Le avventure d'Alice nel paese delle meraviglie/IX
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Traduzione dall'inglese di Teodorico Pietrocòla-Rossetti (1872)
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CAPITOLO IX.
storia della falsa-testuggine.
“Non potete credere quanto son lieta di ritrovarvi, bambina mia!” disse la Duchessa, mettendo amichevolmente il suo braccio in quello di Alice, e camminando insieme.
Alice era lieta di rivederla in tale buon umore, e pensò che forse era il pepe che l’avea resa tanto irritabile quando la vide in cucina. “Allorchè sarò Duchessa,” disse fra sè (ma senza troppo sperarlo), “non voglio aver punto pepe nella mia cucina. La minestra è buona anche senza. Chi sa che non sia il pepe che rende la gente cotanto piccosa?” continuò tutta lieta d’aver scoperta una specie di nuova teoria, “è l’aceto che la rende aspra — è la camomilla che la rende amara — e sono i confetti e cose simili che addolciscono il carattere de’ bambini. Vorrei che si conoscesse ciò; le persone non sarebbero tanto tirchie a darcene — ”
E così discorrendo avea quasi dimenticata la Duchessa, e trasaltò quando si udì dire all’orecchio. “Cara mia, voi avete la testa ad altro, e dimenticate di parlare con me. Non potrei dirvene ora la morale, ma me ne ricorderò far breve.”
“Forse non ne ha,” osservò cautamente Alice.
“Che, che, bimba!” disse la Duchessa. “Ogni cosa ha la sua morale, purchè voi la possiate trovare.” E si strinse più presso ad Alice mentre parlava.
Ad Alice non piacque l’esser così stretta con lei, primo perchè la Duchessa era bruttissima, secondo, perchè per la sua altezza ella appoggiava il mento sulla spalla d’Alice, ora quel mento era spiacevolmente acuto! Ma pure non volle essere scortese, e sopportò quella noja come meglio potè.
“Il giuoco va meglio ora,” disse così per alimentare la conversazione.
“Eh sì,” rispose la Duchessa: “e questa n’è la morale: —
‘È amore — è amore — è il pazzeron d’amore
Che fa girare il mondo, — ed il mio cuore!’”
“Ma qualcheduno ha detto invece,” bisbigliò Alice, “se ognuno badasse alle proprie faccende il mondo girerebbe meglio.”
“Bene! L’una vale l’altra,” disse la Duchessa, e mentre conficcava il suo mento acuto nelle spalle d’Alice, continuò, “e la morale di ciò la è questa — ‘Guardate al franco; gli spiccioli si guarderanno da sè.’”
“Come si diletta a trovar la morale in ogni cosa!” pensò Alice.
“Scommetto che siete sorpresa perchè non vi cingo la vita col mio braccio,” disse la Duchessa dopo qualche istante, “ma gli è perchè non so che razza d’umore abbia il vostro fenicòntero. Facciamo la prova?”
“Potrebbe mordervi,” rispose Alice, che non ne voleva di quelli esperimenti.
“È vero,” disse la Duchessa: “i fenicònteri e la senape pizzicano entrambi, e la morale è questa — ‘Chi si rassembra s’assembra.’”
“Ma la senape non è un uccello,” osservò Alice.
“Bene, come sempre,” disse la Duchessa: “voi dite ogni cosa assai benino!”
“È un minerale, credo,” disse Alice.
“Certo,” rispose la Duchessa, che pareva desiderasse d’acconsentire a tutte le cose che diceva Alice; “qui vicino c’è una grande miniera di senape. E la morale di ciò è questa — ‘La miniera è la maniera Di gabbar la gente intiera.’”
“Oh lo so!” sclamò Alice, che non aveva badato alle parole della Duchessa, “è un vegetale. Non ne ha l’apparenza, ma lo è.”
“Proprio così,” disse la Duchessa, “e la morale di ciò è questa — ‘Siate quello che volete parere’ — o se volete che ve lo dica più semplicemente — ‘Non vi crediate mai d’essere altra se non quella che apparite ad altri d’essere o d’essere stata che possiate essere, e l’esser non è altro che l’essere di quell’essere ch’è l’essere dell’essere, e non altrimenti.’”
“Credo che l’intenderei meglio,” disse Alice con molta garbatezza, “se me la scriveste, ma non posso seguirvi con la mente quando la dite.”
“Questo è nulla rimpetto a quel che potrei dire, se ne avessi voglia,” soggiunse la Duchessa, contenta come una pasqua.
“Non v’incomodate a dirne di più lunghe di quella che avete recitata or ora,” disse Alice.
“Che incomodo!” rispose la Duchessa. “Vi fo un regalo di tutto ciò che ho detto sino ad ora.”
“È un regalo che costa niente,” pensò Alice. “Buono che non fanno di que’ regali ne’ giorni natalizii!” Ma non osò dir questo a voce alta.
“Sempre meditabonda?” domandò la Duchessa, mentre affondava quel suo mento acuminato sull’omero della bambina.
“Ho ben di che!” rispose vivamente Alice, perchè cominciava a sentirsi annoiata.
