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16 | lauda viii |
Se è femena pallida, — secondo sua natura,
arosciase la misera — non so con que tentura;
se è bruna, embiancase — con far sua lavatura;
mostrando sua pentura, — molt’aneme ha dannate.
Mostrerá la misera — ch’aggia gran trecce avolte;
la sua testa adornase — co fossen trecce acolte
o de tomento fracedo — o’ so pecciòle molte,
cosí le gente stolte — da lor son engannate.
Per temporal avenesse — che l’om la veda sciolta
vedi che fa la demona — colla sua capovolta!
le trez’altrui componese — non so con que girvolta;
farattece una colta — che paion en capo nate.
Que fará la misera — per aver polito volto?
porrásece lo scortico — che ’l coio vecchio n’ha tolto;
remette ’l coio morbedo, — parrá citella molto;
sí engannan l’omo stolto — con lor falsificate.
Poi che a la femina — èglie la figlia nata,
co la natura formala, — pare una sturciata;
tanto lo naso tiraglie, — strengendo a la fiata,
che l’ha sí reparata — che porrá far brigate.
Son molte che per omene — non fon nullo aconciato;
delettanse fra l’altre — aver grand’apparato;
non ce pense, misera, — che per van delettato
lo cor s’è vulnerato — de molte enfermetate?
Non hai potenza, femina, — de poter preliare;
ciò che non puoi con mano, — la lengua lasse fare;
non hai lengua a centura — de saperle gettare
parole d’adolorare — che passan le corate.
Non giacerá a dormire — quella che hai ferita;
tal te dará percossa — che no ne sirai lita;
d’alcun te dará ’nfamia — che ne sirai schernita;
menarai poi tu vita — con molte tempestate.
Sospicará maritota — che non sie de lui prena;
tal glie verrá tristizia, — che gli secará omne vena;
acoglieratte en camora — che nol senta vicena;
qual ce trarai mena — de morte angustiata!