Le Laude (1915)/LX. De la santa povertà e suo triplice cielo

LX. De la santa povertà e suo triplice cielo

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LX. De la santa povertà e suo triplice cielo
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De la santa povertá e suo triplice cielo

     O amor de povertate, — regno de tranquillitate!
     Povertate, via secura, — non ha lite né rancura,
de latron non ha paura — né de nulla tempestate.
     Povertate muore en pace, — nullo testamento face,
lassa el mondo como iace — e le gente concordate.
     Non ha iudece né notaro, — a corte non porta salaro,
ridese de l’uomo avaro — che sta en tanta ansietate.
     Povertá, alto sapere, — a nulla cosa soiacere,
en desprezo possedere — tutte le cose create.
     Chi despreza sí possede, — possedendo non se lede,
nulla cosa i piglia ’l pede — che non faccia sue giornate.
     Chi desía è posseduto, — a quel ch’ama s’è venduto;
s’egli pensa que n’ha ’vuto, — han’avute rei derrate.
     Tropo so de vil coragio — ad entrar en vasallagio,
simiglianza de Dio ch’agio — deturparla en vanitate.
     Dio non alberga en core stretto, — tant’è grande quant’hai affetto,
povertate ha sí gran petto, — che ci alberga deitate.
     Povertate è ciel celato — a chi en terra è ottenebrato;
chi nel terzo ciel su è ’ntrato, — ode arcana profunditate.
     El primo ciel è ’l fermamento, — d’onne onore spogliamelo,
grande porge empedimento — ad envenir securitate.
     A far l’onor en te morire, — le ricchezze fa sbandire,
la scienzia tacere — e fugir fama de santitate.
     La richeza el tempo tolle, — la scienzia en vento estolle,
la fama alberga ed acolle — l’ipocresia d’onne contrate.

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     Pareme cielo stellato — chi da questi tre è spogliato,
ècce un altro ciel velato: — acque chiare solidate.
     Quattro venti move ’l mare — che la mente fon turbare,
lo temere e lo sperare, — el dolere e ’l gaudiare.
     Queste quattro spogliature — piú che le prime so dure;
se le dico, par errure — a chi non ha capacitate.
     De lo ’nferno non temere — e del ciel spem non avere;
e de nullo ben gaudere — e non doler d’aversitate.
     La virtú non è perchene, — ca ’l perchene è for de téne;
sempre encognito te tène — a curar tua enfermitate.
     Se son nude le virtute — e le vizia son vestute,
mortale se don ferute, — caggio en terra vulnerate.
     Puoi le vizia son morte, — le virtute son resorte
confortate da la corte — d’onne empassibilitate.
     Lo terzo ciel è de piú altura, — non ha termen né mesura,
fuor de la magenatura — fantasie mortificate.
     Da onne ben sí t’ha spogliato — e de virtute spropriato,
tesaurizi el tuo mercato — en tua propria vilitate.
     Questo cielo è fabricato, — en un nihil è fondato,
o’ l’amor purificato — vive nella veritate.
     Ciò che te pare non è, — tanto è alto quello che è,
la superbia en cielo se’ — e dannase l’umilitate.
     Entra la vertute e l’atto — molti ci ode al ioco «matto»,
tal se pensa aver buon patto — che sta en terra alienate.
     Questo cielo ha nome none, — moza lengua entenzione,
o’ l’amor sta en pregione — en quelle luce ottenebrate.
     Omne luce è tenebría, — ed omne tenebre c’è dia,
la nova filosofia — gli utri vechi ha dissipate.
     Lá ’ve Cristo è ensetato, — tutto Ilo vechio n’è mozato,
l’un ne l’altro trasformato — en mirabile unitate.
     Vive amor senza affetto — e saper senza entelletto,
lo voler de Dio eletto — a far la sua volontate.
     Viver io e non io, — e l’esser mio non esser mio,
questo è un tal trasversio, — che non so diffinitate.
     Povertate è nulla avere — e nulla cosa poi volere;
ed omne cosa possedere — en spirito de libertate.