Maria Giacin

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La provincia di Belluno tra specificità territoriale e minoranze linguistiche
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La provincia di Belluno tra specificità territoriale e minoranze linguistiche

Maria Giacin


1.1. Il contesto territoriale e il ruolo della formazione.

L'osservazione degli attuali fenomeni di urbanizzazione e di spopolamento del territorio dell'arco alpino induce a prendere atto dell'esistenza di spinte demografiche tra loro contrastanti: ad aree con indici consistenti di urbanizzazione si contrappongono aree in fase di abbandono.

Il paesaggio sta assumendo una nuova fisionomia. Per secoli è stato curato da un lavoro di manutenzione paziente e sapiente che è stato in grado di mantenere un giusto equilibrio tra un eccessivo sfruttamento e forme di sottoutilizzo. L'area che registra un più alto grado di problematicità è quella delle Alpi orientali. Infatti dal 1921 il calo della popolazione è stato progressivo.

L'analisi del contesto territoriale della provincia di Belluno, con riferimento ai dati del recente censimento ISTAT (anno 2002), ci consente di quantificare il fenomeno del calo demografico: nel 1991 la popolazione della provincia contava 212.085 abitanti, scesi con l'ultima indagine a 209.033. Le aree più penalizzate sono rappresentate dai Comuni di alta montagna, in particolare Cibiana di Cadore, Comelico Superiore, Cortina d'Ampezzo e Gosaldo.

Un movimento di controtendenza rispetto a quello descritto è costituito invece dal recente fenomeno dell'immigrazione di popolazioni straniere, che si insediano nel territorio montano per ragioni di lavoro, spesso in fabbrica. Riferendoci ai dati forniti dalla Questura di Belluno, oggi registriamo una presenza di 9.206 stranieri, in possesso di regolare permesso di soggiorno 129 .

I recenti ingressi hanno dato un nuovo volto anche alle aule scolastiche, che ospitano tra i banchi studenti di ben 49 nazionalità. Le più diffuse sono l'albanese, la marocchina, la croata e la cinese.

Gli insediamenti più numerosi si registrano nel Feltrino, a Quero, e nel Cadore, a Lozzo, dove in virtù di una presenza diffusa di fabbriche hanno trovato facile accoglienza africani, asiatici ed europei dell'Est.

L'osservazione si completa tenendo conto della presenza delle minoranze territoriali storiche: 60.227 Ladini, e 5.579 Germanofoni.

Un quadro dunque quanto mai variegato, che rappresenta un'esemplificazione, su piccola scala, dei complessi movimenti demografici da cui è interessato l'intero territorio europeo, ed in particolare quello montano.

Il sistema scolastico bellunese fa capo attualmente a 49 istituti statali e 7 paritari, per un totale di 27.862 studenti di cui 1.144 stranieri 280 . Una particolare rilevanza formativa hanno assunto, dal 1997 ad oggi, anche i Centri Territoriali Permanenti per l'educazione degli adulti, che promuovono soprattutto corsi di alfabetizzazione in lingua italiana, a cui accedono per lo più stranieri, corsi di lingua inglese, ma anche araba e russa, e corsi di informatica. Nella provincia tali Centri sono tre: a Belluno, a Pieve di Cadore e a Quero, coordinati dai rispettivi dirigenti scolastici del territorio. Essi rappresentano una sorta di termometro che registra l'indice dell'interesse della società adulta a riprendere gli studi, ad incanalarsi in percorsi culturali che favoriscono processi di socializzazione e spesso di rientro nella società con un ruolo attivo. Ebbene, una corretta ed efficace politica di difesa, che sia ad un tempo politica di tutela, conservazione ed accoglienza delle nuove istanze demografiche, sociali, politiche e culturali del territorio di montagna, passa, a mio vedere, anche e soprattutto attraverso nuove politiche di educazione, formazione ed istruzione delle giovani generazioni, di cui devono farsi carico in forma sinergica le istituzioni locali, in una ottica progettuale che le porti a collaborare assieme per la sopravvivenza di un dinamico ed ospitale territorio abitato.

