Eugenio Padovan

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Nuove, importanti scoperte archeologiche in Comelico
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Eugenio Padovan


Nuove, importanti scoperte archeologiche in Comelico


Ancora una volta, com’era capitato per Auronzo nel 1999, sono le stratificazioni archeologiche, allo stato attuale ancora in gran parte sconosciute e misteriose, a documentare antiche e stabili frequentazioni umane in un comprensorio come il Comelico. Fondamentale, infatti, è la sua posizione geografica, che lo pone tra entità territoriali, contatti e culture molto diverse tra loro.

Il riferimento è alle scoperte di frammenti di ceramica con decorazioni ad onde, databili al V-VII secolo dopo Cristo, avvenute durante il mese d’ottobre 2010 in prossimità del campanile della Parrocchiale, e più precisamente nelle vicinanze dei resti di quella che è stata identificata come la primitiva chiesetta del paese. Non è stato un compito facile, riuscire a compiere quest’importante ricerca; infatti, si sono dovuti superare molti ostacoli, contrarietà e diffidenze, come pure - ed è una costante nel Bellunese, e non solo - concezioni dello sviluppo ancora fortemente connesse con la cementificazione, e pressoché totale disinteresse verso la tutela e valorizzazione dei beni culturali, anche stavolta importanti. Si è potuto tuttavia contare sulla collaborazione di professionisti, appassionati e anche di amministratori. Va tenuto presente come la scoperta di Santo Stefano sia da inserire in un percorso di ricerca, che proprio due anni fa aveva interessato Candide. 1


LE SCOPERTE DI CANDIDE In questo centro del Comune di Comelico Superiore, sede municipale, durante i lavori di riqualificazione della piazza circostante la chiesa plebana dedicata a Santa Maria Assunta e quella di Sant’Antonio Abate, si sono avute le prime avvisaglie della presenza di un’antica comunità organizzata stabile, dedita alla pratica religiosa cristiana. Qui si è potuto contare sulla piena collaborazione del direttore dei lavori, arch. Daniela Zambelli, e del parroco, che hanno appoggiato in pieno le indagini scientifiche affidate all’archeologo Flavio Cafiero, potendo far conto anche sul coinvolgimento di studiosi locali come il prof. Giandomenico Zanderigo Rosolo e sulle Soprintendenze, archeologica e dei beni architettonici. Collaborazione che ha permesso la messa in luce di alcuni piccoli tratti di muro appartenenti ad una chiesetta risalente all’incirca all’anno 1000, e di quelli più cospicui di una chiesa seicentesca. Le testimonianze sono state rese fruibili al pubblico con l’adeguamento del progetto.

LE SCOPERTE DI SANTO STEFANO

Pur tuttavia i rinvenimenti registrati a Santo Stefano, attinenti ad alcuni tratti di muro e ad un segmento d’abside, seppure in gran parte in fondazione e spoglianti in età antica, ci portano indietro, rispetto a Candide, di almeno cinque secoli, ed evidenziano come nel capoluogo del Comelico un insediamento e un edificio di culto esistessero molto prima del 1000, in un periodo prossimo al Tardo Antico. 2Ladin ! 21 Ciò era capitato con i ritrovamenti di San Vito di Cadore registrati nel 2008, connotati dai pochi resti di una costruzione nel cui ambito furono trovati frammenti ceramici, una moneta romana bronzea del IV secolo dopo Cristo e un orecchino del medesimo metallo. In tale ambito va pure ricordata la scoperta dei cospicui resti di un esteso villaggio, avvenuta nell’autunno dello stesso anno a Resinego di San Vito, da attribuire (datando la ceramica recuperata con lo scavo dell’equipe Pacitti) all’incirca alla stessa età. In altre parole, seppure tra tante difficoltà e diffidenze, si può sostenere che l’archeologia in provincia ha fatto notevoli passi in avanti, svelando scenari che non molti anni fa sarebbero stati quantomeno incredibili, in particolar modo per molti centri montani.

