La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo XIX

Libro secondo
Capitolo XIX

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Era in questo giunto il maravigliosissimo bravo Piero Strozzi; e ricordato al Re le sue lettere di naturalità, il Re subito comandò che fussino fatte. - E insieme con esse - disse - fate ancora quelle di Benvenuto, mon ami, e le portate subito da parte mia a sua magione, e dategnene senza nessuna spesa -. Quelle del gran Piero Strozzi gli costorno molte centinaia di ducati; le mie me le portò un di quei primi sua segretari, il quale si domandava messer Antonio Massone. Questo gentiluomo mi porse le lettere con maravigliosa dimostrazione, da parte di Sua Maestà, dicendo: Di queste vi fa presente il Re, acciò che con maggior coraggio voi lo possiate servire. Queste son lettere di naturalità - e contonmi come molto tempo e con molti favori l’aveva date a richiesta di Piero Istrozzi a esso, e che queste da per sé istesso me le mandava a presentare: che un tal favore non s’era mai piú fatto in quel regno. A queste parole io con gran dimostrazione ringraziai il Re; di poi pregai il ditto segretario, che di grazia mi dicessi quel che voleva dire quelle “lettere di naturalità”. Questo segretario era molto virtuoso e gentile, e parlava benissimo italiano: mossosi prima a gran risa, di poi ripreso la gravità, mi disse innella lingua mia, cioè in italiano, quello che voleva dire “lettere di naturalità” quale era una delle maggior degnità che si dessi a un forestiero; e disse: - Questa è altra maggiore cosa che esser fatto gentiluomo veniziano -. Partitosi da me, tornato al Re, tutto riferí a Sua Maestà, il quale rise un pezzo, di poi disse: - Or voglio che sappia per quel che io gli ho mandato lettere di naturalità. Andate, e fatelo signore del castello del Piccolo Nello che lui abita, il quale è mio di patrimonio. Questo saprà egli che cosa egli è, molto piú facilmente che lui non ha saputo che cosa fussino le lettere di naturalità -. Venne a me un mandato con il detto presente, per la qual cosa io volsi usargli cortesia: non volse accettar nulla, dicendo che cosí era commessione di Sua Maestà. Le ditte lettere di naturalità, insieme con quelle del dono del castello, quando io venni in Italia le portai meco; e dovunque io vada, e dove io finisca la vita mia, quivi m’ingegnerò d’averle.