva acceso la sua ventesima o trentesima sigaretta e fumava placidamente.
— Spingete, — comandò freddamente Tremal-Naik ai quattro malesi che avevano legato il manti.
— Fatelo dondolare senza preoccuparvi delle sue grida.
I pirati si misero due da una parte e due dall’altra e diedero la prima spinta.
Il manti strinse i denti per non lasciarsi sfuggire alcun grido, però si vedeva che doveva soffrire atrocemente sotto quella stretta che a causa del dondolamento aumentava sempre.
Aveva gli occhi schizzanti dalle orbite e il suo respiro era diventato affannoso come se i polmoni, pure compressi, non potessero quasi piú funzionare.
Alla terza spinta che gli fece penetrare la funicella nelle carni, il disgraziato non poté piú frenare un urlo di dolore.
— Basta! — gridò con voce rauca. — Basta... miserabili.
— Parlerai? — chiese Tremal-Naik, accostandoglisi.
— Sí... sí... dirò tutto quello... che vorrai... sapere... ma fammi togliere il laccio... Soffoco...
— Potresti pentirti e mi seccherebbe dover ricominciare il supplizio.
Fece arrestare il dondolamento, poi riprese:
— Dove si trova Suyodhana?
«Se non me lo dici, non faccio allentare il nodo scorsoio.»
Il manti ebbe un’ultima esitazione, che non ebbe che la durata di pochi secondi. Ora non si sentiva in caso di resistere piú a lungo a quello spaventevole supplizio inventato dalla diabolica fantasia dei suoi compatriotti.
— Te lo dirò, — rispose finalmente, facendo una smorfia orribile.
— Dimmelo dunque.
— A Rajmangal.
— Negli antichi sotterranei?
— Sí... sí... basta... m’uccidi...
— Una risposta ancora, — disse l’implacabile bengalese. — Dove hanno nascosto mia figlia?
— Anche quella... la vergine... a Rajmangal.
— Giuramelo sulla tua divinità.
— Lo giuro... su Kalí... Basta... non ne posso... piú.
— Calatelo, — comandò Tremal-Naik.
— Non resisteva piú, — disse Yanez gettando via la sigaretta. — Questi diavoli d’indiani possono dare dei punti all’Inquisizione della vecchia Spagna.
Il manti fu subito calato e liberato dal nodo scorsoio e dalle corde. Attorno al ventre aveva un solco profondo, azzurrognolo che in certi punti sanguinava.
I malesi furono costretti a farlo sedere, perché il disgraziato non si reggeva piú sulle gambe.
Ansava affannosamente e aveva il viso congestionato.
Tremal-Naik attese qualche minuto onde riprendesse fiato, poi riprese:
— Ti avverto che tu rimarrai nelle nostre mani, finché noi avremo le prove di non essere stati da te ingannati.
«Se avrai detto la verità, un giorno tu sarai libero e anche largamente ricompensato delle due delazioni; se avrai mentito non risparmieremo la tua vita e ti faremo soffrire torture spaventevoli.»
Il manti lo guardò senza fare nessun gesto. Vi era però nei suoi occhi un terribile lampo d’odio.
— Dov’è l’entrata del sotterraneo? Ancora presso il banian? — chiese Tremal-Naik.
— Questo non te lo posso dire, non essendomi piú recato a Rajmangal dopo la dispersione dei settari, — rispose il manti. — Credo però che non sia piú quella.
— Dici il vero?
— Non ho forse giurato su Kalí?
— Se tu non sei piú tornato a Rajmangal, come sai che mia figlia si trova colà?
— Me lo hanno detto.
— Perché me l’hanno presa?
— Per fare di quella bambina la «Vergine della pagoda». Tu hai rapito la prima; Suyodhana ti ha preso la figlia che ha nelle sue vene il sangue di Ada Corishant.
— Quanti uomini vi sono a Rajmangal?
— Non sono molti di certo, — rispose il manti.
— Una parola ancora, — disse Sandokan, intervenendo. — I Thugs posseggono delle navi?
Il vecchio lo guardò per qualche istante, come se cercasse d’indovinare il motivo di quella domanda, poi disse:
— Quand’io ero a Rajmangal non avevano che dei gonga. Non so quindi se Suyodhana in questi ultimi tempi abbia acquistata qualche nave.
— Quest’uomo non confesserà mai tutto, — disse Yanez a Sandokan. — D’altronde ne sappiamo abbastanza e possiamo andarcene prima che i sacrificatori tornino con dei rinforzi.
«Ah! E della vedova, che cosa ne faremo?»
— La manderemo a casa mia, — disse Tremal-Naik. — Si troverà meglio che fra i Thugs.