Tornando alle indagini scientifiche dell’antica chiesetta, condotte dall’equipe Pacitti con Diego Battiston e un volontario del Circolo amici del Museo dell’Alpago, è necessario rilevare come quei pochi metri quadrati di superficie risparmiati dalla colata di cemento, analizzati scrupolosamente come dètta il metodo stratigrafico, abbiano dimostrato l’esistenza dei resti di un cimitero attorno alla parrocchiale, com’era in uso sino all’epoca napoleonica; per tale motivo l’ambito nord della primitiva chiesa è stato più volte rimaneggiato, scavando per ricavare le fosse per i defunti. La rimanenza dei muri della piccola chiesa ha fatto comprendere come questa fosse lunga circa 8 metri; più difficile, invece, determinarne la larghezza. In ogni modo quello che è stato visto durante la ricerca sono pure le distruzioni perpetrate in epoca moderna, soprattutto sul muro perimetrale N, mentre il pavimento fu demolito quasi sicuramente in epoche più remote; infatti, non se n’è trovata alcuna traccia. L’unica moneta recuperata raffigura un doge dei primi decenni del ’600, e può riguardare un defunto seppellito a quel tempo. Altro dato investe l’aspetto orografico dell’area dove fu costruita la chiesetta. Di sicuro, come si può intuire anche ora, si trovava in una posizione panoramica, dominante rispetto al possibile abitato che doveva espandersi nelle sue immediate vicinanze. Sin qui in sintesi i risultati delle indagini interne all’edificio: ma la scoperta decisiva è giunta dalla verifica dello spazio esterno del lato N. È qui, in un piano di frequentazione tra le pietre e i calcinacci, al di sotto delle fondazioni dell’abside, che Diego Battiston ha trovato i frammenti ceramici con le decorazioni ad onde risalenti al V-VII secolo d.C. Infine, un’altra testimonianza informa che decenni addietro, durante i lavori sul fabbricato che si trova nelle vicinanze della sede della 3Comunità Montana Comelico e Sappada, fu rintracciata una moneta romana. Insomma, pian piano le nebbie sull’antica presenza umana stabile in Comelico si stanno alzando.

IPOTESI SULLA GENESI E FORMAZIONE DEGLI ABITATI STABILI IN COMELICO

Uno dei dati basilari è costituito certamente dalla posizione del Comelico, tra l’Austria, il Friuli e l’Alto Adige, con il resto della provincia e il Veneto a S. Di qui, dunque, la formazione e l’evoluzione della sua storia e delle vicende che si sono via via susseguite nel corso dei millenni. Senza andare troppo a ritroso nel tempo, ci si può soffermare sull’epoca romana, quando il Cadore e Zoldo erano parte integrante del municipio di Julium Carnicum (Zuglio), con la sua viabilità che transitava per il Passo della Mauria e Casera Razzo e lungo la valle del Piave, per sboccare al Passo di Monte Croce Comelico.

Se per ora non si hanno notizie della scoperta d’insediamenti di tale periodo (a parte la ceramica e la moneta di Santo Stefano), il diffondersi del cristianesimo può dimostrare strette attinenze soprattutto con la Carnia, senza tralasciare il Centro Cadore; esse sono ben ricordate, da un lato da ciò che riporta il volume «Comelico e Sappada» della collana «Tesori d’arte nelle chiese dell’Alto bellunese «e dall’altro da quanto afferma Giuseppe Ciani nella «Storia del popolo cadorino». Proprio Ennio Concina, nel capitolo «Comelico, tra medioevo ed età moderna» del citato volume «Comelico e Sappada» inquadra la questione in questi termini «...indipendentemente dalle incerte e complesse questioni della formazione - questioni di cronologia e di prima provenienza (Pusteria o Cadore) -, va notato come l’insediamento del Comelico ricordasse quello del Cadore centrale e della vallata auronzana dell’Ansiei (scoperte di Piazza Santa Giustina e del Santuario del Monte Calvario), all’occupazione dei luoghi «vuoti», disabitati, irradiata nell’alto Medioevo dall’Abbazia di S. Candido nel Pusterese nelle vicine Lesachtal e Gailtal.

