Enzo Croatto

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Enzo Croatto


TOPONOMASTICA E DIALETTI


In un Paese come il nostro, così ricco di varietà dialettali e definito da taluni studiosi stranieri assai efficacemente, a buon diritto, "il paradiso dei dialettologi", è quasi un'ovvietà affermare che esiste uno stretto rapporto tra la toponomastica, specie quella minore o microtoponomastica, e le parlate locali.

Ciò è evidente ancor oggi, vagabondando per i nostri paesi e le nostre valli e interpel- lando i nativi, possibilmente anziani, sulle denominazioni locali del territorio in cui vivono da secoli.

Scopriremo così con stupore che non si è ancora persa la memoria del toponimo nella sua veste dialettale più schietta e spesso di significato trasparente, nonostante il con- siderevole livellamento, più o meno riuscito, esercitato anche inconsciamente dalle autorità statali e dai mappatori e cartografi dopo l'unità d'Italia.

La necessità improrogabile di unificare un paese tanto vario per cultura, storia e tra- dizioni, oltre che lingua, impose allora di soprassedere alle peculiarità locali. Questo processo di rapida e frettolosa italianizzazione dei nomi di luogo, produsse talvolta e malauguratamente errori d'interpretazione e trascrizione - spesso continuati fino ai giorni nostri - che alterarono sostanzialmente la forma e il significato del toponimo stesso.

Ad aggravare la situazione contribuì il fatto che ciò avveniva in un periodo storico in cui un diffuso analfabetismo affliggeva larghe fasce della popolazione italiana, portatrice tuttavia di una ricca cultura orale saldamente legata alla terra e che, fortunatamente per noi, ha conservato gelosamente e ci ha trasmesso un inestimabile patrimonio lessicale e toponimico. Ogni famiglia, infatti, tramandava oralmente, di padre in figlio, con affettuosa cura e nella parlata nativa, le infinite denominazioni del territorio: prati, campi, boschi, valli, pascoli e corsi d'acqua, fonti essenziali di sostentamento e di sopravvivenza.

Ma negli anni in cui nasceva lo Stato unitario italiano, muoveva anche i primi incerti passi la dialettologia, figlia della linguistica storica, che sarebbe poi divenuta, unitamente alle discipline storiche e naturalistiche, un supporto essenziale per i futuri studi toponomastici. Il toponimo studiato ed esaminato con metodo scientifico svelava a poco a poco i suoi misteri e diventava di significato trasparente. Essendo la testimonianza viva della popolazione o delle popolazioni che si sono succedute sul territorio, il nome di luogo è anche chiaramente la testimonianza storica della lingua di quel popolo. Di qui l'importanza fondamentale della veste dialettale schietta del toponimo, non solo per una corretta ricerca etimologica ma anche per correggere, se necessario, gli errori nei quali sono incorsi i cartografi del passato.

La conoscenza della parlata locale e l'esame delle attestazioni documentarie antiche, unite ad una attenta indagine "in loco", costituiscono gli elementi fondamentali di un serio studio toponimico. Assai spesso accade che la forma dialettale del nome locale rispecchia fedelmente e conferma la forma attestata nel documento antico. Ma il toponomasta deve anche possedere una buona conoscenza della fonetica, cioè conoscere le leggi fonetiche che illustrano l'evoluzione dei suoni avvenuta nel corso dei secoli, giacché il lessico è soggetto ad usura e spesso ad estinzione, non essendo le lingue delle strutture statiche e immutabili. Così l'oscurità di taluni nomi di luogo odierni è dovuta alla scomparsa ed oblio di molte parole.

Parole che certamente dovevano essere di uso comune e quotidiano un tempo, sono oggi per noi dei fossili: fiès (oggi top. di Calalzo, Lozzo, Pieve, Valle e Vodo) col significato di "curva di strada o corso d'acqua", dal lat. flexus; borda, bòrea (Borea, Venas, Cortina are, Comelico, Agordino, Zoldo, Val Badia) "biforcazione" dal lat. bifurca; bàrco (Domegge, Calalzo, Vigo, S. Vito, Venas, Comelico, Zoldo; forse as- sente a Cortina) "piccolo fienile di montagna" di origine prelatina; cé(v)a (Borea, S. Vito, Cibiana, Vinigo, Vodo, Zoldo, Agordino ecc.) "pendio, strada ripida" dal lat. volg.

