Ladin! 2005/4
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FIORENZO TOSO
IN MARGINE AL CORSO RESIDENZIALE “MINORANZE LINGUISTICHE E DIALOGO INTERCULTURALE” (SAN VITO DI CADORE, 9-11 SETTEMBRE 2005)
Si è tenuto a San Vito di Cadore tra il 9 e l’11 settembre 2005 il Corso residenziale “Minoranze
linguistiche e dialogo interculturale” organizzato dall’Istituto Ladin de la Dolomites in
collaborazione con l’Amministrazione provinciale e comunale, col patrocinio del Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e con l’appoggio del locale Consorzio di
Promozione Turistica. Il corso ha visto la partecipazione di una quarantina di iscritti. L’iniziativa è
stata realizzata con la consulenza del Centro Internazionale sul Plurilinguismo dell’Università di
Udine (CIP), diretto dalla prof. Carla Marcato, che ha curato l’organizzazione scientifica
dell’incontro sviluppando i temi proposti in un articolato programma di lezioni di due ore
ciascuna, per le quali sono stati coinvolti diversi collaboratori scientifici del CIP e altri studiosi
degli atenei di Udine e di Padova.
Aderendo alle istanze dell’Istituto Ladin de la Dolomites, il CIP ha inteso ribadire in primo luogo il proprio legame con l’ambito territoriale nel quale si incardina la sua attività, da intendersi esteso non soltanto al Friuli ma, in un’ottica di apertura transregionale e transnazionale, anche alle aree storicamente e culturalmente connesse. Importava anche ribadire l’interesse per CIP in merito al tema della minorità e dell’alterità linguistica e culturale, ambito nel quale il Centro ha sviluppato da tempo una propria articolata presenza, non limitata alla mera analisi dei fatti linguistici, ma strettamente interrelata alle istanze culturali e sociali che soggiacciono al tema di una corretta tutela e valorizzazione dei patrimoni idiomatici. In questo senso era anche importante riconoscere validità e legittimità scientifica alle diverse iniziative di promozione sorte, con la creazione dell’Istituto Ladin attorno ad un patrimonio linguistico, quello ladino-cadorino che, a dispetto dell’ammissione ai benefici della L. 482/99, fatica ancora ad essere riconosciuto come parte integrante di una “ladinità” che alcuni vorrebbero circoscritta al più limitato contesto della varietà sellane.
Certamente il problema andrebbe collocato più correttamente in una franca discussione sulle esigenze di valorizzazione dei patrimoni linguistici tradizionali indipendentemente dalle appartenenze e dalle etichette “identitarie”, ma non c’è dubbio che l’azione sviluppata dall’Istituto a favore di una più stretta integrazione tra le varietà ladine e latineggianti, lungi dall’indebolire o dal “corrompere” come alcuni paventano una concezione tradizionalmente più limitata (dal punto di vista territoriale) dell’ambito di appartenenza a questa cultura, può contribuire in maniera decisiva a una ridiscussione del ruolo storico della ladinità linguistica, da percepirsi sempre meno come “isola” di arcaicità idiomatica e sempre più come sistema integrato in una rete di relazioni dinamiche con le realtà circostanti: tutto ciò eludendo le insidie di un disegno identitario di tipo monolingue (e monoetnico!) nell’esigenza di dare un senso attuale alla realtà storia del panorama linguistico di un’area vocazionalmente interessata a fenomeni di plurilinguismo.
