<dc:title> La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze </dc:title>
<dc:creator opt:role="aut">Benvenuto Cellini</dc:creator>
<dc:date>1558</dc:date>
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20110420232830
Mi prese con le sue mane, e levommi con gran piacevolezza di ginocchioni; di poi mi disse che io dovessi contentarmi di servirlo, e che tutto quello che io avevo fatto era buono, e gli era gratissimo. E voltosi a quei Signori disse queste formate parole: - Io credo certamente che, se il Paradiso avessi d’aver porte, che piú bella di questa già mai non l’arebbe -. Quando io viddi fermato un poco la baldanza di quelle parole, quale erano tutte in mio favore, di nuovo con grandissima reverenza io lo ringraziai, replicando pure di volere licenza; perché a me non era passata ancora la stizza. Quando quel gran Re s’avvidde che io non aveva fatto quel capitale che meritavono quelle sue inusitate e gran carezze, mi comandò con una grande e paventosa voce che io non parlassi piú parola, ché guai a me; e poi aggiunse che mi affogherebbe nell’oro, e che mi dava licenzia, che, dipoi l’opere commessemi da Sua Maestà, tutto quel che io facevo in mezzo da per me era contentissimo, e che non mai piú io arei diferenza seco, perché m’aveva conosciuto; e che ancora io m’ingegnassi di cognoscere Sua Maestà, sí come voleva il dovere. Io dissi che ringraziavo Idio e Sua Maestà di tutto, di poi lo pregai che venissi a vedere la gran figura, come io l’avevo tirata innanzi: cosí venne appresso di me. Io la feci scoprire: la qual cosa gli dette tanta maraviglia, che immaginar mai si potria; e subito commesse a un suo segretario, che incontinente mi rendessi tutti li danari che di mio io avevo spesi, e fussi che somma la volessi, bastando che io la dessi scritta di mia mano. Da poi si partí, e mi disse: - Addio, mon ami -: qual gran parola a un re non si usa.