  • cleva, per diva, f. di clivus; re(v)ìs, ruis (Lozzo, Cibiana, Cortina, Domegge, Caralte,

Zoldo, Colle S. Lucia, Livinallongo) "terreno franoso" da un agg. *rovicius a sua volta dalla voce prelatina *ro(v)a; ciàupa, ciòupa, ciòpa (pare assente a Cortina; S. Vito, Pozzale, Valle, Domegge, Lozzo, Vigo, Venas e Comelico) "viottolo erto e sassoso" di origine prelatina da confrontare con il friulano clàupe id. e clap "sasso"; corta, gortà (S. Vito, Vodo, Calalzo, Peaio, Lorenzago, Borea, Comelico; pare assente nell'ampez- zano) "campo o terreno recintato" dal lat. *cortale, derivato di cohors (corte, cortile); staulin (S. Vito, Borea, Valle, Cibiana, Cortina) "piccola stalla" dal lat. *stabulinum; gèi, ièi, (Borea, Calalzo, Pozzale, Cibiana, Domegge, Cortina) "campagna (un tempo forse recintata)", dal longobardo gahagi "siepe, recinto" (ted. mod. Gehege); rezuó, rizió (Vodo, Calalzo, Auronzo), doveva significare quasi "rivuzzolo", cioè "torrentel- lo", dal lat. *rivuceolus, come pezuó "abete" che deriva da *piceolus "piccolo abete"; aghèi, spesso scritto laghèi per assimilazione dell'articolo (l'aghèi) e accostamento a "lago" (Lozzo, Comelico, Auronzo, Cortina are, Livinallongo, ecc.), "sorgente", dal lat.

  • aquarium (cfr. friulano carnico agài, gài "rivolo" e friulano centrale agàr "solco"),

le Agaròle di Pieve e le Agaròles di Cortina non sono che derivati di aquarium + il suffisso -eolus: al f. *aquareolae; autì(v)a, otìa (Cibiana, Pozzale, Danta, Calalzo, Lorenzago, Laggio) "tesa, uccellanda", dal lat. altilia, da alére "alimentare" (v. G.B. Pellegrini, "Studi di etimologia, onomasiologia e di lingue in contatto", p. 95). Queste antiche parole dialettali scomparse dall'uso sono dunque importanti per noi, non solo per il significato che ci trasmettono, ma anche perché sono testimonianza di parole latine non penetrate nella lingua italiana e indizi di antiche popolazioni (Celti, Veneti antichi latinizzati, Germani, popoli preindoeuropei) che hanno lasciato tracce, come si vede, nelle nostre arcaiche parlate.

Uno studio serio e approfondito dei nostri arcaici dialetti dolomitici e della loro storia linguistica, attraverso i numerosi strumenti scientifici che oggi possediamo (lessici dialettali, studi di eminenti linguisti, documentazioni antiche), ci permette di correggere talune sgradevoli storture e incongruenze della nostra toponomastica, dovute per lo più a ignoranza. Come per esempio la sciocca tendenza moderna, nata forse da motivazioni snobistiche, di ritrarre l'accento in alcuni famosi toponimi come: Vàles (Passo -) anziché Valés (dal lat. vallensis), Mùlaz (monte) anziché Mulàz (dal lat.