Proprio sui problemi di definizione del concetto di plurilinguismo si è soffermata nella conferenza di apertura, dopo gli interventi istituzionale, Carla Marcato dell’Università di Udine, che ha illustrato ai partecipanti del corso le problematiche connesse con la definizione di uno stato di fatto – l’interrelazione tra codici linguistici diversi all’interno di una stessa comunità – che coinvolge sostanzialmente qualsiasi società umana, e che rappresenta di conseguenza l’orizzonte comunicativo quotidiano degli individui e delle strutture sociali. L’esperienza empirica e la riflessione scientifica hanno del resto sfatato ormai da tempo il mito del monolinguismo quale riflesso di una “purezza” etnica e culturale, situazione quest’ultima che esula fatalmente dalla condizione umana. La valorizzazione del plurilinguismo che coinvolge una comunità minoritaria è dunque – come è emerso anche nel corso di altre relazioni – un modo per attualizzare i valori culturali che risultano o che si ritengono specifici della comunità stessa, senza il bisogno di ridisegnare per essa, in chiave mitica e autolegittimante, un’identità circoscritta a quelle caratteristiche che (spesso a torto) si vorrebbero identificare come esclusive.
Il successivo intervento di Laura Vanelli dell’Università di Padova ha contribuito a collocare correttamente la specifica esperienza plurilingue delle comunità ladino-cadorine in un continuum diatopico e diacronico che si identifica con il complesso “problema” storico e culturale della ladinità linguistica. La Vanelli ha illustrato come lo sviluppo dell’interesse scientifico per il ladino abbia contribuito alla crescita dell’identità ladina stessa, ma ha anche evidenziato come la prospettiva tradizionale di una ladinità linguistica estesa dalla pianura friulana all’alta valle del Reno risulti criticamente insostenibile. Friulano, ladino dolomitico e romancio si integrano storicamente nel gioco della circolazione linguistica in area alto-italiana come risultato di sedimentazioni arcaizzanti (prescindendo dalle innovazioni locali e dagli influssi esterni), definendo aree laterali di conservazione rispetto alla settentrionalità “padana”, per le quali le concordanze fra i tre gruppi sono meno la conseguenza di un’origine comune e separata che non il riflesso di una relittualità destinata ad assumere elementi comuni “in negativo” rispetto alle aree maggiormente influenzate dai centri innovatori.
Questa opportuna messa a punto relativizza alquanto il concetto di una “identità” comune retoromanza, ma anche lo specifico delle singole identità romancia, ladino-dolomitica e friulana, che non vanno intese quindi come conseguenza di un innato senso di appartenenza collegato a peculiarità etniche, culturali ed idiomatiche, ma come costruzione sviluppatasi nel tempo e come frutto di esigenze collettive diversamente motivate. Nicola Gasbarro dell’Università di Udine ha illustrato con brillanti argomentazioni il problematico rapporto tra “cultura” e “civiltà”, tra ethnos e cittadinanza, universalizzando lo specifico caso ladino come esempio concreto dei dilemmi della multiculturalità. Le analisi senza preconcetti dei concetti di “identità” e di appartenenza sono essenziali per ristrutturare il rapporto tra le culture e le civiltà in quest’epoca di conflitti, esulando dai casi specifici e portando a un livello speculativo raffinato lo stesso tema della tutela dei diritti culturali e linguistici, che sono tali solo se intesi dai loro stessi fruitori come elemento condiviso con gli “altri” di arricchimento culturale, col presupposto di una “cittadinanza” intesa come sistema di valori universali la cui accettazione è il presupposto stesso per legittimare la propria alterità.
La minoranza ha dunque diritto al riconoscimento della specificità linguistica all’atto in cui essa non collide con la partecipazione al sistema dei valori comuni: da queste considerazioni si è mosso Fiorenzo Toso dell’Università di Udine nel tentativo di definire il concetto stesso di “minoranza”, che implica fatalmente un rapporto dialettico con una “maggioranza”, con tutti i problemi connessi di visibilità e di legittimazione. L’intervento ha sottolineato il carattere relativo del concetto di appartenenza linguistica e quello ancor più labile di diritto alla diversità linguistica, che si è sovrapposto solo in epoca relativamente recente ad una concezione di diritto linguistico tout court basata sull’accesso al codice di maggiore circolazione e sulla sua condivisione. I problemi di costruzione identitaria si connettono così con il problema del valore sostanziale delle tradizioni linguistiche come “marcatori” di identità, che investe anche questioni tassonomiche non secondarie, come la ben nota dicotomia tra lingua e dialetto nella difficoltà di oggettivizzare le pur utili categorie di “distanziazione” e di “elaborazione” linguistica ove si prescinda dalle pulsioni politico-sociali che accompagnano qualsiasi forma di rivendicazione linguistico-culturale.
