Le aureole/Il fanale
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a Alfredo Tusti
Torbido e tristo nella solitaria
via, davanti la porta del postribolo,
s’affioca e il buono incenso del turibolo,
forse, è la nebbia che fa opaca l’aria.
5Mai sacerdote curvo per i sacri
facili gradi d’un superbo altare
seppe con dolce sapienza fare
omaggio a i freddi e vani simulacri.
Per i vetri malchiusi, a tratti, un grido
10fugge e ne trema il cuore del fanale
e pensa la corsia d’un ospedale
e un vuoto desolato nel suo nido.
Nido, ché, all’alba, sempre una leggiadra
bocca una cara nostalgia d’aprile
15diffonde, giù, nel piccolo cortile
che sogna il sole e fosche nubi inquadra.
Forse è la stessa che l’ombra di rauchi
singhiozzi seminò, forse è la stessa
che fredda rise a una volgar promessa
20e spasimò sotto i grandi occhi glauchi.
La notte, oh, quale triste cantilena
langue per le tre camere fumose
in fin che al suolo cadano le rose
disfatte sulla lunga veglia oscena,
25in fin che su la solitaria via
strida la chiave dell’antica porta
e che la tua, fanal, fiamma sia morta
di passione e di malinconia.
Stelle! Non forse nell’orror notturno
30di una turba briaca o di una muta
breve agonia, non forse t’è venuta
dolce una voglia, fanal taciturno,
di stelle? e non ti tenne un’amarezza
grande e un odio pel tuo triste destino
35e non ti parve poi, spento, al mattino,
di sentirti morire di tristezza?
Cuor che ti duoli, soddisfatto mai,
della vacuità de gli orizzonti,
oh, bevi alle tue buone e chiare fonti,
40oh, cogli rose a’ tuoi bianchi rosai,
ma non guardare, non udire, va’
dolce e solingo e la tua lampa rechi
luce a te solo e invano gli altri, ciechi,
implorino la buona carità.