— Allora partiamo, — disse Yanez. — Che siano già giunti gli elefanti a Khari?
— Fino da ieri, ne sono sicuro.
— Saranno belli?
— Splendidi animali, senza dubbio, già abituati a cacciare le tigri. Sono stati pagati cari ma meriteranno quella somma.
— Andiamo dunque a cacciare nelle Sunderbunds, — concluse Yanez. — Vedremo se le tigri del Bengala valgono quelle delle foreste malesi.
Due uomini presero il manti sotto le braccia e la truppa, a un cenno di Sandokan, abbandonò il piazzale, dove finivano di consumarsi, sugli ultimi tizzoni, le ossa del thug.
La foresta dei cocchi fu attraversata senza incontrare nessuno e verso le due del mattino la spedizione prendeva posto nelle due scialuppe, aumentata del manti e della vedova.
Avendo la corrente in favore, il ritorno fu compiuto in brevissimo tempo. Un’ora dopo infatti tutti erano a bordo del praho.
Il manti fu rinchiuso in una delle cabine del quadro e per maggior precauzione gli fu collocata una sentinella dinanzi all’uscio.
— Quando partiamo? — chiese Tremal-Naik a Sandokan, prima di rientrare nelle loro cabine.
— All’alba, — rispose il pirata. — Ho già dato gli ordini opportuni onde tutto sia pronto prima dello spuntare del sole.
«Domani sera potremo trovarci a Khari?»
— Certo, — rispose Tremal-Naik. — Non vi sono che dieci o dodici chilometri dalla riva del fiume a quel villaggio.
— Una semplice passeggiata. Buona notte ed a domani.
Cominciavano a tramontare le ultime stelle quando l’equipaggio del praho era tutto in coperta per prepararsi alla partenza.
Mentre issavano le immense vele, Sambigliong che dirigeva la manovra s’avvide, con una certa inquietudine, che anche le due grab ancoratesi il giorno innanzi, si preparavano a lasciare l’ancoraggio.
Le loro tolde eransi rapidamente coperte d’uomini i quali alzavano precipitosamente le vele latine e spiegavano i fiocchi, come se avessero avuto timore che la brezza dovesse da un momento all’altro mancare o che la corrente del fiume cambiasse direzione.
Il malese che aveva pure i suoi sospetti su quelle due misteriose navi, le quali portavano equipaggi quattro o cinque volte piú numerosi di quelli che sogliono avere quei velieri, rimase profondamente turbato da quelle manovre precipitose.
— Qui gatta ci cova, — mormorò. — Che il padrone abbia ragione di aver diffidato di questi vicini?
«Non ci vedo chiaro in questo affare.» antichi sotterranei!
Stava per dirigersi verso poppa, onde scendere nel quadro e avvertire Sandokan, quando questi comparve.
— Padrone, — gli disse. — Anche le due grab salpano con noi.
— Ah! — si limitò a dire il pirata.
Guardò tranquillamente i due velieri che stavano ritirando le ancore, poi disse:
— E la partenza improvvisa di quelle due navi t’inquieta, è vero mio bravo tigrotto?
— Non mi sembra naturale, padrone. Sono giunte l’altro ieri, non hanno caricata nemmeno una balla di cotone ed ecco che vedendo noi rimetterci alla vela, s’affrettano ad imitarci.
«E poi guardate quanti uomini hanno a bordo! Mi sembra che siano aumentati.»
— Fra tutte e due hanno almeno il doppio dei nostri; se sperano però di darci delle noie, s’ingannano.
«Se vorranno seguirci fino alle Sunderbunds, faremo giuocare le nostre artiglierie e vedremo a chi toccherà la peggio.
«Alla ribolla, Sambigliong e bada a non urtare qualche nave.»
Le immense vele erano già state alzate con due mani di terzaruoli per diminuire di qualche po’ la loro superficie e le ancore di prora e di poppa apparivano allora a fior d’acqua. La Marianna, presa dalla corrente e spinta dalla brezza mattutina, cominciava a muoversi.
Una delle due grab si era messa già in marcia, scivolando fra le numerose navi che ingombravano il fiume e l’altra si preparava a seguirla.
Sandokan, dal cassero, le osservava attentamente, senza dare alcun segno d’inquietudine. Non era uomo da preoccuparsi anche se quelle due navi avevano equipaggi piú numerosi ed erano armate di cannoncini.
Si era misurato con altri avversari ben piú poderosi e formidabili per avere qualche timore.
Una mano che gli si posò sulla spalla, lo fece volgere.
Yanez e Tremal-Naik erano saliti sul ponte, seguiti da Kammamuri.
— Che tu abbia ragione? — gli chiese il portoghese. — O che si tratti d’un puro caso?
