Enzo Croatto

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Osservazioni e note su alcuni toponimi delle Dolomiti Ampezzane
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Enzo Croatto

Osservazioni e note su alcuni toponimi delle Dolomiti Ampezzane

Sezion 1 • Articole Scientifiche

L’indagine toponimica - così complessa e laboriosa, che oggi viene spesso sottovalutata e considerata dagli appassionati e dai dilettanti impreparati una incredibile palestra ove la fantasia e l’estro personale possono sbizzarrirsi a piacere - deve d’urgenza riprendere il posto elevato che le spetta nell’ambito degli studi storico-linguistici e deve respingere decisamente ogni facile tentazione di banali e inesatte soluzioni. Occorre riscoprire con acribia le collaudate metodiche della valida e sperimentata scuola d’indagine locale, cioè per esempio la precisa conoscenza delle antiche documentazioni d’archivio, l’inquadramento storico, linguistico e geografico del territorio, ma soprattutto la conoscenza approfondita della linguistica storica e delle sue leggi fonetiche.

In quest’ambito d’indagine, sarà determinante e utilissimo anche l’apporto e la conoscenza di studi toponomastici seri sulle aree circostanti il nostro territorio. Essi ci forniranno di frequente la soluzione di molti problemi, apparentemente oscuri ed insoluti. Con questa necessaria premessa improntata a prudenza e umiltà, vorremmo affrontare l’esame di alcuni toponimi dolomitici che ci hanno intrigato e da qualche tempo hanno attirato la nostra attenzione. 1. Taméi da res óres (Batt. 828, DZB. 134, AF. tav. 34), «uno dei nomi più enigmatici di tutta la regione ampezzana» (Russo 164). L’errata trascrizione fonetica del Battisti con ò aperta (òres) preclude ogni possibilità di analisi etimologica, perché le voci che essa richiama sono semanticamente lontanissime dalla realtà (òra «opera, giornata di lavoro», «òres» «alette del fuso», «òra» «corrente d’aria») e quindi improponibili. Russo traduce «vecchio tugurio, trappola delle ore», ma da un esame abbastanza approfondito della toponomastica veneta, dolomitica e trentina, non è stato possibile rilevare un solo nome di luogo che si possa far risalire al lat. hora, tranne due toponimi: Aiva de la Malóra in Valle di Zoldo (Croatto 283) e La Malóra a Falcade, in Valle del Biois (Pellegrini VB. 605), e forse anche il discusso (e problematico) Croda Marcóra o Marcuóra di San Vito di Cadore, che pare un toponimo recente (a. 1516 Saxo Magno, De Sandre 11) e che la tradizione locale vuole significhi «croda che marca, segna l’ora» (foneticamente ineccepibile, con /ó/), a mezzo di una qualche ombra proiettata sulla roccia, come annota anche il Da Ronco (173); analogamente ad altri toponimi dolomitici, come Cima Dodici, ecc...

