Le Laude (1915)/VIII. De l'ornamento delle donne dannoso
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VIII
De l’ornamento delle donne dannoso
O femene, guardate — a le mortal ferute;
nelle vostre vedute — el basalisco mostrate.
El basilisco serpente — occide om col vedere,
lo viso envenenato — si fa el corpo morire;
pegio lo vostro aspetto — fa l’anime perire
da Cristo, dolce sire,— che care l’ha comparate.
Lo basilisco ascondese, — non se va demostrando;
non vedendo, iacese — e non fa ad alcun danno;
peggio che ’l basalisco — col vostro deportanno,
l’anime vulneranno — colle false sguardate.
Co non pensate, femene, — col vostro portamento
quant’anem’a sto secolo — mandate a perdimento?
solo col desiderio, — senz’altro toccamento,
pur che gli èi en talento, — a l’aneme macellate.
Non ve pensate, femene, — co gran preda tollite,
a Cristo, dolce amore, — mortal dáite ferite?
serve del diavolo, — sollecete i servite;
colle vostre schirmite — molt’anime i mandate.
Dice che acóncete, — ché piace al tuo signore;
ma lo pensier engannate, — ché nogl se’ en amore;
s’alcun stolto aguardate, — sospezion ha en core
che contra lo su onore — facce mali trattate.
Lagna poi e fèrite — e tiente en gelosia,
vuol saper li luocora — e quegn’hai compagnia;
porrate poi l’ensidie, — si t’ha sospetta e ria;
non giova diceria — che facce en tuoi scusate.
Or vede che fai, femena, — co te sai contrafare!
la tua persona piccola — co la sai dimostrare!
sotto li piede méttete — ch’una gigante pare,
puoi con lo strascinare — cuopre le suvarate.
Se è femena pallida, — secondo sua natura,
arosciase la misera — non so con que tentura;
se è bruna, embiancase — con far sua lavatura;
mostrando sua pentura, — molt’aneme ha dannate.
Mostrerá la misera — ch’aggia gran trecce avolte;
la sua testa adornase — co fossen trecce acolte
o de tomento fracedo — o’ so pecciòle molte,
cosí le gente stolte — da lor son engannate.
Per temporal avenesse — che l’om la veda sciolta
vedi che fa la demona — colla sua capovolta!
le trez’altrui componese — non so con que girvolta;
farattece una colta — che paion en capo nate.
Que fará la misera — per aver polito volto?
porrásece lo scortico — che ’l coio vecchio n’ha tolto;
remette ’l coio morbedo, — parrá citella molto;
sí engannan l’omo stolto — con lor falsificate.
Poi che a la femina — èglie la figlia nata,
co la natura formala, — pare una sturciata;
tanto lo naso tiraglie, — strengendo a la fiata,
che l’ha sí reparata — che porrá far brigate.
Son molte che per omene — non fon nullo aconciato;
delettanse fra l’altre — aver grand’apparato;
non ce pense, misera, — che per van delettato
lo cor s’è vulnerato — de molte enfermetate?
Non hai potenza, femina, — de poter preliare;
ciò che non puoi con mano, — la lengua lasse fare;
non hai lengua a centura — de saperle gettare
parole d’adolorare — che passan le corate.
Non giacerá a dormire — quella che hai ferita;
tal te dará percossa — che no ne sirai lita;
d’alcun te dará ’nfamia — che ne sirai schernita;
menarai poi tu vita — con molte tempestate.
Sospicará maritota — che non sie de lui prena;
tal glie verrá tristizia, — che gli secará omne vena;
acoglieratte en camora — che nol senta vicena;
qual ce trarai mena — de morte angustiata!