Ed una progettualità organica, costruita in chiave interistituzionale, deve poter prevedere chiari e realistici obiettivi a breve, a medio e a lungo termine. Ciò che preoccupa particolarmente le autorità scolastiche è il fenomeno dell'abbandono degli studi da parte dei giovani, fenomeno già registrato su scala nazionale, con alti indici rispetto agli Stati europei più avanzati.

Anche i giovani che vivono in montagna, infatti, preferiscono spesso il lavoro allo studio, i soldi in tasca piuttosto che l'acquisizione di un capitale intellettuale. E' questo sicuramente un sintomo di sofferenza dell'intero tessuto sociale. Se ad esso affianchiamo nell'analisi anche il trasferimento in pianura, per ragioni professionali, di un'alta percentuale di giovani laureati nati in montagna, il quadro che ci risulta presenta un depauperamento progressivo, un autentico spopolamento. Come contrastare questa fuga e perdita del capitale umano?

Innanzitutto con un'assunzione di consapevolezza politica, e di condivisione culturale diffusa, del carattere di specificità del territorio montano, con il riconoscimento del privilegio che può costituire oggi il vivere in montagna e di montagna. Le nuove generazioni, mi riferisco in particolare alla scuola dell'infanzia e alla scuola primaria dove è più facile incidere sul piano formativo, dovrebbero essere educate nella convinzione che non vivono in territori poveri e sguarniti di servizi, ma in aree che competono, sotto il profilo della qualità dei servizi e dell'offerta di formazione e di lavoro, con quelle della pianura.

Per questo la politica locale, regionale, statale ed europea dovrebbe considerare che l'investimento di risorse finanziarie quantitativamente superiori a quelle destinate ad aree non montane diventa appagante sotto il profilo della difesa del territorio. Un territorio che ha il diritto di sopravvivere, sia in quanto portatore di una cultura di vita che costituisce un valore intrinseco, sia in quanto si colloca come fondamentale fattore di confronto per la cultura di pianura.

Dal momento che ne va della sopravvivenza del territorio, occorre puntare ad una scuola di qualità, in grado di reggere e contrastare le offerte della pianura; ad una formazione che miri, da un lato, a salvaguardare mestieri e professioni, capaci di assecondare le tradizioni e la cultura locale, dall'altro, a valorizzare il territorio con nuove professioni, da inserire in un contesto ancora inedito di esaltazione della specificità del patrimonio naturale 331 .

Penso anche alla possibile nascita di laboratori scientifici di alta qualità, creati in funzione della difesa dell'ambiente e alla predisposizione di attività di prevenzione dei fattori inquinanti. Laboratori che possano porsi a servizio della tutela dell'intero territorio dell'arco alpino. Sotto questo profilo, sull'esempio di quanto già diffusamente realizzato nei piani di studio delle scuole nordiche, ritengo importante che si debba e si possa guardare al territorio della provincia di Belluno come luogo ideale per promuovere centri universitari di studio dell'educazione all'ambiente, alla salute, alla bioetica.

1.2. La lingua: strumento di identità e conservazione.

La cultura occidentale europea, considerata nell'evoluzione storica di questi ultimi due millenni, ha sempre conosciuto il fenomeno dell'immigrazione. Si può dire che essa sia il risultato di un continuo intrecciarsi di flussi migratori, un processo di progressivo meticciamento.

Oggi il fenomeno del contagio e delle fusioni tra popoli, lingue e culture diverse sta, tuttavia, assumendo proporzioni nuove e sta non solo provocando la dilatazione dei confini territoriali, ma anche la ridefinizione delle coordinate dello spazio e del tempo. All'orizzonte si sta delineando uno scenario sociale, politico, economico e culturale con un alto indice di complessità. Rispetto a tale complessità il multilinguismo è uno fra i molti possibili fattori di esplorazione e di indagine dell'attuale natura dell'identità europea.

Soffermiamoci brevemente a riflettere su alcuni dati che ci consentono di tracciare, seppur brevemente, una perimetrazione del tema proposto.