E la Duchessa, “Come i porci ne hanno di volare: e la mo — ”
Quì, con gran sorpresa d’Alice, la voce della Duchessa andò morendo e si spense in mezzo alla parola ‘morale’ che tanto gradiva; il braccio ch’era nel suo cominciò a tremare. Alice alzò gli occhi, e vide che la Regina stava davanti ad esse, le braccia conserte, accigliata e spaventevole come un uragano.
“Maestà, che bella giornata!” balbettò la Duchessa con voce debole e fioca.
“Vi dò a tempo un avvertimento,” tuonò la Regina, battendo fieramente il terreno col piede; “o voi o la vostra testa dovranno abbandonare il giardino, e ciò subito! Scegliete!”
La Duchessa scelse, e fuggì via in un attimo.
“Ritorniamo al giuoco,” disse la Regina ad Alice, ma Alice era troppo spaventata, non osò rispondere, e la seguì lentamente sul terreno.
Gl’invitati intanto, profittando dell’assenza della Regina, si riposavano all’ombra: però appena la videro ricomparire, ritornarono ai posti loro; la Regina fece soltanto capir loro che se avessero ritardato un momento avrebbero perduta la vita.
Mentre giuocavano, la Regina continuava a querelarsi con altri giuocatori, gridando sempre “Mozzategli il capo!” oppure “Mozzatele il capo!” Coloro ch’erano sentenziati a morte, erano guardati da soldati che doveano cessare di servire d’archi al giuoco, e così in meno di mezz’ora, non c’erano più archi, e tutt’i giuocatori, eccettuati il Re la Regina ed Alice, erano guardati e condannati nel capo.
Finalmente la Regina lasciò il giuoco, tutta sbuffante ed anelante, e disse ad Alice, “Hai veduto la Falsa-Testuggine?”
“Nò,” disse Alice. “Non so neppure che sia la Falsa-Testuggine.”
“È quella con cui si fa la minestra di falsa Testuggine,” disse la Regina.
“Non ne ho mai veduto, nè udito parlare,” soggiunse Alice.
“Vieni dunque,” disse la Regina, “ed essa ti racconterà la sua storia.”
Mentre andavano insieme, Alice sentì che il Re diceva a voce bassa a tutt’i condannati, “Fo grazia a tutti.” “Oh, ne son lieta!” disse fra sè Alice, perchè sapete, la nostra fanciulla era mestissima vedendo tanta gente condannata a morte dalla Regina.
Tosto giunsero vicino a un Grifone, accoccolato e dormente al sole. (Se voi non sapete che è il Grifone, guardate la vignetta.) “Su, su, pigro!” disse la Regina, “conducete questa fanciulla a vedere la Falsa-Testuggine che le farà il racconto della sua vita. Quanto a me debbo tornare indietro per fare eseguire alcune sentenze di morte;” e andò via, lasciando Alice sola col Grifone. Non piacque ad Alice l’aspetto della bestia, ma poi riflettendo che il rimaner col Grifone non era tanto pericoloso per lei quanto il rimanere con quella selvaggia Regina, stette lì, ed aspettò.
Il Grifone si levò, si stropicciò gli occhi, aspettò che la Regina sparisse totalmente e poi si mise a sghignazzare. “Che commedia!” disse il Grifone, parlando un po’ a sè stesso, un po’ ad Alice.
“Qual’è la commedia?” domandò Alice.
“È lei stessa,” soggiunse il Grifone. “È un ruzzo che ha in testa: ma le teste non son mai mozzate per ciò. Venite!”
“Quì ognuno comanda ‘Venite!’” osservò Alice, mentre lo seguiva lentamente. “Non sono stata mai così comandata in tutta la mia vita!”
Non si erano di molto inoltrati quando videro a una certa distanza la Falsa-Testuggine, che sedeva mesta e soletta sull’orlo d’una rupe, ed essendosi avvicinati un poco più, Alice senti che sospirava come se le si spezzasse il cuore. Ella n’ebbe compassione. “Perchè si duole?” domandò al Grifone, e il Grifone rispose un po’ su un po’ giù come dianzi, “È un ruzzo che ha in testa, non ha dolore di sorta. Venite!”
E andarono verso la Falsa-Testuggine, che li riguardò con certi occhioni ripieni di lagrime, ma senza far motto.
“Questa fanciulla,” disse il Grifone, “vorrebbe sentire la vostra storia, vorrebbe.”
“Gliela racconterò,” rispose la Falsa-Testuggine con voce profonda e sepolcrale. “Sedete, e non dite una parola sin che io abbia terminato.”
E sedettero, e per qualche minuto, niuno fiatò. Intanto Alice osservò fra sè, “Non so come mai terminerà, se non comincia mai.” Ma aspettò pazientemente.
“Una volta,” disse finalmente la Falsa-Testuggine con un gran sospirone “io era una vera Testuggine.”
Quelle parole furono seguite da un altro lunghissimo silenzio, interrotto soltanto da qualche “Hjckrrh!” dal Grifone e da’ singhiozzi continui della Falsa-Testuggine. Alice stava per levarsi e dirle, “Grazie della vostra storia interessante,” quando riflettè che essa doveva dire qualche cosa di più, e sedette tranquillamente, senza far motto.
