Le Eumenidi/Seconda parte

Seconda parte

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Eschilo - Le Eumenidi (458 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1921)
Seconda parte
Primo episodio Primo canto intorno all'ara

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SECONDA PARTE


La scena è in Atene, dinanzi al tempio d’Atèna Poliade.
Al principio di questa seconda parte, giunge Oreste, e si prostra di-
nanzi al simulacro della Dea


ORESTE


Atena Dea, per gli ordini di Febo
giungo: il fuggiasco accogli tu benevola:
ch’io non impuro, né con le man’sozze,
ma innocuo già, purificato già
in altre case, in altri umani tramiti,
attraversando e terre e mari, docile
ai fatidici mòniti d’Apollo,
giungo al tuo tempio; e al simulacro tuo
strettomi, aspetto dal giudizio il fine.

Irrompono nell’orchestra le Furie, cercando, fiutando il suolo,
come una canea in traccia della preda

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furia i
Ecco! Un palese indizio del fuggiasco.
Segui le tracce della muta guida!
furia ii
Come canea su ferito cerbiatto
moviamo dietro le stille di sangue.
furia iii
Seguir quest’uomo assai mi fiacca; ed ansima
il mio polmone: ch’errai della terra
per ogni luogo, lo cercai, volando
sul mar, senz’ali, al par di nave rapida.
furia iv
Ed ora, certo, egli è nascosto qui:
ché mi conforta odor d’umano sangue.
furia i
Cerca, su, cerca per tutto, ed investiga
ché il matricida non fugga impunito!
furia ii
Bene ei trovò soccorso!
Strettosi all’idolo sacro d’Atèna,
chiede giudizio del sangue versato.

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FURIA III


Ma lecito non è: non si riscatta
il sangue materno che al suolo
stillava effuso, che bagna la terra.

FURIA IV


No: dalle membra ancor vive, tu devi
l’èpula offrirci di rosso libame:
nelle tue vene convien ch’io m’abbeveri.

FURIA I


Vivo t’emacierò, ti condurrò
ad espiare la colpa, tra gl’Inferi.

FURIA II


Qui tu vedrai chiunque altri degli uomini
peccò, facendo ingiuria
ai Numi, agli ospiti, ai suoi genitori,
ciascuno avendo la débita pena.

FURIA III


Che l’Ade v’è sotto la terra, giudice
solenne dei mortali,
che nella mente tutto scrive, e vigila.

Le Furie si aggruppano intorno all’altare di Diòniso.

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ORESTE


Dalle sciagure ammaestrato, appresi
ciò che convenga in ogni evento; e so
quando parlar convien, quando il silenzio.
Saggio maestro or favellar m’impone.
Langue su la mia man, si strugge il sangue:
del matricidio la recente macchia
lavata è già: con sangue espiatorio
presso l’ara del Dio fu cancellata:
lungo sarebbe annoverare quanti
contatto ebbero meco, e illesi andarono.
E santamente e con pio labbro, adesso
chiamo la Dea di questa terra, Atèna,
che a soccorrermi giunga. Ella, senz’armi,
e me stesso e la terra e il popol d’Argo
fido alleato ognor guadagnerà.
O sia che tu ne le contrade libiche
su ’l fluvïale tramite tritonio
che ti die’ vita, a sostener gli amici,
o nascosto o palese il piede avanzi,
o sia che, ardita guidatrice, vigili
con virile saldezza il pian di Flegra,
tu, che sei Dea, che pur da lungi m’odi,
amami, e me da queste pene salva.

FURIA I


Apollo non potrà, non la possanza
potrà d’Atèna farti salvo. Andrai

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randagio, né mai piú pace saprai!
Ombra vagante, esangue epula, ai Démoni
tu non rispondi, i detti miei tu spregi,
tu sacro a me. Sarai la mia pastura,
non su l’ara sgozzato, anzi ancor vivo;
e udrai quest’inno che t’allacci e affàscini!