I linguisti sostengono che il numero delle lingue parlate sulla terra sia di circa 6.000, di cui la metà in fase di estinzione nei prossimi 50 anni.

In Europa sarebbero circa cinquanta le lingue in pericolo, in qualche caso seriamente minacciate o prossime alla scomparsa.

Accanto alle lingue ufficiali 432 si colloca una miriade di lingue cosiddette minoritarie, che ciascuno Stato ospita al proprio interno sotto una duplice forma, o di lingue minoritarie riconosciute dallo Stato, e parlate da comunità territoriali di lungo insediamento storico, o di lingue sempre minoritarie o regionali però non riconosciute, parlate da comunità cosiddette storiche o di recente insediamento. Si pensi, per l'Italia, alle numerose comunità di origine balcanica, albanese, marocchina e cinese, insediatesi recentemente.

Ebbene, la Costituzione italiana nel suo articolo 6 afferma che "La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche", e la legge-quadro 482 del 1999 riconosce, accanto alla lingua ufficiale che è l'italiano, ben 12 lingue minoritarie: "In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei ed internazionali la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo". In materia di lingue minoritarie il riferimento europeo è la "Carta Europea delle lingue regionali e minoritarie", approvata dal Consiglio d'Europa il 5 novembre 1992 e, da allora, aperta alla firma degli Stati. Non troviamo nella "Carta" un elenco delle lingue minoritarie e regionali parlate, ma l'indicazione di alcuni criteri guida che consentono la loro individuazione.

La "Carta" è stata elaborata in base ai risultati della ricerca Euromosaic commissionata all'Istituto di Sociolinguistica catalana di Barcellona e al Centro ricerche del Galles di Bangor. I risultati di tale ricerca sono stati pubblicati nel 1996.

La legge italiana 482 del 1999 riporta nel proprio elenco, come lingue minoritarie, quelle proposte dallo strumento tecnico Euromasic.

Viene spontaneo chiedersi come mai nell'elenco non vi siano citate lingue regionali o minoritarie di assoluto valore storico e culturale, quali il veneto, il siciliano e il napoletano, ma senza addentrarci in questa questione, sulla quale per altro si sta da tempo dibattendo con l'intento di proporre una correzione o integrazione della legge, va sottolineato il significato assunto dalle cosiddette lingue di confine o di frontiera quali lo sloveno, il friulano, il francese, il germanico 533 .

Pensiamo al Veneto. Il carattere di complessità che si desume dall'analisi delle macrostrutture linguistiche e culturali che si snodano lungo le traiettorie europee o nazio- nali, emerge in maniera ancor più eclatante se guardiamo ad una realtà regionale. Propongo ora la perimetrazione di un campo tematico più facilmente circoscrivibile. Il Veneto conta attualmente, secondo il censimento ISTAT 2001, 4.490.586 abitanti, mentre l'ammontare dei cittadini stranieri, secondo gli ultimi dati disponibili, aggiornati al 31 dicembre 2000, è di 141.160 .

Ebbene nella provincia di Belluno, territorio di confine e montano, accanto all'italiano troviamo il ladino, il germanico nella versione cimbra dell'Alpago e in quella plodarisch di Sappada, e le lingue di una cinquantina di nazioni, parlate dagli stranieri di recente immigrazione.

Un panorama quanto mai ricco e variegato, all'interno del quale si stagliano comunità di antico insediamento storico accanto ad altre di recente ingresso. Ma si tratta forse di una torre di Babele, in cui non ci si comprende e ci si guarda reciprocamente con diffidenza e senso di smarrimento oppure riscontriamo, guardando allo sviluppo storico anche solo di questi ultimi decenni, un impegno culturale e sociale finalizzato alla comprensione, alla conoscenza e alla valorizzazione di ciò che appare diverso ed estraneo?

Come si concilia la necessità, intrinseca allo sviluppo della macroidentità europea, di acquisire la conoscenza della lingua inglese, come veicolo di comunicazione internazionale, con l'esigenza che porta a difendere la microidentità locale salvaguardando, ad esempio, la cultura e la lingua ladina, o cimbra o friulana?

