La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXXXVIII

Libro secondo
Capitolo LXXXVIII

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In mentre che io lavoravo in queste baie di poco momento, il principe e don Giovanni e don Harnando e don Grazía tutta sera mi stavano addosso, e ascosamente dal Duca ei mi punzecchiavano: dove io gli pregavo di grazia che gli stessino fermi. Eglino mi rispondevano, dicendo: - Noi non possiamo -. E io dissi loro: - Quello che non si può non si vuole; or fate, via -. A un tratto el Duca e la Duchessa si cacciorno a ridere. Un’altra sera, avendo finite quelle quattro figurette di bronzo che sono nella basa commesse, qual sono Giove, Mercurio, Minerva, e Danae madre di Perseo con el suo Perseino a sedere ai sua piedi, avendole io fatte portare innella detta stanza dove io lavoravo la sera, io le messi in fila, alquanto levate un poco dalla vista, di sorte che le facevano un bellissimo vedere. Avendolo inteso il Duca, e’ se ne venne alquanto prima che ’l suo solito; e perché quella tal persona, che riferí a Sua Eccellenzia illustrissima, gnele dovette mettere molto piú di quello che ell’erano, perché ei gli disse: - Meglio che gli antichi - e cotai simil cose, il mio Duca se ne veniva insieme con la Duchessa lietamente ragionando pur della mia opera; e io subito rizzatomi me gli feci incontro. Il quale con quelle sue ducale e belle accoglienze alzò la man dritta, innella quale egli teneva una pera bronca, piú grande che si possa vedere e bellissima, e disse: - Toi, Benvenuto mio, poni questa pera nell’orto della tua casa -. A quelle parole io piacevolmente risposi, dicendo: - O Signor mio, dice da dovero Vostra Eccellenzia illustrissima che io la ponga nell’orto della mia casa? - Di nuovo disse il Duca: - Nell’orto della casa, che è tua; ha’ mi tu inteso? - Allora io ringraziai Sua Eccellenzia, e il simile la Duchessa, con quelle meglio cerimonie che io sapevo fare al mondo. Dappoi ei si posono assedere amendua, al rincontro di dette figurine, e per piú di dua ore non ragionorno mai d’altro che delle belle figurine; di sorte che e’ n’era venuta una tanta smisurata voglia alla Duchessa che la mi disse allora: - Io non voglio che queste belle figurine si vadino apperdere in quella basa giú in piazza, dove elle porteriano pericolo di esser guaste; anzi voglio che tu me le acconci innuna mia stanza, dove le saranno tenute con quella reverenza che merita le lor rarissime virtute -. A queste parole mi contrapposi con molte infinite ragioni; e veduto che ella s’era resoluta che io nolle mettessi innella basa dove le sono, aspettai il giorno seguente, me n’andai in Palazzo alle ventidua ore; e trovando che ’l Duca e la Duchessa erano cavalcati, avendo di già messo innordine la mia basa, feci portare giú le dette figurine, e subito le inpiombai, come l’avevano a stare. Oh! quando la Duchessa lo intese, e’ gli crebbe tanta stizza, che se e’ non fussi stato il Duca che virtuosamente m’aiutò, io l’arei fatta molto male: e per quella stizza del vezzo di perle e per questa lei operò tanto, che ’l Duca si levò da quel poco del piacere; la qual cosa fu causa che io non v’ebbi piú a ’ndare, e subito mi ritornai in quelle medesime difficultà di prima, quanto all’entrare per il Palazzo.