Concettualmente interessanti sono invece tre nomi di luogo che sembrerebbero connessi con una qualche misurazione del tempo: Sas del Relòio a Fusine di Zoldo Alto (Croatto 419), un lastrone che potrebbe essere stato usato come un orologio solare, cioè una meridiana, e due toponimi cadorini: Pra del Arlòio a San Vito di Cadore (De Sandre 15) e Pra dl Arlòiu (Zanderigo 78) a Padola di Comelico Superiore, che sono legati invece all’antica consuetudine di assegnare un appezzamento di terreno al sacrestano che regolava l’orologio del campanile. Quanto a taméi, si tratta di un’antichissima voce prelatina, assai nota in tutta Enzo Croatto Osservazioni e note su alcuni toponimi delle Dolomiti Ampezzane 11 Sezion 1 • Articole Scientifiche l’area dolomitica, connessa con la base *tamara che racchiudeva in sé molti significati: «ramo, palo, stanga, capanna» e infine «trappola» (Hubschmid 1950, 23), ma va detto che nei dialetti cadorini taméi, tamài ha il valore non solo di «trappola per topi» ma pure di «trappola, tagliola per animali più grossi come volpi ed orsi». «I toponimi, e segnatamente i microtoponimi (Flurnamen) trasmettono spesso al linguista preziose informazioni, giacché essi rappresentano talvolta dei veri e propri fossili che conservano tracce di antiche fasi della lingua». (Croatto 1998 Z., 167). A questo punto crediamo di poter proporre, sulla base di una serie di comparazioni e analisi fonetiche, una ragionevole soluzione al mistero del nostro «enigmatico» toponimo ampezzano. Riteniamo che Taméi da res óres racchiuda l’antico nome dell’orso, oggi dimenticato e sostituito da orso, come attestano i toponimi ampezzani Sas de l Orso (AF. tav. 37, Russo 230n.), Pala de l Orso (AF. tav. 59, DZB. 134, Russo 123) e Busc de l Orso (AF. tav. 15, DZB. 134, Russo 180). Ciò deve essere avvenuto anche altrove, perché in tutto l’Agordino oggi l’animale è denominato ors, di contro alla presenza di toponimi che conservano l’antica voce, come Val da Lóres di S. Tomaso (Pellegrini Cord. 578); Ronch de l Óres (Pellegrini Cord. 226) e Ru da l Óres (Pellegrini Cord. 237) di Cencenighe. Ma ürsus con epentesi di e ed articolo agglutinato è ancora vivo in alcuni dialetti ladini dolomitici: S. Vito, Borca e Vodo al lóres «l’orso» (top. Pian dal Lóres e Pala dal Lóres, Borca, Forcella Forada), gard. lóres sf. (top. Plan dla Lóres, Selva e Buja dla Lóres, Ortisei), livinal. lórs f. (top. Plan da Lórs, Pallab. Liv. 1622), Marebbe laûrs f.. In antico, il toponimo doveva probabilmente essere *Tamei da(l) lóres. Con la perdita e l’oblio dell’antica forma dello zoonimo lóres, deve essere sopravvenuta una reinterpretazione del toponimo mediante distacco del presunto articolo f. pl., cioè è stato inteso come un veneto-ital. «l(e) ore» ampezzanizzato e normalizzato secondo la fonetica locale in res ores. C.F. Wolff, l’autore de I monti pallidi, citando fedelmente l’etimologia popolare allora corrente, ci fornisce quasi inconsciamente una chiave interpretativa del toponimo che a noi pare sorprendentemente verosimile e che nessuno, ci risulta, aveva segnalato prima: «Dal Cason, salendo un po’ verso il monte, si arriva ad una località chiamata Taméi da res óres cioè orologio solare. Dunque una meridiana fu qui posta certamente in antico; ma attualmente vi si trova solo una caverna di sinistra fama (mia sottolineatura)1 ». Si tratta dunque di una caverna denominata, forse in senso figurato, taméi col probabile valore di «dimora, tana dell’orso» oppure di caverna utilizzata come trappola per la cattura dell’orso, che qui probabilmente si rifugiava. L’ipotesi è affascinante e non ci pare assurda. Rimane solo da ispezionare in loco la presenza di questa «sinistra» caverna e augurarci che eventi naturali non l’abbiano distrutta. 2. A(v)eròu (Batt. 25, DZB. 27, 130; AF, tav. 43, Russo 142, Pallab. Colle 19); (N)aeròu (manca al Batt., DZB. 127, Ghedina 742, Russo 137, 138): «… è un nome che non ha ancora ricevuto una spiegazione soddisfacente…» (Russo 142). Forma cartografica moderna e anno 1564 Averau. Le perplessità del Battisti sul toponimo vengono ribadite anche da Pellegrini2 , 1 C. F. Wolff, Cortina d’Ampezzo nelle Dolomiti, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1935, pag. 23. 2 «… forse ‘pascolo riservato’, ‘bandita’ dal long. *wara ‘terreno sorvegliato’ poi ‘maggese’…». Commento al foglio XII Cortina d’Ampezzo (Atlante toponomastico della Venezia Tridentina, Firenze 1952, pag. 12, n. 10).

