Le Ricordanze (Rapisardi 1894)/Parte terza/L'epicedio del coccodrillo
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L’EPICEDIO DEL COCCODRILLO
Ho ucciso l’amor mio, l’ultimo amore
Che pur dato m’avea tante dolcezze:
Troppo vissuto avea dentro al mio core,
Prodigate m’avea troppe carezze!
L’ho svelto come il petalo d’un fiore;
Ho ucciso l’amor mio, l’ultimo amore.
Era tanto gentil, piccola tanto;
Sì dolci i labbri avea, così mordaci!
Quando per cagion mia struggeasi in pianto,
Io la guardava, e le dicea: Mi piaci!
Or giace muta muta in camposanto:
Era tanto gentil, piccola tanto!
Di vivi sogni, di sepolti amori
Io le parlava e di supplizj strani,
D’esili donne che pareano fiori,
D’anime che parean raggi lontani,
Di occulti amplessi, d’agognati allori,
Di vivi sogni e di sepolti amori.
Ad ogni bacio mio fatto mortale
Il mio povero amor languia, languia;
Ogni dolce mio detto era un pugnale,
Era veleno ogni carezza mia;
Divenia fredda fredda, al marmo uguale,
Ad ogni bacio mio fatto mortale.
Quando la vidi con le braccia in croce
In una bara picciola e fiorita,
Da una strana pietà fatto feroce
Tolta mi avrei per dare a lei la vita:
Senza pianto rimasi e senza voce,
Quando la vidi con le braccia in croce!
Or che morta sei tu, povero amore,
Muta è la stanza mia, freddo il mio letto;
Tu sei forse mutata in astro o in fiore,
Io non so quel che spero e quel che aspetto
Dentro alla fossa tua vive il mio core,
Or che morta sei tu, povero amore!
Deh! se la voce mia conosci ancora,
Sorgi, o cara, dal letto ove tu posi;
Vedi? è scura la notte, è tarda l’ora.
Loco in terra non è dove io riposi;
Sorgi, m’apri la tua cheta dimora;
Dormiamo un sonno che non abbia aurora.