“Quando eravamo piccini,” continuò la Falsa–Testuggine, un poco più quieta, ma sempre singhiozzando, “andavamo a scuola, al mare. La maestra era una vecchia Testuggine — e noi la chiamavamo Tartaruga — ”
“Perchè la chiamavate Tartaruga se non era tale?” domandò Alice.
“La chiamavamo Tartaruga perchè c’insegnava a tartagliare,” disse la Falsa-Testuggine con dispetto: “Avete poco comprendonio!”
“Vi dovreste vergognare di far questioni tanto semplici,” aggiunse il Grifone; e poi zittirono, ed entrambi fissarono gli occhi sulla povera Alice che le pareva sprofondarsi sotterra. Finalmente il Grifone disse alla Falsa-Testuggine, “Va innanzi, comare! Ma non andar per le lunghe, sai!” E così continuò:
“Andavamo a scuola al mare, benchè voi non lo crediate — ”
“Non ho mai detto ciò!” interruppe Alice.
“Ma sì,” tuonò la Falsa-Testuggine.
“Zitta!” soggiunse il Grifone pria che Alice avesse potuto rispondere. La Falsa-Testuggine continuò:
“Noi fummo educate benissimo — in fatti andavamo a scuola ogni giorno — "
“Anch’io andava a scuola ogni giorno,” disse Alice; " non bisogna vantarsi per così poco."
“E avevate degli extra?” domandò la Falsa–Testuggine con qualche ansietà.
“Sì,” rispose Alice, “imparavamo il Francese e la musica.”
“E il bucato?” disse la Falsa-Testuggine.
“No, davvero!” disse Alice tutta corrucciata.
“Ah! La vostra dunque non era una buona scuola,” disse la Falsa-Testuggine, come se si sentisse sollevata. “Nella nostra, c’era alla fine del programma: ‘Extra: Francese, musica, e bucato.’”
“Ma non ne avevate bisogno,” disse Alice; “voi vivevate nel fondo del mare.”
“Non ho avuto mai mezzi per impararlo,” soggiunse sospirando la Falsa-Testuggine. “Così seguii soltanto i corsi ordinarii.”
“Cioè?” domandò Alice.
“A Reggere e Stridere prima di tutto,” rispose la Falsa-Testuggine: “e poi le diverse operazioni dell’Aritmetica — Ambizione, Distrazione, Bruttificazione, e Derisione.”
“Non ho mai sentito parlare di ‘Bruttificazione,’” disse Alice. “Ch’è mai?’”
Il Grifone levò le due zampe all’aria in segno di sorpresa e sclamò: “Mai sentito parlare di bruttificazione! Ma sapete che significa bellificazione, eh?”
“Sì,” rispose Alice, ma un pò dubbiosa: “significa — rendere — qualche cosa — più bella.”
“Ebbene,” continuò il Grifone, “se non sapete che significa bruttificare voi siete una sciocca.”
Alice non si vedeva incoraggiata a fare altre domande, così si rivolse alla Falsa-Testuggine, e disse, “Che altro dovevate imparare?”
“Ecco, c’era la Stoia,” rispose la Falsa-Testuggine, contando i soggetti ad uno ad uno sulle natatoie — “la Stoia antica e moderna con la Girografia: poi il Disdegno — il Maestro di Disdegno era un vecchio grongo, e veniva una volta la settimana: c’insegnava il Disdegno, il Passaggio, e la Frittura ad Occhio.”
“E questa a che rassomigliava ella?” disse Alice.
“Non ve la potrei mostrare,” rispose la Falsa-Testuggine, “perchè vedete, son tutto d’un pezzo. E il Grifone non l’ha mai imparata.”
“Non ebbi tempo,” rispose il Grifone: “ma studiai le lingue classiche, e bene. Ebbi per maestro un vecchio granchio, sapete.”
“Non andai mai da lui,” disse la Falsa-Testuggine con un sospiro: “mi dissero che insegnava Catino, e Gretto.”
“Proprio così,” disse il Grifone, sospirando anche lui, ed entrambe le bestie nascosero la faccia fra le zampe.
“Quante ore di lezione avevate al giorno?” disse Alice prontamente, per mutare argomento.
“Dieci ore il primo giorno,” rispose la Falsa–Testuggine: “nove il secondo, e così discorrendo.”
“Che metodo curioso!” sclamò Alice.
“Ma è questa la ragione perchè si chiamano lezioni,” osservò il Grifone: “perchè soffrono lesioni ogni giorno.”
Era nuova quell’idea per Alice, e ci pensò su un poco prima di fare quest’altra osservazione. “Allora avevate vacanza l’undecimo giorno?”
“S’intende,” disse la Falsa-Testuggine.
“E come facevate nel duodecimo?” domandò vivamente Alice.
Ma il Grifone l’interruppe, e disse con voce risoluta, “Basta in quanto alle lezioni: dìlle ora qualche cosa dei giuochi.”