che tuttavia qualche anno più tardi, con un suo pregevole e breve studio3 , ci metterà sulla strada giusta per chiarire l’oronimo. Pallabazzer, a cui è probabilmente sfuggito lo studio di Pellegrini, nel 19724

si avvicina moltissimo a ciò che riteniamo sia la soluzione

corretta, e infatti nel 1981 alla fine conferma5 . La chiave risolutiva del nostro toponimo e di un gruppetto di altri (Lavaredo, Lavarone (TN), Lavarella, Lavardét e altri friulani) sta, come giustamente chiarisce Pellegrini, in alcune voci friulane molto caratteristiche: Làvare sf. «significa o dovette significare, almeno in qualche zona della Carnia, lastrone, piano roccioso assai inclinato...»; lavaréit sm. «zona rocciosa ove si ha la caratteristica disposizione degli strati in lastroni, cioè piani rocciosi assai inclinati…» (NP. 507, 508). Si tratta di una voce prelatina (forse preindoeuropea) *lavara «lastrone di roccia» (manca al REW.), che compare anche in alcune lingue e dialetti del Mediterraneo e che non ha nessun rapporto con il lat. lapis «pietra» o con labes «caduta, crollo, rovina». Riteniamo che questo significato si adatti perfettamente alla conformazione dell’oronimo ampezzano. Alla stessa maniera che Lavaredo (Auronzo) e il frl. lavaréit risalgono ad un

  • lavara + -etum e Lavarone a *lavara + onem, tutti secondo Pellegrini, con suffissi

di significato collettivo, mentre la Lavarella badiotta ha senso diminutivo, così l’oronimo ampezzano risale, secondo noi, con deglutinazione di l inteso come articolo, ad un

  • lavara + -atum con un senso aggettivale analogo a voci come l’italiano ‘dentato’, ‘lastricato’

ecc. (v. Rohlfs III, § 1128) e doveva in antico suonare come *Lavarou; mentre Naeròu non è altro che lo stesso toponimo, ma con agglutinazione della preposizione in, cioè(I)naeròu, come in altri toponimi cadorini: Nantelòu (il monte Antelao), Naunéde (Valle) e Naiarón (Vodo). È interessante invece esaminare qui l’evoluzione fonetica del suffisso - atum, -atus participiale, ma anche sostantivale e aggettivale, nei dialetti del Nord-est. Nei dialetti cadorini si hanno esiti diversi: nell’Oltrechiusa, Cibiana, Cortina, Cadore centrale (Domegge, Pozzale e Calalzo) l’esito per part. pass., sost. e agg. è -à (magnà, vardà; porteà, tabià, areà o larià) < porticatus, tabulatum, laricatum. A Lorenzago, Auronzo e Lozzo abbiamo invece part. pass. in -òu (magnòu, vardòu), ma sost. in -à. Nel Comelico si hanno tre esiti diversi: part. pass. in -ó (mangió, vardó) e sost. in -é nel Comelico Superiore (purtié, tabié, arié), ma a S. Stefano in -à ((purtià, tabià, arià). Altri dialetti: veneto centrale moderno tutto in -à, friulano -ât, pavano di Ruzzante -ò, chioggiotto -ao. Nei dialetti ladini «del Sella» si ha una prevalenza del part. pass. in -é, e sost. in -é per Livinallongo e Badia (tablé, largé), ma -à per Gardena (tublà, largià); nel fassano tutto -à (ciantà, tobià). Dunque -òu del nostro oronimo ampezzano è uno degli esiti arcaici di -atum, -atus, e ne ritroviamo traccia anche nel toponimo Pròu di Lozzo, corrispondente a Pru di S. Vito e molto probabilmente Progóito di Cortina (un «prato gotico» o «vuoto»?), tutti < pratum; parliamo ovviamente di arcaismi toponimici, perché oggi ovunque pre- 3 G.B. Pellegrini, Lavaredo - Lavarone - Lavarella, in «Archivio Storico di Belluno Feltre e Cadore», XXV n. 129, 1954. 4 «…ammettendo la discrezione della consonante iniziale… cfr. Pirona 508, lavaréit…». Pallab. Colle (DTA) n. 19, pag. 33. 5 Convergenze e divergenze tra la toponomastica ladina atesina a quella ladino-cadorina e bellunese, in La toponomastica come fonte di conoscenza storica e linguistica. Atti del Convegno della Società Italiana di Glottologia, Belluno 31 marzo, 1° e 2 aprile 1980, Giardini Editori, Pisa 1981, pag. 62. 13 Sezion 1 • Articole Scientifiche vale pra. A questo gruppo di toponimi in -òu riteniamo possa appartenere anche: 3. Noolòu, nella cartografia Nuvolau (Batt. 485 Nuvolou, Pallab. Colle 221 Nuvolau, Naulau; AF tavv. 43 e 52, DZB. 130, 131, Russo 142) che ci pare la forma più arcaica del recente noolà «rannuvolato», derivato di nóol «nuvoloso» < nubilus «nuvoloso» (REW. 5975) + atum; siamo anche confortati dalla presenza di un toponimo sanvitese Nóul, Nóol (Sòute, Crépe de -), anno 1521 Nóvol (De Sandre 12). In questo modo, contrariamente alle perplessità del Battisti («… inverosimile da nubilus…»), daremmo ragione all’Alton (v. Beiträge zur Ethnologie von Ostladinien, Innsbruck 1880, pag. 50). Quanto a: 4. Noulù (Batt. 486, AF. tav. 28, DZB. 131, Russo 82) crediamo si tratti dello stesso toponimo con risoluzione finale di -ou > ù come in Fouzàrgo (cartogr. Falzarego), pronunziato spesso Fuzàrgo. Per i nostri dialetti, veneti e cadorini, potremmo dunque tracciare diacronicamente le seguenti filiere fonetiche: -atu > -adu > -au > -ao > -ò - >-òu, ma anche -atu > -at > -ad > à. Riferimenti bibliografici