Sulle forme e i modi della tutela delle minoranze e sulle distorsioni che in qualche caso la stessa L. 482/99 ha contribuito ad alimentare è occorsa una serie di esemplificazioni ispirate al panorama nazionale e continentale, contestualizzando ancora una volta il “caso” ladino in una prospettiva più generale. Piera Rizzolatti dell’Università di Udine ha impostato a sua volta il proprio intervento come una presentazione al pubblico delle problematiche connesse con la tutela e la valorizzazione di una singola lingua minore, il friulano, per molti aspetti “contigua” alla realtà ladina. Una panoramica dell’orizzonte linguistico del Friuli - Venezia Giulia con le sue frange slovene, le isole germanofone, le diverse relittualità di tipo veneto, l’articolata realtà dialettale interna del friulano è servita per fare il punto, in un commento critico serrato, sullo stato di salute della lingua minoritaria e sull’efficacia degli interventi in suo favore, individuando le connessioni – ma anche le contraddizioni – che si impongono tra una sensibilità diffusa per il destino del patrimonio linguistico regionale e iniziative portate avanti ai diversi livelli, di volta in volta accolte con entusiasmo o con aperta diffidenza dalla base friulanofona.
Il caso del friulano denota la relazione che passa tra senso di appartenenza, sua gestione politica e iniziative di tutela nel contesto di realtà minoritarie “forti” e consolidate nella prassi dei processi rivendicativi: un modello che per risultare proponibile per il ladino cadorino richiederà l’impegno delle strutture culturali di cui la minoranza si sta dotando. Sul piano più strettamente didattico si è basato l’intervento di Silvana Schiavi Fachin dell’Università di Udine, che ha illustrato i pregi (e le difficoltà) dell’educazione plurilingue in contesti minoritari, portando l’esperienza friulana (esemplificata da elaborati prodotti dalle scuole della regione) come caso di applicazione delle moderne tecniche glottodidattiche presso strutture educative caratterizzate dalla compresenza di una lingua minore, di un idioma ufficiale e di una o più lingue straniere delle quali si propone l’apprendimento. La dimostrazione delle potenzialità insite in un metodo di insegnamento linguistico contrastivo e plurilingue apre prospettive di riflessione sulla proposta agli alunni dell’identità linguistica locale non solo come serbatoio di idealità connesse al loro vissuto quotidiano, ma anche come chiave d’accesso a strumenti linguistici di maggiore diffusione.
La partecipazione attenta degli iscritti, la ricchezza del dibattito, a volte appassionato, sviluppato al termine di ciascun intervento, la consapevolezza dell’urgenza dei temi e dei problemi dibattuti dai relatori con notevole sforzo di sintesi e divulgazione rigorosa non hanno impedito il crearsi, durante le tre giornate del corso, di un clima di affiatamento e simpatia tra i partecipanti, gli organizzatori e i docenti, fatto questo che lascia bene sperare nel prosieguo dei contatti e delle iniziative comuni tra l’Istituto ladin de la Dolomites e il Centro Internazionale sul Plurilinguismo, sempre in quell’ottica di “incontro” sul territorio tra sensibilità e competenze destinate a consolidarsi ed arricchirsi reciprocamente nel rapporto tra ricerca specialistica e attività di quanti sono sinceramente interessati a un’opera di recupero e promozione intelligente dei patrimoni linguistici. In questo senso il corso di San Vito di Cadore (con la simpatica appendice di uno spettacolo folkloristico del Gruppo Costumi Storici di San Vito e del gruppo di ballo Chi riede d’Oltreciusa) ha raggiunto perfettamente, intanto, gli scopi per i quali è stato concepito.