Le convulsioni/Scena I
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Francesco Albergati Capacelli - Le convulsioni (XVIII secolo)
Scena I
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Camera con porta in mezzo e porte laterali; due finestre praticabili; tavolino con sopra vari libri; sedie e un sofà.
Domenica, Lorenzo.
- LORENZO
- (ch’esce in fretta dalla porta di mezzo con scaldaletto in mano, e va alle camere di Laura, che avranno una delle porte laterali)
- Oh! io non posso e non voglio far questa vita.
- DOMENICA
- (ch’esce d’altra camera e va verso la padrona in fretta anch’essa, e con in mano una tazza da brodo, e incontrasi con Lorenzo)
- Oh! figurati che non voglio crepar neppur io.
- LORENZO
- Appena giorno dovermi levare per accendere il fuoco.
- DOMENICA
- A letto tardissimo; e nel piú bel del dormire: «Domenica, una tazza di brodo».
- LORENZO
- Io non voglio continuare cosí.
- DOMENICA
- Non lo vorrei né men io se non amassi la mia padrona.
- LORENZO
- Oh! veramente puoi dire d’amare qualche cosa di buono.
- DOMENICA
- Poveraccia, perché le si è alterata la salute non meriterà piú...
- LORENZO
- Eh, cara Domenica! non è mancanza di salute, ma di giudizio. È pazza la meschinella.
- DOMENICA
- Lorenzo, parla bene della padrona, altrimenti...
- LORENZO
- Sí, sí, hai ragione di difenderla, mentre tu ancora, moglie mia garbatissima, t’incammineresti per quella strada.
- DOMENICA
- Per quale strada? Non t’intendo.
- LORENZO
- Per quella della pazzia, della frascheria, della civetteria. M’hai inteso adesso?
- DOMENICA
- T’ho inteso. Ma non capisco per qual motivo ti lamenti...
- LORENZO
- Fa’ pur finta di non capire; e torna un’altra volta a galanteggiar con Ruffino, come facesti iersera. Vedrai di che cosa sarò capace.
- DOMENICA
- Sei un ingrato, un briccone, un bugiardo. Non è vero niente. Sono savia ed onesta. (Piangente) Mi vuoi... far morire... dalla disperazione... Ohimè! ohimè! (Fa contorsioni e moti convulsivi) Sento che non ne posso piú.
- LORENZO
- Orsú, non mi far la sguaiata, che, poter del mondo, io ti guarirò senza spender nulla nel medico.
- DOMENICA
- (come sopra) Ahi! ahi! misera me, misera me!
- LORENZO
- Or ora col manico di questo scaldaletto te ne do tante, che ti fo ben io passare le convulsioni.
- DOMENICA
- Gran bestia che sei. Mi passano, sí, ma non posso impedir che non vengano.
- LORENZO
- Benissimo; e non potrai impedirmi ch’io non le faccia andar via. Se tu volessi far la scimia della padrona, io non sarò mai sí sciocco come il padrone.
- DOMENICA
- (con calore) E che vuoi tu che faccia il signor Bernardino?
- LORENZO
- (con calore anch’esso) Quello che far deve un marito ch’abbia la testa. Mettersi risoluto... (dalle camere di Donna Laura si ode una campanella che suona in molta fretta).
- DOMENICA
- (intimorita) Oh, cospetto! la padrona che chiama. Andiamo subito.
- LORENZO
- (guardando nello scaldaletto) Va’, va’ pur tu... Mi si è smorzato il fuoco, e bisogna che corra a prenderne dell’altro.
- DOMENICA
- Bene... povera me! mi si è rovesciato tutto il brodo...
- LORENZO
- Per le tue maledette convulsioni.
- DOMENICA
- Pel tuo maledetto contrastare (campanella come sopra).
- DOMENICA
- Prendi, prendi la tazza. Tu porterai brodo e fuoco venendo dalla parte ove stanno le donne (ed entra).
- LORENZO
- Sí, sí, porterò tutto. Cosí il diavolo portasse via queste due matte (s’incammina alla porta di mezzo).