Le avventure di Pinocchio (1892)/Capitolo 11
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Capitolo 10 | Capitolo 12 | ► |
XI.
Mangiafoco starnutisce e perdona a Pinocchio, il quale poi difende dalla morte il suo amico Arlecchino.
Il burattinaio Mangiafoco (che questo era il suo nome) pareva un uomo spaventoso, non dico di no, specie con quella sua barbaccia nera che, a uso grembiale, gli copriva tutto il petto e tutte le gambe; ma nel fondo poi non era un cattiv’uomo. Prova ne sia, che quando vide portarsi davanti quel povero Pinocchio, che si dibatteva per ogni verso, urlando «Non voglio morire, non voglio morire!» principiò subito a commuoversi e a impietosirsi; e dopo aver resistito un bel pezzo, alla fine non ne potè più e lasciò andare un sonorosissimo starnuto.
A quello starnuto, Arlecchino, che fin allora era stato afflitto e ripiegato come un salcio piangente, si fece tutto allegro in viso e chinatosi verso Pinocchio, gli bisbigliò sottovoce:
— Buone nuove, fratello. Il burattinaio ha starnutito, e questo è segno che s’è mosso a compassione per te, e oramai sei salvo. —
Perchè bisogna sapere che, mentre tutti gli uomini quando si sentono impietositi per qualcuno, o piangono, o per lo meno fanno finta di rasciugarsi gli occhi, Mangiafoco, invece, ogni volta che s’inteneriva davvero aveva il vizio di starnutire. Era un modo come un altro, per dare a conoscere agli altri la sensibilità del suo cuore.
Dopo aver starnutito, il burattinaio, seguitando a fare il burbero, gridò a Pinocchio:
— Finiscila di piangere! I tuoi lamenti mi hanno messo un’uggiolina qui in fondo allo stomaco.... sento uno spasimo, che quasi quasi.... etcì! etcì! — e fece altri due starnuti.
— Felicità! — disse Pinocchio.
— Grazie. E il tuo babbo e la tua mamma sono sempre vivi? — gli domandò Mangiafoco.
— Il babbo, sì: la mamma non l’ho mai conosciuta.
— Chi lo sa che dispiacere sarebbe per il tuo vecchio padre, se ora ti facessi gettare fra que’ carboni ardenti! Povero vecchio! lo compatisco!... etcì, etcì, etcì, — e fece altri tre starnuti.
— Felicità! — disse Pinocchio.
— Grazie! Del resto bisogna compatire anche me, perchè, come vedi, non ho più legna per finire di cuocere quel montone arrosto, e tu, dico la verità, in questo caso mi avresti fatto un gran comodo! Ma oramai mi sono impietosito e ci vuol pazienza. Invece di te, metterò a bruciare sotto lo spiede qualche burattino della mia compagnia. Olà, giandarmi! —
A questo comando comparvero subito due giandarmi di legno, lunghi lunghi, secchi secchi, col cappello a lucerna in testa e colla sciabola sfoderata in mano.
Allora il burattinaio disse loro con voce rantolosa:
— Pigliatemi lì quell’Arlecchino, legatelo ben bene, e poi gettatelo a bruciare sul fuoco. Io voglio che il mio montone sia arrostito bene! —
Figuratevi il povero Arlecchino! Fu tanto il suo spavento, che le gambe gli si ripiegarono e cadde bocconi per terra.
Pinocchio, alla vista di quello spettacolo straziante, andò a gettarsi ai piedi del burattinaio, e piangendo dirottamente e bagnandogli di lacrime tutti i peli della lunghissima barba, cominciò a dire con voce supplichevole:
— Pietà, signor Mangiafoco!...
— Qui non ci son signori! — replicò duramente il burattinaio.
— Pietà, signor Cavaliere!...
— Qui non ci son cavalieri!
— Pietà, signor Commendatore!
— Qui non ci son commendatori!
— Pietà, Eccellenza!... —
A sentirsi chiamare Eccellenza, il burattinaio fece subito il bocchino tondo, e diventato tutt’a un tratto più umano e più trattabile, disse a Pinocchio:
— Ebbene, che cosa vuoi da me?
— Vi domando grazia per il povero Arlecchino!...
— Qui non c’è grazia che tenga. Se ho risparmiato te, bisogna che faccia mettere sul fuoco lui, perchè io voglio che il mio montone sia arrostito bene.
— In questo caso, — gridò fieramente Pinocchio, rizzandosi e gettando via il suo berretto di midolla di pane — in questo caso conosco qual è il mio dovere. Avanti, signori giandarmi! Legatemi e gettatemi là fra quelle fiamme. No, non è giusta che il povero Arlecchino, il vero amico mio, debba morire per me! —
Queste parole, pronunziate con voce alta e con accento eroico, fecero piangere tutti i burattini che erano presenti a quella scena. Gli stessi giandarmi, sebbene fossero di legno, piangevano come due agnellini di latte.
Mangiafoco, sul principio, rimase duro e immobile come un pezzo di ghiaccio: ma poi, adagio adagio, cominciò anche lui a commuoversi e a starnutire. E fatti quattro o cinque starnuti, aprì affettuosamente le braccia e disse a Pinocchio:
— Tu sei un gran bravo ragazzo! Vieni qua da me e dammi un bacio. —
Pinocchio corse subito, e arrampicandosi come uno scoiattolo su per la barba del burattinaio, andò a posargli un bellissimo bacio sulla punta del naso.
— Dunque la grazia è fatta? — domandò il povero Arlecchino, con un fil di voce che si sentiva appena.
— La grazia è fatta! — rispose Mangiafoco; poi soggiunse sospirando e tentennando il capo:
— Pazienza! per questa sera mi rassegnerò a mangiare il montone mezzo crudo: ma un’altra volta, guai a chi toccherà!...
Alla notizia della grazia ottenuta, i burattini corsero tutti sul palcoscenico e, accesi i lumi e i lampadari come
in serata di gala, cominciarono a saltare e a ballare. Era l’alba e ballavano sempre.