  • mulaceus nel senso di "tondeggiante a schiena di mulo") in Val Biois, Nèvegal per

Nevegàl presso Belluno, Vàiolet per Vaiolét (dal lat. *valleus + -ittus). Talora però ci pare si tratti di consuetudini accentuative locali e non frutto di recenti mode importate. Ci riferiamo per esempio al toponimo ampezzano che il Battisti trascrive nel suo studio 34 Pezoriés e che oggi viene detto ra Pezorìes con ritrazione d'accento. Ebbene noi riteniamo che quella del Battisti sia la forma corretta, perché le forme d'archivio ci danno: anno 1546 Pezoleto, Pezoliedo, Masc de Pezorié, anno 1808 Pezolié 3S , dunque da *piceoletum, cioè da *piceolu ("pezuó") + suff. collett. -etum, con normale rotacismo della -1- intervocalica (come in pezorèla "conifera morta in piedi" doppio diminutivo: picea + -eolu + -ellu) : pezolié > pezorié + pi. -s = Pezoriés "abetaie". Un caso analogo ci pare Stounìes, che andrà letto e corretto, secondo noi, in Stouniés, cioè stòuno + suff. -etum + pi. "boschetti di alberi da foglia". Come si vede, un attento studio dei suffissi dialettali - assai numerosi e caratteristici nei nostri dialetti - permette spesso di rilevare anche altre stranezze. Un esempio paradigmatico è l'altro toponimo ampezzano Pianòzes, chiaramente errato. Chi conosce il ladino ampezzano sa benissimo che esiste il suffisso -òzo, corrispondente grosso modo all'italiano -occio, -ozzo (grassoccio, belloccio, bamboccio, Michelozzo, ecc.) che deriva dal lat. volgare -óceus e ha valore diminutivo peggiorativo, es.fiòzo, teròzo, radijòzo. Pianòzo è dunque un "piccolo (brutto?) pianoro" che al pi. suona i pianòze; a riprova di ciò c'è la vecchia forma italianizzata i Pianozi 36 che chiarisce definitivamente il genere maschile pi. del toponimo. Pianòzes sarebbe il pi. f. di un inesistente Pianòzal

Assai divertenti per taluni, ma indisponenti per altri, sono i curiosi aspetti che assu- me un noto toponimo ampezzano scritto nei modi più disparati: Lago Scin 37 , Lagoscìn


34 Carlo Battisti - / nomi locali della Comunità d'Ampezzo, DTA voi. Ili, parte III, Roma/Bolzano 1947, pag. 140.

35 Illuminato De Zanna - Libro di S. Caterina: nomi di località, (1546) in "Due Soldi" n° 9 settembre 1972, anno Vili, pag. 9.

36 Illuminato De Zanna - Camillo Berti - Monti, boschi, pascoli ampezzani, Bologna 1983, pag. 143.

37 Illuminato De Zanna - Camillo Berti - op. cit, pag. 165.


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35 (Battisti op. cit. 399), Lago Sin 38 , Lagusìn e Lacusìn 39 . Le attestazioni d'archivio dovrebbero invece illuminarci sulla natura del nome di luogo: a. 1365 clesura de Lagusino 40 , a. 1546 Lagusìn 41 . Si tratta chiaramente di un doppio diminutivo di "lago" che se volessimo (e non me lo auguro) italianizzare suonerebbe come "laguc- cino", giacché è composto di lacus + suff. -uceus (ital. -uccio, -uzzo, ampez. -ùzo, v. perùzo, pedùzo, cogolùzo, ecc.) + suff. -inus.

E' diffusa, purtroppo anche tra persone fornite di laurea (non solo in lettere!), la falsa credenza che il dialetto sia una corruzione dell'italiano, ignorando completamente il fatto che esistono grammatiche e vocabolari dialettali di ottima qualità. Proprio di recente è stata pubblicata una concisa e pratica grammatica ampezzana 42 , che forni- sce ottime basi a chi vuole avvicinarsi a questa bella parlata ladina. Dispiace quindi trovare in pubblicazioni edite da centri culturali alpini molto noti e che si occupano anche di toponomastica, errori di stampa grossolani che, non percepiti dai profani, rischiano di essere trasmessi pari pari a studi scientifici seri: ".i brujàdes = 'zona di terreno arso', al singolare brujàde esiste come aggettivo ma non usato come termine geografico" 43 . Il testo, errore di stampa a parte, è ambiguo perché non dice chiara- mente che il singolare è brujà - participio passato sostantivato ("il bruciato") con il valore sopradetto e che fa al pi. m. brujàde (e non brujàdes, che è f. pi); peraltro il sg. è presente anche in alcuni top. el Bruzà, Bruzà de Zuóghe 44 e con il suo diminutivo Brugiadèl 45 .