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(Belluno), Fondazione G. Cini - Regione del Veneto, Venezia-Vicenza 2004;

  • - Croatto 1998 Z. - Enzo Croatto, Esplorazioni linguistiche in Val di Zoldo (BL), in

«Archivio per l’Alto Adige» - Rivista di Studi Alpini, vol. XCI - XCII, a. 1997-98;

  • - Da Ronco - Da Ronco don Pietro, Voci dialettali e toponomastiche cadorine, Treviso,

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  • - De Sandre - Gabriele De Sandre, Notizie storiche raccolte intorno ai nomi locali

del Comune di S. Vito di Cadore, in «Archivio Storico di Belluno, Feltre e Cadore», a. XXIV-XXV, 1953-54;

  • - DZB. - Illuminato de Zanna - Camillo Berti, Monti, boschi e pascoli ampezzani nei

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  • - Ghedina - Francesca Ghedina, Contributo allo studio della toponomastica di Cortina

d’Ampezzo, tesi di laurea in Glottologia dell’Università degli Studi di Padova, a.a. 1949-50. Tesi parzialmente edita (Cortina d’Ampezzo 1998);

  • - Hubschmid 1950 - Johannes Hubschmid, Vorindogermanische und jüngere

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Pirona - Vocabolario friulano, II ediz. con aggiunte e correzioni riordinate da Giovanni Frau, Udine 1992; 14 Sezion 1 • Articole Scientifiche

  • - Pallab. Colle - Vito Pallabazzer, I nomi di luogo dell’Alto Cordevole (Colle S. Lucia,

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  • - Pallab. Liv. - Vito Pallabazzer, I nomi di luogo dell’Alto Cordevole (Livinallongo), DTA

III, parte VI, Istituto Italiano di Onomastica dell’Università di Firenze, Firenze 1974;

  • - Pellegrini Cord. - Giovanni Battista Pellegrini, I nomi locali del Medio e Alto

Cordevole, DTA, III/4, prima puntata, Firenze 1948;

  • - Pellegrini VB. - Silvio Pellegrini, I nomi locali della Val del Biois (riveduti e

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Heidelberg 1972;

  • - Rohlfs - Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi

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  • - Russo - Lorenza Russo, Pallidi nomi di monti. Camminare nel territorio delle

Regole d’Ampezzo fra linguistica natura e storia, Treviso 1994;

  • - Zanderigo - Zanderigo Rosolo don Francesco, Passeggiate ladine, Belluno 1985.