— Un caso molto sospetto, — rispose Sandokan. — Sono certo che ci seguono, per vedere se noi andiamo a gettare le ancore in qualche canale delle Sunderbunds.
— Che vogliano assalirci?...
— Nel fiume, non credo; in mare forse. Ciò però mi seccherebbe, quantunque abbia piena fiducia in Sambigliong.
— Dobbiamo sbarcare prima di giungere alla foce del fiume, — disse Tremal-Naik. — Khari dista dal mare molte leghe.
— Se potessi liberarmi di quei due spioni! — mormorò Sandokan. — Passeremo la notte a bordo e non sbarcheremo prima di domani mattina, cosí potremo meglio accertarci delle intenzioni di quei due velieri.
«Sono risoluto a chiedere ai loro equipaggi delle spiegazioni, se questa sera si ancoreranno ancora presso di noi.
«Fingiamo per ora di non occuparci di essi onde non metterli in sospetto e andiamo a prendere il thè. Ah! E la vedova?»
— La lasceremo nel mio bungalow di Khari, — rispose Tremal-Naik. — Farà compagnia a Surama.
— La bajadera può esserci necessaria nelle Sunderbunds, — disse Yanez. — Preferisco condurla con noi.
Sandokan guardò il portoghese in certo modo, che questi arrossí come una fanciulla.
— Oh! Yanez, — disse ridendo. — Il tuo cuore avrebbe perdute le sue corazze?
— Invecchio, — rispose il portoghese, con aria imbarazzata.
— Eppure io credo che gli occhi di Surama ti faranno ritornare giovane.
— Bada, — disse Tremal-Naik. — Le donne indiane sono pericolose piú di quelle bianche. Sai con che cosa sono state create, secondo le nostre leggende?
— Io so che sono generalmente bellissime e che hanno degli occhi che bruciano il cuore, — rispose Yanez.
— Narrano le vecchie istorie che quando Twashtri creò il mondo, rimase molto perplesso nel creare la donna e dovette pensare a lungo, prima di scegliere gli elementi necessari per formarla.
«Ti avverto che parlo della donna indiana e non di quella bianca o gialla o malese.»
— Udiamo, — disse Sandokan.
— Prese le rotondità della luna e la flessuosità del serpente, lo slancio della pianta rampicante e il tremolio della zolla erbosa, il fascino del rosaio, il colore vellutato della rosa e la leggerezza delle foglie; lo sguardo del capriuolo e la gaiezza folle del raggio di sole; il pianto delle nuvole, la timidezza della lepre e la vanità del pavone; la dolcezza del miele e la durezza del diamante; la crudeltà della tigre e la freddezza della neve; il cicaleccio della gazza e il tubare della tordella.
— Per Giove! — esclamò Yanez. — Che cosa ha preso ancora quel dio indiano?
— Mi pare che abbia fuso sufficienti materie ed elementi, — disse Sandokan. — Mio caro Yanez, le donne indiane hanno perfino un po’ della crudeltà delle tigri!...
— Noi siamo le tigri di Mompracem, — rispose il portoghese, ridendo. — Perché dovremmo o almeno dovrei io aver paura d’una fanciulla che ha... un po’ di pelle di tigre indiana?
Scoppiò in un’allegra risata, poi diventando improvvisamente serio, disse:
— Ci seguono sempre, Sandokan.
— Le grab? Le scorgo: ma vedremo se domani galleggeranno ancora.
— Che cosa vuoi fare?
— Lo saprai questa sera, — rispose Sandokan con accento minaccioso. — Lascia che ci seguano per ora.
Il praho era uscito dal caos di navi e di barcacce che ingombravano il fiume, e veleggiava con sufficiente rapidità verso il basso corso.
Le due grab lo seguivano sempre, a una distanza di tre o quattrocento passi l’una dall’altra, tenendosi verso la riva opposta.
Verso il tramonto, dopo esser passata dinanzi alla stazione dei piloti di Diamond-Harbour, la Marianna entrava in un ampio canale formato dalla riva e da un isolotto boscoso lungo qualche miglio.
Era il posto scelto da Tremal-Naik per sbarcare, trovandosi di fronte alla via che doveva condurli a Khari.
L’equipaggio aveva appena gettato le ancore, quando, verso l’estremità settentrionale del canale, si videro improvvisamente apparire le due grab.
Sandokan, che si trovava in coperta, vedendole aveva corrugata la fronte.
— Ah! — diss’egli. — Ci seguono anche qui? Ebbene, vi darò il vostro conto.
«Artiglieri: smascherate i pezzi e gli altri ai posti di combattimento. Offro battaglia!»