Dicevamo dell'enorme importanza dei suffissi in toponomastica. Essi conferiscono spesso un significato preciso al nome, ma talvolta sono ambigui e traggono in ingan- no lo studioso che fatica parecchio per decifrarne il senso, anche se in aiuto ci viene quasi sempre il suffisso latino corrispondente. Un caso noto di ambiguità è il cadorino -àto, f. -àta (dal lat. -attus, ital. -àtto, es. cerbiatto, ecc.) assai diffuso in tutti i dia- letti dell'Italia settentrionale. Oggi è sentito per lo più come peggiorativo: omenàto,


38 Fiorenzo Filippi -Atlante del territorio silvo-pastorale delle Regole e del Comune di Cortina d'Am- pezzo, Primiero 1985, tav. 37 pag. 105.

39 Lorenza Russo - Pallidi nomi di monti, Treviso 1994, pagg. 89, 96 e 228.

40 Francesca Ghedina - Contributo allo studio della toponomastica di Cortina dAmpezzo, tesi di lau- rea in glottologia dell'Università di Padova, anno accademico 1949-50, n° 720, pag. 100. Tesi parzial- mente edita (Cortina d'Ampezzo, 1998).

41 Illuminato De Zanna - op. cit, pag. 9.

42 Comitato Grammatica Regole d'Ampezzo - Grammatica Ampezzana, Athesia Bolzano 2003.

43 Oronimi bellunesi - Ampezzo - Auronzo -Comelico, quaderno scientifico n° 3 della Fondazione G. Angelini di Belluno, C.L.E.U.P. Padova 1993, pag. 79.

44 Francesca Ghedina - op. cit., pag. 83.



femenàta, librato, stradata, ecc., ma in realtà il suo significato primitivo è diminu- tivo, come i suffissi simili -éto e -oto. Lo si vede peraltro nelle voci bi§àto (o bijàtó) "anguilla", botato "botticella", to§àto, schiràta (o sghiratà) "scoiattolo", ma ancor di più forse nella toponomastica arcaica e schietta. E' impensabile infatti che i nostri avi - pressati dalle dure necessità della sopravvivenza in queste valli -, abbiano avuto la voglia o il tempo di lasciarsi andare a considerazioni oziosamente estetiche, come i romantici talvolta credono: questo bosco, questo prato, questo corso d'acqua è bello o brutto? Mi piace o non mi piace? E' dunque evidente per noi considerare autentici diminutivi i vari Pradàto, Boscàto, Roncato, Pontàto, Lagàto, Cianpàto, Federata, Roiàto sparsi un po' ovunque in tutto il Cadore. Persisterà forse qualche dubbio per toponimi come: ra Cia§àtes, i Murate e i Sasàte che potrebbero essere davvero "ca- sacce", "muracci o murazzi" e "sassacci".

Vorrei concludere esortando coloro che desiderano occuparsi dell'interpretazione dei nomi di luogo, di essere umili e pazienti, perché la toponomastica è una disciplina severa che esige studio e perseveranza. Accanto a bellissimi nomi che chi conosce il dialetto interpreta con estrema facilità, come Daga del Pastór, Fontana de la Zèrva, Ru de la Monte dal Fén, Tania de la Ruóibes (Borea) oppure Fontana del Cresción, Lainòres, Lùda del Brujà, Rufiédo (Cortina d'Ampezzo) ci dobbiamo cimentare an- che con veri e propri enigmi toponomastici come Nighelònte e Varvéi di Cortina o Bèutre e Sènes di S. Vito.


45 Illuminato De Zanna - Camillo Berti - op. cìt, pag.43.


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LADINI


Rivista ufficiale dell'Istituto Culturale delle Comunità dei Ladini Storici delle Dolomiti Bellunesi