Il quadro della rete dei rapporti significativi sul piano culturale, tuttavia, va ricostruito secondo una visione più allargata, tenendo conto, in primo luogo, dell’appartenenza ecclesiastica: la dipendenza, accertata della prima metà del ’200, della chiesa di Santo Stefano (titolo che indica una fondazione assai antica), con giurisdizione religiosa sul Comelico, dell’arcidiaconato di Cadore, uno dei sette nei quali probabilmente tra l’XI e il XII secolo si era articolata per opportunità organizzative la vasta diocesi patriarcale d’Aquileia (dunque insieme con gli arcidiaconati di Carnia, del Friuli superiore e inferiore - unificati sullo scorcio del ‘200 -, di Carinzia, di Saunia, di Carniola e Istria». S’innesta, probabilmente qui la genesi di quanto avvenuto in Comelico, tenendo ben presente quanto emerso con le scoperte ad Ovaro dei cospicui resti di una chiesa con annesso battistero, risalente agli albori del cristianesimo. Nella pubblicazione curata da Aurora Cagnana «L’area archeologica di Ovaro, dalla basilica paleocristiana alla Fiera di S. Martino», in particolare nel capitolo «Cristianizzazione della Carnia alla luce dell’archeologia» si può far conto sulla seguente descrizione «... Nei primi decenni del V secolo sembra essersi verificata una penetrazione più organizzata e sistematica, guidata, con ogni probabilità dalla chiesa madre di Aquileia, che proprio in quel periodo stava ottenendo il ruolo di Provincia Metropolita e si stava dotando di un territorio vastissimo (dall’Istria al Veneto, all’Austria, alla Slovenia), che comprendeva 24 diocesi. Quest’ascesa si colloca forse in un momento storico nel quale la precaria situazione militare sui confini costringeva l’impero romano a lasciare spazio alla Chiesa, che ne dovette assumere, per quanto possibile, l’eredità. La Carnia doveva essere, in tale momento, un territorio molto abitato. Evidentemente, in un periodo in cui le pianure e le città del Friuli erano minacciate dalle prime migrazioni dei popoli germanici e orientali, l’area alpina - prosegue la Cagnana - poteva offrire una sussistenza e, soprattutto, un rifugio più sicuro rispetto alle altre zone. Questo ritorno alla montagna, dettato da motivi di necessità, fu evidentemente seguito dalla Chiesa che, con opere architettoniche assai impegnative, badò a far penetrare, più capillarmente possibile, la religione Cristiana. È in questo contesto che furono edificate, nella prima metà del V secolo, non solo la grande basilica episcopale di Julium Carnicum, ma anche il maestoso santuario sul colle Zuca di Invillino (comune di Villa Santina), e il complesso battesimale di Ovaro». E il confinante Cadore - collegato dalla viabilità romana sia attraverso il Passo della Mauria che da Vigo di Cadore mediante la viabilità che attraversa l’altopiano di Casera Razzo - come si poneva con la diffusione del cristianesimo?

Se valutiamo la lunga serie d’affinità territoriali e culturali che abbiamo passato in rassegna ed esaminiamo i resti di Ovaro, contenuti in un padiglione adiacente alla chiesa di San Martino e visitabili, potremo cogliere una continuità tra l’epoca romana e quella appena successiva. La prima, connotata dalle rimanenze di un edificio - forse una villa - e la seconda dalla chiesa paleocristiana. Pur senza azzardare ardite ipotesi non si può, alla luce delle recenti scoperte, escludere, per i motivi e le vicende descritte, che la genesi sia stata la medesima. Tuttavia non resta che lasciare all’archeologia l’onere della prova.

Bibliografia consultata - Cagnana, Aurora (a cura di). L’area archeologica di Ovaro, dalla basilica paleocristiana alla Fiera di San Martino, Ovaro, 2007; - Ciani, Giuseppe. Storia del popolo cadorino (ristampa anastatica), 2 voll., Bologna, 1969; - De Bon, Sergio - Fiori, Renza (a cura di). Alessio De Bon, le strade di Roma nella Venezia. Volume I: La Via Claudia Augusta Altinate, Pieve di Cadore, 2010; - Donà, Venanzio. Cadore. Guida storica geografica alpina (ristampa anastatica), Bologna, 2007; - Fabbiani, Giovanni. Chiese del Cadore, Belluno, 1964; - Fiori, Renza (a cura di). La topografia dell’antica Italia settentrionale da Alessio De Bon ad oggi, metodi e scoperte, Pieve di Cadore, 2000; - Fontana, Giovanni. Notizie storiche del Comelico e di Sappada, Feltre, 1980; - Mazza, Marta (a cura di). Tesori d’arte nelle chiese dell’alto bellunese. Comelico e Sappada, Cornuda, 2004; - Padovan, Eugenio - Mereu, Leandro. Ipotesi per uno studio e ricerca della viabilità antica tra il Cadore e l’Alto Friuli. Ovaro (Friuli) - Tre Ponti (Cadore), in AA.VV., Dolomites, a cura di Pier Carlo Begotti ed Ernesto Majoni, Pieve di Cadore, 2009, pp. 123 - 128; - Padovan, Eugenio (a cura di). Archeologia bellunese, cronache di una quotidiana ricerca, Lentiai, 1991; - Padovan, Eugenio. Nuove scoperte archeologiche nella Ladinia Bellunese, in AA.VV., Ladini Oggi - III. Il mondo ladino tra passato, presente e futuro - Dalle caratteristiche del territorio ai valori della gente ladina della Provincia di Belluno, Cortina d’Ampezzo, 2009, pp. 41 - 52; - Pauli, Ludwig. Le Alpi: archeologia e cultura del territorio. Dall’Antichità al Medioevo, Bologna, 1983.

  1. Area di scavo a Santo Stefano di Cadore, durante i lavori.(Foto Eugenio Padovan)(Foto Eugenio Padovan)
  2. Area di scavo a Santo Stefano di Cadore.(Foto Eugenio Padovan)
  3. Alcuni reperti ritrovati in Comelico.(Foto Eugenio Padovan)