Colloco al centro di questa problematica, un assunto, tratto dalla vicenda personale ed intellettuale di Simone Weil, dal quale credo non si possa prescindere nel momento in cui analizziamo le strategie di soluzione di una conflittualità latente che rappresenta, per molti aspetti, una fase di crescita e di sviluppo dell'intera nostra civiltà europea:

"Chi è sradicato sradica. L'unico destino dello sradicato è quello di agire in termini sradicanti". E' un appello che la filosofa ebrea ha lanciato dai campi di concentramento nazisti, ma che risuona sempre vivo e attuale, perché sempre viva e tragicamente attuale è la volontà di dominio e di potenza su chi è debole, disarmato e affamato. Qual è la radice fondante che dà stabilità all'uomo, che lo rende riconoscibile come uomo?

La sua parola, la sua possibilità di comunicazione, il suo essere stato, un tempo, accol- to e il suo essere diventato, nel corso dell'evoluzione del suo tempo storico, capacità di accoglienza di se stesso e dell'altro.

Allora la radice è anche e soprattutto la propria lingua, l'humus primordiale che ha rappresentato il primo veicolo di trasmissione della nostra affettività, della nostra capacità di restituire l'amore ricevuto.

Se questo è vero, il nostro dovere e diritto di uomini è quello di custodire e proteggere dalle insidie esterne, dalle violenze gratuite, quanto più sorde e striscianti, le tante identità linguistico-culturali di cui le nostre comunità danno testimonianza, perché questo atto del prendersi cura del proprio senso di appartenenza viene a rappresen- tare un presupposto imprescindibile per riconoscere il significato del diverso, fino ad arrivare ad una sua piena valorizzazione.

Le aree di territorio montano rappresentano un osservatorio privilegiato, perché esse, nella maggior parte dei casi hanno, lungo i secoli, spontaneamente custodito tradizioni, cultura, lingue "altre" rispetto a quelle ufficiali, esprimendo un felice connubio tra cultura ufficiale e cultura minoritaria.

La difesa e la costruzione della pace passa, prima di tutto, attraverso la forza e la qualità dei processi di educazione, istruzione e formazione che vedono in prima linea la scuola, da considerare quale realtà complessa radicata nel proprio territorio, in grado di contribuire in forma determinante allo sviluppo socio-economico-ambientale, in collaborazione con le locali forze politiche e sociali.

E' un processo complesso, perché è fondamentalmente il processo di costruzione di una società del pensiero, che sia in grado di assumere dentro di sé come valore indiscusso quel bagaglio di cultura plurimillenaria che lo storico Fernand Braudel definisce essere "la materia grigia dell'Europa".

  1. 29 Mi riferisco ai dati dell'Ufficio stranieri della Questura di Belluno, con riferimento al censimento aggiornato a giugno 2004.
  2. I dati, aggiornati a marzo 2004, fanno riferimento all'attività di monitoraggio dei flussi migratori de- gli studenti stranieri nella provincia di Belluno a cura del Centro servizi amministrativi. Per osservare su scala regionale i movimenti degli studenti stranieri cf'r. Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca-Ufficio scolastico regionale per il Veneto-Direzione generale, La scuola veneta. Una realtà in movimento , Venezia 2003, p. 24.
  3. Particolarmente significative, a questo proposito, le analisi di Werner Baetzing, docente dell'Università di Erlangen (Germania), incaricato dal Ministero dell'ambiente di Berlino di indagare lo status quo del territorio alpino, dalla Svizzera alla Slovenia. Cfr. W. Baetzing, I processi di trasformazione di ambien- te, economia, società e popolazione attualmente in corso nelle Alpi , Umweltbundesamt, Berlino 2002.
  4. Cf'r. AA.VV., 2001, L'insegnamento delle lingue straniere in alcuni paesi dell'Unione europea, I qua- derni di Eurydice, nr. 20.
  5. Cf'r.Angelo Tabaro, pp. 14-15, in AA.VV., 2001, Notiziario bibliografico, periodico della Giunta regio- nale del Veneto, nr.38, a cura della Giunta regionale del Veneto.